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venerdì 24 febbraio 2012

#vinocolKi merlot 2007 le due terre prepotto

E mi ritrovo a bere molto, forse troppo, e poi a parlare degli stessi*.   

Capita che ci sia un qualcosa da festeggiare.
All’improvviso, senza possibilità di pianificare un acquisto o una scelta ponderata.
Scendi in cantina, fai un po’ di valutazioni, pensi, cogiti.
Prendi una magnum, poi, non fidandoti né del tappo né della flora microbica dell’infernot**.
Arraffi una bottiglia di un produttore che già conosci, così come una ruota di scorta.
Arrivi a casa del festeggiato col bottiglione, lo apri, lo versi, lo annusi.
Morto, il vino dentro è defunto.
Ti deprimi e vedi una crepa, invisibile ma definitiva, negli occhi del popolo adorante.
Che non ti chiama più maestro.
Allora, con le palpitazioni, apri la seconda.
Che non c’entra niente col frittino di merluzzo.
E la zuppa di cozze in potage Parmentier.
E’ un Merlot.
Lo fai assaggiare agli altri, perché oramai la tua prosopopea è già a casa sotto le coperte.
Scruti negli sguardi dei commensali.
Sorridono e tu ti distendi, ti rilassi un po’.
Annusi e senza remore deglutisci.
Uno schiaffo di profumi intensi.
Terrosi e fungini e pepati.
Tabasco, ma di quello buono che sa di peperoncino.
Una acetica impertinente pizzica le narici.
E lo bevi fino a che non vedi il fondo della bottiglia e la fine delle tue paure.
Derive bordolesi nel bicchiere.
Verticale di acidità e piccantezze vegetali.
Tannini rotondi come i sassi della gironda.
Nessuna indulgenza a morbide e facili piacevolezze.
Da conquistare e che conquista.
Il Merlot 2007 di Le Due Terre ti ha salvato e ha salvato la serata.
Anche se l’invisibile crepa è lì e ha ormai incrinato la tua credibilità sociale.
Bonne degustation


Luigi

*produttori non vini, è il terzo post che dedico a Silvana Forte e Flavio Basilicata, aspettatevi il quarto e nel frattempo mettetevi qualche loro bottiglia in cantina, caso mai vi invitassero all’ultimo ad una festa di compleanno. Ecco il primo e il secondo post.
**in piemontese è il termine che indica la cantina dedicata ai vini pregiati.

mercoledì 22 febbraio 2012

barbacarlo o dell'oblio

Barbacarlo 05, Az. Agr. Barbacarlo, Comm. Lino Maga, Broni (PV).




Il Barbacarlo*, probabilmente, oltre che un vino (e questo non si discute) è anche una categoria.
Forse, meglio, come dice Niccolò Desenzani è un particolare che ha in sé un universale.
Questo concetto universale o categoria è quella dei  vini antichi.
Archetipici.
Ancestrali.
Vino d’un tempo che rammemora come la madeleine di Proust la nostra infanzia e,
quando si schiarisce la nebbia, si vedono, sul fondo del calice, il campanile e le case del paese, si sente l’odore della terra umida e il rasposo latrare dei cani.
Si percepisce indistintamente una quasi comprensione, un’intuizione della nostra evoluzione.
Dal caucaso, alla mesopotamia, dal bacino mediterraneo al cristianesimo.
Vino cibo, vino memoria.
In questa categoria non esiste il concetto di piacevolezza, di buono.
Perché è una categoria trans-storica e trans-etnica, ogni periodo storico, ogni etnia ha il proprio concetto di gusto e piacevolezza.
Se prima non conosciamo la sua storia e lo beviamo alla cieca perdiamo il novanta per cento del suo significato.
Non possiamo scinderlo dal suo essere nel mondo e per il mondo.
Non chiedetemi se mi è piaciuto.
Non chiedetemi nulla, è nell’oblio, nel tortuoso fluire delle ere da ricercare il suo senso.
Bonne degustation




Luigi


*Uvaggio di Croatina, Uva Rara e Vespolina
Per una degustazione seria leggete Jacopo Cossater.


martedì 21 febbraio 2012

come_funzionano_blog_lettori_mercato_?

