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venerdì 30 gennaio 2015

La zuppa più buona del mondo

di Vittorio Rusinà

Brodo di pesce, cozze, gamberetti, broccoli, peperoncino, limone, udon.
La zuppa più buona del mondo, un grande equilibrio di sapori, dal piccante, al salato, all'acido e al dolce.
Con un calice di Roero Arneis 2013 di Valfaccenda.
Al Dorainpoi, a Torino.

Ristorante Dorainpoi, via Catania 21, Torino
tel. 0112409962   

giovedì 29 gennaio 2015

Metti una sera a cena al Molo di Lilith con Marta Becco, Marco Arturi, Guido Zampaglione e Igiea Adami

di Vittorio Rusinà

Il Molo di Lilith è un circolo ARCI di Torino, l'ambiente è hippy e "piratesco", è la scena di una compagnia teatrale, dove gli attori e le attrici si inventano anche la cucina, la cantina e il servizio. 
Una sera di queste è dedicata a "La forza del carattere" dei vini di Tenuta Grillo, e io ci sono, non posso mancare, conosco e amo questi vini.
Sono vini che alcuni definiscono "difficili", sono vini che vanno aspettati, sono vini a lungo invecchiamento. Sono vini che quando raggiungono il loro momento ricambiano la pazienza dell'attesa con tanta materia e bontà.
Come sottolinea Marco Arturi, paladino del vino naturale e artigianale, "in tempi di omologazione e uniformità imperanti, è sacrosanto difendere il diritto alla diversità."
Il Baccabianca 2007 da uva cortese è una continua conferma del valore di quest'uva nelle mani giuste, per me fra i migliori macerati in circolazione in Italia.
Ma la vera sorpresa sono i rossi che assaggio per la prima volta con calma, non in una delle tante fiere, seduto a tavola. 
Il Pratoasciutto 2005 (una anteprima) è il dolcetto che dà il meglio di sé dopo almeno 10 anni di evoluzione, come succedeva nei tempi antichi in Piemonte, oggi quasi dimenticati. 
Il Pecoranera 2004 è una bomba atomica, è la quadratura del cerchio su un lungo lavoro di Guido sulla freisa, qui in uvaggio al 70% con Barbera, Dolcetto e Merlot. Vino complesso, vino da accompagnare con cibo, come tutti quelli di Tenuta Grillo, vino che mi riporta in mente il bel lavoro di Ezio Trinchero su quest'uva.
Ad accompagnare i vini di Guido, una cucina di grande qualità, attenta alle materie prime, in gran parte bio e di piccoli produttori. Dalle mani di Marta Becco arrivano lasagne con crema di zucca e tobinambur, pasta con uno strabiliante sugo di stracotto di maiale, cavolo nero e bianco con crostini di farro, purea di cavolfiore con gomasio, filetto di maiale all'arancia cotto alla perfezione, torta cacao e marmellata di more. 
Un inchino alla bravura di Marta.
Mi piace segnalare anche la presenza alla cena di Igiea Adami, produttrice dell'ottimo riso carnaroli dei Beni di Busonengo e compagna di Guido nella vita e nella conduzione dell'azienda vinicola.
Poco distante dal mio tavolo c'era anche una giovane e simpatica produttrice di Gavi naturale, Stefania Carrea di Terre di Matè, di cui spero presto di assaggiare i vini.
Gran serata, ottimi vini, ottimi cibi e tanti giovani presenti, il che mi fa sentire un pochino anziano ma mi dà grande gioia: il vino naturale, il vino vivo, il vino che non è mai uguale, piace ed è vincente.

Il Molo di Lilith è a Torino in via Cigliano 7
Tenuta Grillo è a Gamalero (AL)



lunedì 26 gennaio 2015

Lagunitas Imperial Red Ale. Rossa americana.

