Erbaluce Educational otto e nove ottobre duemilaundici.
Organizzato dal Consorzio a favore di una trentina di blogger d’Italia per far conoscere il vino e il terrritorio.
La strada che porta ad un Erbaluce che non c’è più (o non c’è mai stata?).
Il vino per noi che ne scriviamo e evitiamo con cura di farlo, anche se poi diciamo agli come farlo, è poesia, è sogno, è piacere, è condivisione, è oblio.
Ma per chi lo fa è lavoro, responsabilità, rischio, capitali, futuro.
Uscire dall’equazione protocolli produttivi standard uguale certezza dei risultati
è sempre difficile e destabilizzante.
Però c’è anche chi sente nell’aria il cambiamento, come il prodiere che vede le increspature del mare e intuisce in anticipo la direzione del vento (almeno ci prova).
Per il vino la direzione del vento è quella che spira dal passato?
Sono in tanti a chiedersi se i vini bianchi “moderni” siano vini o bevande alcoliche afflitte da sindrome tecnico/enologica o da accanimento “eno/terapeutico”.
Ci si chiede se la verità dei vini non dimori in pratiche di cantina più obsolete,
oggettivamente più vicine alla natura.
Pulizia e riconoscibilità dei profumi, nettezza gustativa sono solo una pagina del libro vino?
E oggi, ci accaniamo a leggere sempre e solo quella?
La tecnica enologica ha acceso una piccola torcia in un enorme capannone buio e noi vediamo solo ciò che c’è nel cono di luce e ignoriamo il resto.
Molti si ostinano a dire che quello che vediamo è l’unica verità possibile.
Io dissento e sono in buona compagnia.
Ieri a Caluso, ho bevuto dei vini che vogliono esplorare la parte in ombra.
Che fossero buoni o no poco importa.
Intanto perché erano delle prove.
E’ la ricerca che va premiata, soprattutto se a farla è una azienda vecchia e prestigiosa che produce vini di stabile qualità e li vende ad un pubblico ormai educato a quei sapori.
Proveniente inoltre da un territorio, molto bello, sicuramente vocato ma in crisi d’immagine e di visibilità.
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a destra Gian Luigi Orsolani |
Gian Luigi Orsolani ha deciso di provare a fare dell’Erbaluce come un tempo. Fermentazione spontanea del mosto, con l’ausilio di un pied de cuvée e successivo inoculo nella massa ammostata.
Variazione sul tema della vinificazione del nonno.
Si sono spinti più in là e con quel vino hanno anche fatto una base spumante alla quale hanno aggiunto del liquer de tirage fatto con lo stesso mosto base congelato.
Sono comparsi in tavola con il millesimo 2010 e hanno spiazzato.
Erbaluce erano Erbaluce questo era chiaro.
Il primo, però titillava il naso diversamente, con mollezze e profumi più indecifrabili meno citrini, meno taglienti, più fusi, più caldi.
L’acidità talvolta imponente dell’erbaluce era sostituita da un leggero amaricante e da sensazioni saline, delicate e nobili.
Maturazioni e polpa di pere granulose, l’acidità meno puntuta, l’incedere gustativo più orizzontale.
Il metodo classico era cristallino e fresco e complesso e bevibile.
Un vino tout court che spumeggiava e ammaliava per la capacità di comunicare in bocca piacevolezza e profondità.
Ottimo, il migliore di quelli degustati (frenate, non è in vendita è solo un test).
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Camillo Favaro |
Camillo Favaro invece, al quale non bisogna parlare di lieviti indigeni se no si innervosisce. Riserva una cura maniacale ai vigneti condotti senza prodotti sistemici.
Ha provato una altra via per il suo Erbaluce 13 mesi millesimo 2010.
E’ composto da un 10% della massa che fa macerazione sulle bucce.
Poi fermenta e si microssigena per tredici mesi circa in barrique usate.
In questo caso la fermentazione è innescata con lieviti starter selezionati, però mi piace molto il tentativo di far entrare il territorio dalle bucce.
Ne viene fuori un vino intenso pungente e fresco e sapido e agrumato e officinale.
Il timo, la buccia di chinotto, le sferzate officinali sono nette, potenti e l’acidità sommata al salino raggiunge livelli di guardia.
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Favaro vasca ovoidale in cemento Bio |
Rivolgo una domanda a Camillo e a quanti il vino lo fanno, scaturita dalla mia visita in cantina: come mai le singole barrique danno vini sempre un po’ diversi tra loro se il mosto è stato inoculato con lieviti selezionati tutti identici?
Non è forse che nei vasi vinari si sono selezionati nel tempo dei ceppi di lieviti che poi prendono il sopravvento su quelli selezionati?
Perdonate il fuori tema.
Gian Luigi Orsolani e Camillo Favaro hanno affrontato il problema di caratterizzare e radicare un prodotto con lo sguardo rivolto al passato senza falsi romanticismi.
Due storie piccole che però segnalano un momento di ripensamento.
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Castello di Masino |
Molti dei pensieri, maldestramente esposti dal sottoscritto,
Bonne degustation
Luigi
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Serra morenica d'Ivrea |