Settimana anomala questa, prima il post ostico di Niccolò Desenzani poi il giorno dopo, oggi, una serie di domande a cui rispondere. E’ un questionario per comprendere un po’ meglio l’interazione fra blog, lettori e mercato del vino.
Ho aderito con interesse a questa proposta dell'Università Sapienza di Roma.
La ricerca, mi hanno spiegato, mira a capire se e in che modo i blog possono influenzare le intenzioni d'acquisto dei lettori/consumatori, con l'obiettivo di far emergere quali aspetti del blog (autore, livello di interazione, credibilità) diventano strategici per determinarne le scelte d'acquisto.
Cliccando sul link in basso troverete maggiori informazioni sulla ricerca e un breve questionario da compilare.
La compilazione del questionario dura 8-10 minuti circa.


Vi ricordo che NON è possibile terminare il questionario in due momenti diversi. Una volta che si entra cliccando sul link, bisogna completarlo tutto.
Grazie per la vostra collaborazione.


Luigi

lunedì 20 febbraio 2012

postico post un po'ostico di niccolò desenzani

Il post di oggi è opera di Niccolò Desenzani che ha accettato l’invito a pubblicare qui qualche suo scritto. Sono molto contento che abbia accettato, perché nel panorama degli enoblogger è uno dei pochi che cerca sempre nuove sfide e entra nel mondo del vino, anzichè dalla porta, dalla finestra, dal camino, affrontandolo con visioni spiazzanti e culturalmente stimolanti, una commistione di pensiero logico e immaginazione.
Oggi ci parla di eleganza e soggettività e oggettività e altre amenità.

L’eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA, ovvero un postico (post un po’ ostico)


Bevo una bottiglia di Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA l'altra sera, penso che in quel vino c'è l'idea di un tipo di eleganza. Non ho percepito una manifestazione particolare di eleganza, ma una generale e da quel momento rientrano e rientreranno in quell'idea molti altri esempi di vini bevuti nel passato e che berrò nel futuro. E' interessante questo aspetto della degustazione. Alcuni vini (particolari) propongono ai sensi qualcosa di generale (universale) e danno quindi una categoria in più a chi li assaggia.

Questo tipo di ragionamento che ha un bel po' di paradossale, fa il pari con un altro aspetto altrettanto bizzarro della degustazione: che l'esperienza dell’assaggio è quasi totalmente soggettiva, ma quando viene raccontata diventa oggettiva in quanto trasferisce il contenuto a un ascoltatore che, in una visione plausibile, posso considerare abbia un apparato sensitivo analogo al mio. Questa ammissione (in parte opinabile) restituisce un valore di oggettività, di comunicabilità e di sensatezza all'esperienza irriducibilmente intima e individuale.

 Da una parte quindi il particolare che diventa (quasi) universale e dall'altra il soggettivo che diventa (quasi) oggettivo.

Andiamo avanti.

Sto ipotizzando una dialettica fra vino, sensi e comunicazione in cui molti dei parametri di senso a cui siamo abituati sono invertiti.

Se il vino mi propone una categoria universale dell'esperienza io ho soltanto la mia soggettiva percezione
per coglierla.

Però è vero che una volta colta nella sua dimensione universale, diventa per me idea che contiene altri esempi particolari della mia esperienza passata e futura. E poi lo racconto, scrivendone per esempio, e chi legge intuisce qualcosa e poi magari cerca quella bottiglia e se la beve e capisce che cosa io intendessi e quindi forse adesso abbiamo una categoria in comune: l'eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA.

Un domani, assaggiando un nebbiolo dell'Alto Piemonte egli scriverà magari che ci sente quel tipo di
eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA.

Io leggendola capirò perfettamente.

E così hai visto che soggettivo è diventato oggettivo e particolare, universale?

Niccolò Desenzani


Note.

1) La visione espressa in questo post trae forse la sua origine da uno scambio di commenti a un mio post, avvenuto circa un anno fa con Pier Paolo Paradisi (con cui nacque un’amicizia virtuale) che faceva emergere da parte sua un'idea completamente diversa della degustazione (vedi http://www.vinix.com/myDocDetail.php?ID=4970).

2) L'universo di senso a cui tendo a riferirmi nel mio rapporto con il vino è dato da una visione di tipo
etnologico e antropologico.

3) Nei giorni scorsi si è parlato di degustazioni cieche e Luigi Fracchia ha messo in discussione il valore di oggettività che si è soliti attribuir loro. Non posso che concordare con lui e nel quadro che propongo la degustazione non è mai oggettiva, ma l'oggettivazione è esogena e avviene in un secondo momento. Alla cieca possiamo solo cercare di essere il più possibile soggettivi, ma spesso invece c'è un imperativo di oggettività che ci offusca la mente e scatta in noi il bisogno di riconoscere elementi di valutazione razionalizzati in un sistema di valutazione. Ma, attenzione, è il sistema di valutazione che è razionale e non la sua applicazione oggettiva. Da cui probabilmente il fatto da alcuni notato che nelle cieche emergano spesso i vini che sono migliori rispetto a quel sistema di valutazione. Io ritengo questa una vera e propria  fallacia!