La Lagunitas Brewing Company è uno dei “micro” birrifici americani più esplosivi in termini di successo, aperto nel 1993, ha conosciuto una crescità ininterrotta sia in termini di fama che di capacità produttiva. Situata al sole della California (Petaluma) incarna in tutto e per tutto quelle che sono le peculiarità della craft beer americana con le sue interpretazioni iconoclaste delle tradizioni birraie mondiali.
Quella che ho in mano è un’edizione speciale in quanto trattasi della riedizione (limitata) della prima ricetta creata in birrificio ai tempi dell'apertura dello stesso. Trattasi di una Imperial Red Ale, quindi siamo su uno stile che “quasi” non è uno stile per di più portato nella dimensione "imperial" che rende tutto così squisitamente americano..
Nel bicchiere la birra si presenta di colore ambrato carico sovrastato da una bella schiuma bianca, fine e persistente. Il naso è da subito complesso ed esplosivo e  ci offre una base consistente di caramello e  tofee che va a costituire il palcoscenico per una sfilata di luppolo: aromi resinosi, balsamici, frutta rossa, mandarino e pompelmo, tutto molto ben dosato e pulitissimo.
In bocca il corpo è medio e media la carbonazione che alleggerisce la bevuta rendendo quasi impercettibili i 7.8% alc, anche in bocca il caramello è contrastato/accompagnato egregiamente dal fruttato esotico e dal resinoso che ci porta verso un finale persistente ed erbaceo.Una birra davvero ben costruita, facile da bere, nata per accompagnare i barbeque, va bevuta però freschissima (la mia arrivavava direttamente dallo spaccio del birrificio) altrimenti il rischio di trovarsi di fronte al luppolo evanescente sposterebbe l’equilibrio tutto sulla consistente base maltata, rendendo la bevuta pericolosamente stucchevole. [deLa]

mercoledì 21 gennaio 2015

Il Rosato di Le Coste di Gradoli

Di Vittorio Rusinà


Una sera di queste da Banco, a Torino, con Luigi e Carlo.
“Cosa volete bere?” ci fa Pietro.
“Le Coste di Gradoli.” Diciamo noi.
“Allora iniziate dal Rosato.”
“E sia Rosato” “Ma non si inizia con un bianco? Ah ah ah aiuto!
Pietro ci butta una occhiataccia e intanto stappa, o forse stappa Irene, uffa non ricordo.
Bellissimo colore, glu glu glu, si sente l’acino dell’uva, sembra il vino che bevevano d’estate i nostri bisnonni magari giù al fresco in cantina, e allora pensiamo “ma il vino non poteva restare così senza tanti tecnicismi e chimike varie?!?”
Un filo di residuo zuccherino e un filo di carbonica appena percettibile.
Perfetto con le ostriche, le alici fritte, il salame, il pane di grano saraceno e il burro francese.
Mamma che bontà, e se non ci fosse stato Pietro, chissà quando lo avremmo mai ordinato, il Rosato.

I vini di Le Coste non sono facili da trovare in Italia, “vendono quasi tutto all’estero” dice Pietro, infatti me li immagino i giapponesi a sbicchierare, loro sono grandi cultori della bontà naturale, ecco nel mio cuore spero che questi vini si diffondano anche in Italia, presto.

Le Coste sono Clementine e Gian Marco Antonuzi, li potete trovare a Gradoli (VT) sulle colline sopra al lago di Bolsena.
Da Banco Vini e Alimenti a Torino trovate tutti i loro vini.

lunedì 19 gennaio 2015

Terre Silvate 2013, La Distesa di Corrado Dottori

di Niccolò Desenzani



Pare aver quadrato il cerchio Corrado Dottori, con questo verdicchio base di perfetto equilibrio. Un sorso senza alcun fronzolo, dritto, non goloso, ma appagante.
Per trama, acidità, amaritudine, vitalità.
In sottrazione, ma senza essere scarnificato.
Felicissima riuscita dopo tante edizioni che per me non erano mai del tutto convincenti.
Al naso è appena di lana bagnata, ma poi fiori dolci e erbe di campo, alla distanza un cenno nobile di moka.
In bocca una bellissima neutralità aromatica, dove possono gli elementi strutturali e tattili più che gli aromi e i sentori.
Questo è il vino che mi piace: sostanziale, poco estetico.
Sacra carbonica dopo poco dall'apertura, sancisce un bianco di grandissima beva e il bancale diviene il metro del desiderio.

