Luigi Fracchia
Il
post di Niccolò Desenzani pone l’accento sulla verità
espressa da alcuni vini.
Lui parla del concetto di verità nell’accezione derivante
dal greco antico.
αλήϑεια
aletheia
a-lethe senza veli
Una verità di ragione che diventa tale solo grazie alla
logica, a seguito della scoperta delle condizioni che permettono di definirla.
E di pensieri sul vino, Niccolò in questi anni ne ha
fatti molti.
Un processo, il suo, di disvelamento, di conoscenza, di
narrazione.
E’ un lavoro complesso perché cultura e sensi fanno
fatica a comunicare nel nostro cervello, sapori e profumi sono allocati in
parti antiche del cervello che non comunicano molto con la corteccia frontale,
per cui ridurre a λόγος (logos) le
sensazioni è operazione difficile, talvolta impossibile.
Niccolò ci riesce meglio di molti altri e spesso esprime in
concetti, sensazioni che, sopite ed inespresse, sono già lì velate nel nostro
cervello e Niccolò è artefice del loro disvelamento.
In realtà noi quando sentiamo parlare di verità (ed è qui
il problema principale dei paladini della finta laicità) pensiamo alla
veritas
latina
che non è una verità di ragionamento ma una verità di
fatto che assumiamo senza nessuna riflessione critica, una fede.
Due diverse verità, l’una determinata dal discoprimento
delle ragioni che la inverano, l’altra rigidamente fissa e incontestabile.
La verità che percepisce Niccolò è la prima, figlia del
logos e quindi legata al divenire, alle inevitabili modificazioni a cui la
cultura è sottoposta.
Questa ricerca di aletheia condotta, forse, in maniera
empatica, meno cosciente ma non con minore coerenza è portata avanti da Lorenzo
Corino, Hubert Hausherr, Cyril Le Moing, Enrico Cauda e altri, i cui vini credo
potrebbero entrare nel novero di quelli con “contenuto di verità di un vino” come
li definisce Niccolò.
Territorio, lavoro, tradizione, basso impatto ambientale,
solido pragmatismo il tutto condotto con la leggerezza e l’incoscienza legata
alla consapevolezza di non poter e non voler controllare tutto.
Anche loro come Niccolò si affidano alla volatilità degli
eventi e alla soggettività del gusto e delle scelte.
Potrebbero sembrare dei nostalgici invece, credo, che stia
segnando una via per uscire dall’eccesso di programmazione e normalizzazione
dell’attuale cultura, non solo enologica.
La sensazione leggendo i post di Niccolò e bevendo i vini
di Lorenzo, Hubert, Enrico, Cyril è che siano capaci di penetrare più in
profondità e rendere visibili i legami labili, inafferabili che ci legano alla terra.
Luigi