Quindi viva le cieche, che insegnano a riconoscere e acuiscono certi sensi, ma per favore che i giudizi espressi siano il più possibile intimi e personali. Poi ne discuteremo e vedremo cosa ne vien fuori.

Sub-Nota. Ho evitato volontariamente riferimenti a documenti accademici di alcun tipo, che sia chiaro che siamo fra amici del bar e non ex cathedra!


sabato 18 febbraio 2012

_paradosso_

Paradosso:
una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile.

Foto Stefania Giardina


Primo paradosso
“Con la rivoluzione industriale, i processi produttivi sono stati accelerati per ottenere i cibi e le  materie prime occorrenti alla popolazione e alla fabbrica. Non è stato fatto nulla di concreto per ovviare alla perdita di fertilità che questo ha comportato, con conseguenze disastrose. L’agricoltura ha perduto il suo equilibrio, la terra si ribella; aumentano le malattie di ogni genere, in molte regioni del mondo la natura si disfa della terra esausta attraverso l’erosione.”
Sir Albert Howard, “I diritti della terra”, Bra, 2005, pg21

Secondo paradosso
“Ed ecco il paradosso del sistema agro-alimentare industrializzato e finanziarizzato: esso risiede nel fatto che, avendo le sue corporation investito svariati trilioni di dollari ed euro, e convertito milioni di ettari a produzioni estensive tecnologicamente avanzatissime, con una quota crescente di Ogm, ci si poteva attendere che la situazione migliorasse. Al contrario è peggiorata di molto. Oltre al miliardo di individui sottonutriti, ossia affamati che si contavano nel 2007, e potrebbero salire verso il 2017 a 1,2 miliardi, vi sono al mondo almeno altri due miliardi di individui che non ricevono in qualità e quantità adeguata i micronutrienti necessari per condurre una vita lunga e sana.”
L.Gallino, “finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi.” Torino, 2011 pg158/159

Terzo paradosso
L’opera originale di Sir Albert Howard è stata stampata con il titolo “An Agricultural Testament” ad Oxford nel 1940.
Le accuse mosse verso l’insostenibilità dell’agroindustria levate con forza da Sir Albert Howard sono state completamente ignorate.
Era troppo presto per dire che era troppo tardi.
Ora Gallino dice che, trascinati dalla perversa macchina della finanziarizzazione della società e del sistema produttivo, compresa l’agricoltura,  non abbiamo più tempo né spazio per modificare questa tendenza al suicidio del pianeta.

Quarto paradosso
L’accanita difesa dello status quo proprio da parte di chi ne è involontario e impotente vittima.

Così va la vita.

mercoledì 15 febbraio 2012

moscato d'Asti docg arcese 2010 bera gianluigi

Moscato d’Asti Docg 2010, Bera Vittorio e Figli, Canelli (AT).



Gianluigi Bera e il sacrificio di un terroir.
E’ vignaiolo calato in un territorio affetto dalla “sindrome del moscato”* malgrado ciò ha da sempre applicato metodi di coltivazioni biologiche.
In un ambiente votato alla produttività massima col minimo sforzo, ha sempre mirato alla qualità.
E al mantenimento di una certa continuità tecnica col passato.
Ho bevuto due suoi vini nel corso della stessa sera e scegliere quello di cui parlare è stato difficilissimo.
Per cui accennerò a tutti e due ma il campione, il vino hors cathegorie è il
Moscato d’Asti docg.
Profumatissimo di mosto e uva moscato.
Carnoso di mieli e foglie di salvia.
Goloso.
Grassoccio.
Leggero raspo vegeto-acido.
Dolce.
Però mantiene come d’incanto una cotè scontrosa, quasi irrisolta, che da bevanda dolciastra lo traghetta verso livelli di eccellenza e profondità assoluta.
Non sprecatelo sul dolce.
Stilton e buona compagnia.
O anche solo abbinato a quattro chiacchiere un po’ alticce di fine serata, aspettando con indolenza il momento più volte rimandato del rientro.
Proviamo a lasciarne qualche bottiglia in cantina.
Secondo me può dare belle sorprese.