venerdì 16 gennaio 2015

Prosecco Col fondo 2013, Ca' dei Zago

di Niccolò Desenzani



Un debito ce l’avevo da un po’ con questo Prosecco sui lieviti. Perché di certo ha allietato molte serate già a partire dalla tarda primavera, e ancor oggi, quando c’è bisogno di una referenza certa per bere bolle a buon mercato, è fra le prime scelte.
Di più: Ca’ dei Zago è spesso citato fra i “Colfondo”, ma forse più di molti vini in questa tipologia, rappresenta una sorta di grado zero.
In bottiglia e poi nel bicchiere si ritrova un’interpretazione pura. Non ravviso alcuna intenzione di rendere appena più ricercati gli aromi e i sapori; al contrario qui c’è la ricerca della schietta dissetanza. Il naso tutto in freschezza, per dirlo alla francese, senza nascondere quella nota un po’ vinosa del Prosecco, con quell’acuto al momento in cui ancor la spuma fine si sta acquietando; poi in bocca la perfetta acidità e quella sottile sensazione tattile che porta alla salivazione; infine la grattatina in gola.
Amen.
E quindi il sorso successivo.
Un sorso tuffo senza spruzzi. Che scompare rinfrescando.

Dicevo altre volte come io ricerchi spesso nel vino più la sostanza che i sapori, le consistenze, nei casi in cui ovviamente non sia la complessitá la parte portante del piacere. Il Prosecco Ca’ dei Zago è l’esemplificazione di questo concetto.



giovedì 15 gennaio 2015

Sidro alla mela cotogna, rifermentato in bottiglia, Franz Egger

di Daniele Tincati


Frequentando di tanto in tanto l’Alto Adige, mi imbatto spesso in prodotti a base di mele.
Dai succhi alle mele secche, passando per composte e confetture.
Negli ultimi tempi, stanno anche comparendo vari tipi di sidro.
Tra i tanti, sono pochi quelli che ho provato, soprattutto per questioni di prezzo e tipologie di prodotto.
Se ne trovano alcuni fermi, altri frizzanti o spumantizzati, dall’improbabile colore giallo acceso, ben visibile attraverso bottiglie trasparenti.
Saranno anche buoni, ma mi ispirano poco, perché mi sembrano tanto quegli spumanti da pacco natalizio, dove l’unica parola rintracciabile è “dolce” o “brut”, e niente altro fa capire facilmente dove è stato fatto, e da dove proviene l’uva, sempre che ne sia stata utilizzata.
Tra i tanti dicevo, ho scelto questo, attirato dall’uso della mela cotogna, ma soprattutto dalla retro etichetta esplicativa e dalla produzione biologica certificata.
Bottiglia pesante da Metodo Classico e rifermentazione in bottiglia, poi, mi hanno convinto del tutto.
Ah, dimenticavo, tappo a fungo tipo birra belga, per intenderci.
Il prezzo non è basso, se non ricordo male tra gli 8 e i 10 euro, o giù di li.
Ma stavolta ho fatto una buona scelta.
Non tanto felice quella di prenderne solo una bottiglia, purtroppo.
Aperto a casa qualche settimana fa, in accompagnamento ad un piatto di formaggi misti, prevalentemente altoatesini, è stato una piacevole sorpresa.
Appena stappato colpisce subito l’aroma inebriante della mela cotogna, che esce dalla bottiglia.
Nel bicchiere è giallo carico, con sfumature dorate, e leggermente velato dal fondo presente in bottiglia. (prima di metterlo in frigorifero ho provveduto a smuoverlo un po’).
Spuma abbondante, ed effervescenza fine, ma non troppo persistente, che veicola i bei profumi di cotogna, mela, e floreali, e anche qualche ricordo di crostata ( di mela, ovviamente ).
In bocca è cremoso, freschissimo che invita alla beva.
Il bello è che è secco come una fucilata .
L’aromaticità della cotogna domina i ritorni retro nasali per breve tempo, ma la bevuta è ampiamente appagante.
Lascia la bocca perfettamente pulita
Mancano un po’ di morbidezze, con l’alcol sul 6,5%, ma così ha un suo equilibrio.
Se non ricordo male, ce n’erano di altri tipi, cioè sempre a base di mele, ma con aggiunta di altri ingredienti come in questo caso la cotogna.
Al prossimo giro vedrò di fare scorta, sperando di ritrovarlo in giro da una qualche parte.
Altrimenti vedrò di contattare il produttore, vale la pena approfondire l’argomento.
Salute.