Arcese 2010 bianco
Un blend di cortese, sauvignon, favorita, arneis.
Profumi delicati, citrini, di timo, vegetali.
Mineralità educata.
Affumicato di incensi (Tirebouchon dixit).
Naso francese.
Saporito quasi salato.
Giocato sul filo sottile che divide la delicatezza e l’eleganza dal peso.
Sapore, sensazioni ondivaghe che dal salino vanno al vegetale all’amarostico.
E in bocca lasciano una pienezza gustativa.
Che se ne infischia dei sapori pseudo dolci.
Bonne degustation


Luigi

*produzioni al limite superiore del disciplinare, ottenute con tutti i mezzi più sbrigativi possibili limitando al minimo indispensabile le ore lavoro ettaro per massimizzare i guadagni derivanti dalla vendita di un uva ben remunerata dai 1,30 a 1,80 euro al Kg.


lunedì 13 febbraio 2012

rairon 2006 uva rara podere il santo

Rairon 2006, Rosso Provincia di Pavia Igt, Podere il Santo di Eugenio Barbieri, Rivanazzano (PV).


Mi affascina l’estremismo produttivo di Eugenio Barbieri e il concetto olistico che lo permea.
Ha voluto ricostruire una cascina preindustriale a ciclo chiuso.
In cui il vigneto è uno dei componenti della gestione agricola a cui affianca l’allevamento di bovini e suini, i seminativi, le piante da frutta, l’orticoltura.
Per lo più per autoconsumo.
Il suo obiettivo è il mantenimento della fertilità del terreno con processi legati ai cicli naturali senza dipendere, per quanto possibile, da fonti esterne.
Il pensiero di Eugenio Barbieri è estremamente attuale, semplificando molto si può parlare di comportamento agroecologico.
Ossia un tentativo di spezzare il circolo vizioso che lega il contadino ai fornitori esterni di energie, servizi,materiali, credito ricercando metodi naturali, interni alla propria azienda per ovviare a questa dipendenza.
Non è un discorso naif.
Parrebbe essere il futuro dell’agricoltura.
Se vogliamo che esista ancora qualcuno da sfamare e dissetare.
Non credo che Eugenio Barbieri risolva i problemi del mondo.
Però alla base del suo pensiero c’è molto di più della sterile divisione fra bio e non bio.
Ma tra il sostenibile a lungo termine e l’insostenibile.
Un atto politico prima che un comportamento di tendenza o mera strategia di marketing.
Dei due vini ho provato il Rairon 2006 un blend di Uva rara al 90% e Croatina, Barbera al 10%.
Cupo nei colori, intenso di profumi di frutta matura e polposa.
Etereo, quasi smaltato.
Dolcezze di maturazioni spinte e virate tanniche.
Alterna suadenze a rasposità.
Concentrato.
Masticabile.
Mi è piaciuto ma è da riassaggiare.
Bonne degustation.




Luigi


giovedì 9 febbraio 2012

_coste di riavolo 2004 san Fereolo_

Coste di Riavolo 2004, Langhe Bianco, San Fereolo di Nicoletta Bocca.



Un bianco in terra di rossi dice Nicoletta Bocca del Coste di Riavolo.
Uno dei migliori bianchi del Piemonte dico io.
Arrogante vero?
Da aspettare, come i rossi di Nicoletta.
Anni dopo la vendemmia acquisisce.
Potenza e scatto e allungo impressionante.
Senza il peso dei tannini, degli antociani che ancorano alla terra.
Vola alto questo Riesling Traminer, leggero, è vino cosmico.
E’ straniero in terre straniere.
Fotografa la Langa con sguardo forestiero ma non superficiale.
Ricordi di grassezze alsaziane.
Il caramello iniziale, come bruco si è mutato in farfalla.
In idrocarburi potenti, cherosene per il freddo di questi giorni.
Agrumato e minerale, intriso di salinità.
Affilato, a tratti amarostico.
Mai greve.
Acidità educata.
Elegante e sottotraccia.
Nessuna surmaturazione.
Una gioia del palato.
Bonne degustation