martedì 13 gennaio 2015

Launegild 2013 Chardonnay, Colline Pescaresi IGT, De Fermo

di Niccolò Desenzani



Più che il vitigno potè il terroir.
Ma non solo, è anche questione di stile. Per me la vinificazione è azzeccatissima. Lascia un che di fermentativo irrisolto. La tensione e il movimento. Danza nel bicchiere.
Sarà chardo o trebbiano ;) buono buono comunque, beva sfrenata.
Mobile evolutivo diviene via via più definito, balsamico e insieme morbido. Acidità in sviluppo.
Chi cerca il riconoscimento del vitigno rimarrà probabilmente deluso.
Non c'è nulla dello stereotipo.
Ho pescato nella memoria uno chardo che forse aveva qualcosa in comune con questo: il Coufe chien del Domaine du perron. Ma con più sostanza in questo caso.
Per dire che non è un caso di mascheramento del vitigno, di appiattimento del gusto dovuto al metodo di vinificazione. Piuttosto, finalmente, sono vini che si spogliano, e mostrano le loro nudità con disinvoltura.
Abituati alle divise, molto ben riconoscibili, per un attimo dobbiamo ricalibrare il nostro spirito di osservazione e reimparare a riconoscere.
Avrei bisogno di berne ancora.
Per studio, naturalmente!

lunedì 12 gennaio 2015

Enofeste a tappe (aka neuroni festivi)

di Niccolò Desenzani

Il periodo delle feste di fine anno generalmente regala momenti enoici significativi. Ci prepariamo al meglio per godere i vari fasti colla speranza che siano sempre il meglio del piacere.
Non sempre le bottiglie sono all’altezza, qualche volta invece ci concediamo qualcosa fuori dall’ordinario, e veniamo ripagati.
Nel mio caso sono state svariate le bottiglie stappate, complici i vari ponti che hanno trasformato il periodo in una vera e propria vacanza.

Nei giorni precedenti le feste, ho avuto un bisogno fisiologico di Langhe, che però ha trovato solo limitata soddisfazione:
una discreta
Freisa Toetto 2010 Mascarello Giuseppe
seguita da una ben impostata
Barbera 2009 Cappellano
che però poi rimane immobile e non esplode, come dovrebbe fare una buona barbera dialogando con l’aria.
Va peggio ancora il
Nebiolo 2009 Cappellano
con qualcosa di fisso e irrisolto che ne pregiudica la beva. Cavolo io ricordo la 2006 come un vino emozionante…

La sera del 24 due sicurezze non si sono smentite:
Roncaie “sui lieviti” 2013 Menti
in forma smagliante (ma quando non lo è stato?)
e
Pian del Ciampolo 2011 Montevertine
in un periodo di splendore; ogni bottiglia leggermente diversa dall’altra, ma è sbocciato e la sua imprecisione dona momenti di vero piacere. I vini base per me dovrebbero essere come questo: grande beva, freschezza e tanti piccoli squilibri che rendono il vino sempre in movimento, mai stancante e sempre pronto a dare sorprese papillari.





Il giorno di Natale, in trasferta a Masserano, nel biellese, ho giocato in casa. Immancabili
Lessona 2009 Proprietà Sperino
Uvaggio 2011 Proprietà Sperino
sempre grandi vini che non deludono. Anzi sono un manifesto del “nebbiolo State of mind”!
La sera, la cantinetta della campagna regala un
Bramaterra 2000 Tenute Sella
in perfetta forma. Bello, senza fronzoli, senza sconti. Ferroso, sapido, antiruffiano.

Grande delusione, ma credo sia colpa di una cattiva conservazione, per il
Rosso di Montalcino 2010 Paradiso di Manfredi
con un fortissimo sentore di lana bagnata, estremo e fastidioso. Si intuisce la bella materia, ma così  è una bevuta che poco appaga.