Luigi


mercoledì 8 febbraio 2012

910 bourgogne aoc 2010_

Clos des vignes du Maynes, 910, Bourgogne Aoc 2010, Julien Guillot


Talvolta anche un pinot borgognone base ti riempie di soddisfazione e un sorriso si profila sul volto dello scafato bevitore.
La serbevolezza delicata.
Quasi disinvolta.
Colore pallido e traslucente.
Animato da riflessi rubini vivaci e ghiotti.
Naso francese, lieve come impronte sulla neve,
allusivo dei pepi verdi e bianchi delle colonie e
dei mirtilli del massif central e
della mentuccia che cresce tra i filari del maconnais.
Tannino morbido e vellutato
acidità vegetale e lievi rotondità fruttose.
Piccante.
Tutto in levare.
Mutevole e incredibilmente gastronomico.
Glu glu
È andato giù.
Bonne degustation


Luigi

Il Maconnais è un buon posto dove cercare vini bianchi e rossi con un ottimo rapporto qualità prezzo come ad esempio i bianchi taglienti vinificati in cemento e inox di Pierrette et Marc Guillemot-Michel.
Dicono che la grande differenza di prestigio dei cru del Maconnais sia dovuta al fatto di ricadere in una Diocesi politicamente molto meno meno influente rispetto a Beaune al momento delle assegnazioni dei cru.
Bio e senza solfiti aggiunti, per quello che può valere segnalarlo in questo turbolento momento della critica enologica.

lunedì 6 febbraio 2012

_the_last_farmer_


E’ un po’ di giorni che non pubblico nulla, sarà la neve che ho spalato, sarà quel leggero malumore scaturito dalle polemiche del penultimo post.



Così oggi per rompere il silenzio ho deciso di usare il blog per uso personale e raccontarvi i fatti miei.
Ieri sera sono uscito, malgrado una nevicata fitta e insistente e le strade bianche come quelle finlandesi, per raggiungere un manipolo di amici alla prima del documentario “The last farmer. Neoliberismo, globalizzazione e agricoltura contadina” regia di Giuliano Girelli e con la partecipazione video di Luciano Gallino e Giorgio Cingolani.
Una produzione dell’Ong M.A.I.S. a conclusione del progettoCreating Coherence on trade and development”, che ha impegnato l'Ong insieme ad altre organizzazioni europee in un percorso di riflessione e azione sulle politiche commerciali dell’Europa e gli effetti che queste hanno sullo sviluppo e sui paesi più poveri.
Pensavamo di essere in pochi, qualche reduce di Goa e una manciata di attivisti con la kefiah, attempati e biliosi, per cui abbiamo tracheggiato in un locale di fronte al cinema fino all’ora della proiezione.
Gravissimo errore la sala era piena, stracolma.
Allibito e forse rinfrancato dalla presenza di quella folla di ragazzi ho pensato che sono tanti, sono giovani e vogliono ascoltare anche le voci fuori dal coro e , forse, ne hanno abbastanza delle retoriche delle multinazionali e del capitale.
Il documentario è denso di contenuti, spunti di riflessione, ho sentito con molto interesse pareri di esperti docenti universitari molto prossimi ai miei pensieri.

In centro Giuliano Girelli
Finanziarizzazione dell’economia, disastri ambientali perpetrati dalle monocolture, dal latifondo, dalle società minerarie, erosione dei saperi tradizionali, inurbazione forzata, suicidi di contadini in India, in Argentina.
Dicono ad un certo punto che il 70% della popolazione mondiale è sfamata dall’agricoltura contadina e solo il 30% da quella industriale (sono questi i strabilianti risultati della rivoluzione verde?).
Il tutto presentato con garbo, senza eccessi da militanti, senza populismo, con belle immagini e un raffinato montaggio.
Il mio ego sgonfio, avete presente un canotto mordicchiato da un dobermann, si è un po’ ripreso e per non perdere l’abitudine abbiamo brindato al compleanno di Vittorio Rusinà e alla nuova era.
Impegnativo parlare di “era” io la immagino come un cammino verso un luogo che è sì fondato sulla storia e sulla tradizione, ma la storia e la tradizione sono pretesti per ribellarsi al presente.
Che sta rivelando il putridume materiale ed etico su cui è appoggiato.
Un viaggio verso l’isola di Utopia perché di questo mondo non mi sento figlio.
E utopia è anche eu-topòs ossia regno perfetto della felicità.
Non sono uno sprovveduto, sognatore forse sì, la direzione non la conosco, ma per strada siamo in tanti.
E poi, a tarda sera, per riappropriarci del lato infantile usciti, forse un po’ alticci, dal locale ci siamo tirati palle di neve ridendo come bambini, in una città irreale, silenziosa e bianco vestita come volesse anche lei riprendersi la sua innocenza.
“La verità non è un dato di fatto o un concetto astratto, è un cammino, un compito, un avventura.” Hegel