Si parte finalmente! La sera del 27 arriviamo in Liguria, dopo un viaggio in mezzo alla pianura innevata. Fa un gran freddo e il vento ne accentua l’effetto. Così decido di aprire
Tenores 2009 Dettori
che coi suoi oltre 17 gradi mi pare in tema.
La carbonica lo pervade e equilibra una leggera tendenza dolcina. Il gusto è una ventata sferzante di macchia e chinotto. Punto d’incontro fra il buon chinotto e un barolo chinato, va giù come fosse il primo e cosa che io trovo inspiegabile l’alcool non si sente nè al sorso nè per i suoi effetti. Misteri di Badde Nigolosu (anche se mi pare Alessandro Dettori qualcosa avesse spiegato su questo miracolo).
Nei giorni seguenti studio i Nero d’Avola gemelli di Gueli:
Calcareus e Erbatino 2009 Gueli
l’uno su suolo appunto calcareo, l’altro su suoli particolari (trubi, sedimenti calcareo marnosi (gesso)). Non è facile discernere le differenze di questi due vini nel bicchiere; di certo il Calcareus, con 13 gradi alcolici, manifesta un carattere goloso al limite del ruffiano, mentre il fratello, con 13,5, ha un contegno appena più austero. Comunque vini impeccabili, che declinano il nero d’Avola in modo a me inedito. Lontano da certe espressioni ipervarietali del sud est siciliano. Davvero una sorpresa. La vinificazione è precisa e restituisce vini di un’integrità rara. Una materia a rischio di debordare, che secondo me darà il meglio con l’invecchiamento. Questa la mia impressione. Serve tempo per trasformare l’energia di quei vini in forme più sottili.

Con gioia sono tornato da Noberasco in quel di Cisano sul Neva. L’ultima volta ero stato due anni fa e il produttore usciva da una brutta malattia. L’ho trovato meglio, per fortuna. All’assaggio dalle vasche mi si conferma sempre qualcosa di vocato. E stupisce l’incredibile finezza ed equilibrio del suo
Rossese 2014 Noberasco
In poco più di tre mesi una trasformazione da uva a bevanda incredibilmente elegante.
Gentilmente mi riempie qualche bottiglia al momento. Questo rossese, che dice essere della varietà di Campochiesa, che matura solo in quel della piana di Albenga grazie alle caratteristiche pedoclimatiche particolarissime, con un saldo di petit syrah, verrà tracannato qualche giorno dopo durante un barbeque di carni bianche. Un colpo al cuore.




La sera dell’ultimo dell’anno siamo nell'Alta Langa, a Niella Belbo, da amici.
Io porto una magnum di
Prosecco 2013 Casa Coste Piane
Sempre buonissimo; universale della piacevolezza, alla faccia degli Ziliani che col Prosecco devono sempre essere astiosi.
La cena prevede pesce (e io che avevo previsto una magnum di Sangiovese Massavecchia!), così riparo con due annate di
Barbarossa 2011 e 2012 Punta Crena.
Rosato dal vitigno  omonimo autoctono della zona di Finale Ligure; dimostra un carattere molto particolare, coniugando una certa quasi dolcezza con una acidità infiltrante.
Lo
Spumante “Varigotti” Punta Crena
è abbastanza anonimo, ma rifugge da sentori bananosi e preserva in parte la freschezza della lumassina, vitigno dal quale proviene, sebbene penalizzata da un dosaggio appena troppo dolce per i miei gusti. Per 10 euro comunque una promozione meritatissima.
Buono, ma infine forse un po’ poco incisivo il
Piedirosso 2012 I Cacciagalli
Vinificazione in anfora e tutte le cure per questi vini che hanno una bellissima impostazione. La mente corre verso qualche cab franc della Loira, in zona vin de soif.





Infine l’ultimo giorno di Liguria, in astinenza da visite in cantine, chiamo Cascina delle Terre Rosse, che mi riceve con cortesia immensa e finalmente vedo dove nascono questi vini. Il posto è incantevole e la cura in vigneto è impressionante. Si lavora in regime non chimico, con inerbimenti scelti fra favino e senape e quel che serve di anno in anno. Lo sfalciato poi diverrà parte integrante del terreno. I tre vini più noti della cantina, Vermentino, Pigato e Pigato Apogeo, sono il risultato di una cura maniacale anche in cantina, ma sono prodotti che cercano consenso sul territorio, e non necessariamente fra gli enostrippati. Quindi l’obiettivo è stabilità, pulizia, limpidezza a tutti i costi; per di più con la scelta di non fare malolattica. Quindi filtrazioni spinte e solfiti intorno ai 100 mg/l. In bottiglia la qualità dell’uva è percepibile, ma siamo molto lontani dal mio gusto. Viceversa un assaggio da barrique del bianco selezione “Le Banche”, da uve vermentino e pigato, opalescente dei suoi lieviti (ancorché selezionati), fa capire quanto potenziale ci sia da queste parti. Purtroppo il Solitario, da uve granaccia e rossese, non l’ho potuto assaggiare e la bottiglia esce sui 40 €.
La sera stappo
L’Acerbina 2013 Cascina delle Terre Rosse
da uve lumassina. Conferma di qualità impeccabile, ma siamo in zona bibita. Ah, la prossima volta che sento la storia della solforosa che fa venire il mal di testa, sbrocco. È un bufala che continua a circolare.


Al mio ritorno a Milano ho convertito un bonus con l’enoteca di fiducia in una bottiglia di
Rosato 2007 Massa Vecchia
Cercavo la 2010, ma mi è capitata questa annata mitica. Peccato perché il vino, forse per la conservazione non ottimale, era ben poco integro. All’aspetto verso il marrone, manteneva ancora un po’ della sua forza in bocca, ma non era nemmeno parente del vino che ricordo nettamente dagli assaggi precedenti e piuttosto recenti. L’enotecario non è stato d’accordo con la mia valutazione e mi ha concesso un cambio con la 2010, dovendo però aggiungere metà del prezzo. Speriamo che sia buona, perché a sto punto è la bottiglia più cara che io abbia comprato da un bel pezzo!

mercoledì 7 gennaio 2015

Maledetto il tappo che ho incontrato

di Daniele Tincati


Per fortuna non mi capita spesso.
Anche se stappo parecchie bottiglie all’anno, le volte che mi sono imbattuto in un vino rovinato dal tappo di sughero si contano sulle dita di una mano.
Sarà forse perchè le bottiglie che compro sono tappate con sugheri di qualità, o forse solo fortuna.
Sta di fatto che quando capita è spiacevole.
Molto spiacevole.
Anche perchè spesso proprio con bottiglie che si erano gelosamente custodite per anni, in attesa del tempo giusto di invecchiamento.
E adesso non si trovano più.
L’ultimo che ricordo con dispiacere fu un Sammarco 1999 del Castello dei Rampolla, comprato direttamente in azienda.
Adesso di nuovo con questo Ottomarzo 2011.
Ma stavolta non mi sono dato per vinto.
Sotto il sentore del sughero c’era tanta di quella roba che non me la sono sentita di vuotarlo nel lavandino, almeno subito.
Così gli ho ricacciato dentro il sughero e l’ho rimessa in cantina.
Dovevo riflettere.
Il giorno successivo, ho ristappato e versato nel decanter, e poi rimesso in cantina.
Per un paio di giorni.
Ogni tanto andavo a controllare e migliorava costantemente.
Dopo un paio di giorni, il miracolo.
Il vino si era ossigenato e aveva espulso il cattivo odore.
Sono stato premiato per la mia cocciutaggine.
Anche se non al suo massimo, sono riuscito lo stesso a godermi il vino.
Marasche e lamponi, mirto, alloro e lavanda, pasta di olive e capperi.
Una bocca incredibilmente fresca rende bevibile un vino con un corredo di morbidezze possenti.
E il sale.
Il Pascale ha sconfitto l'odore di tappo.
Ha vinto lui.
Quando succedono queste cose, mi chiedo sempre perchè non usare chiusure alternative.
Ne esistono tantissime al giorno d’oggi.
Silicone, vetro, a vite e a corona.
A parte la corona, usata principalmente per le rifermentazioni, gli altri potrebbero andare bene tutti, ed alcuni consentono pure scambi gassosi.
Mah....
Purtroppo questo è un fattore che il vignaiolo non può controllare al 100%.
Ma perchè affidare il proprio lavoro nelle mani di un pezzo di sughero che potrebbe rovinare tutto ?
Sono comunque pochi i produttori, anche naturali, che sono passati alle chiusure alternative, soprattutto per i rossi da invecchiamento.
Questione difficile e delicata.