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lunedì 31 gennaio 2011

il mio sauvignon igt emilia 2008 camillo donati arola langhirano

Il Mio Sauvignon  IGT Emilia 2008 12,5% Vol. di Camillo Donati in quel di Arola, Langhirano (PR).
Terre dei lambruschi.


Sottovalutate per lungo tempo.
Ora in gran spolvero.
Di Donati ne ho letto un gran bene sull’ultimo libro di J. Nossiter (le vie del vino).
Uno dei pochi italiani citati.
L’ho subito cercato ma le enoteche sabaude lo snobbano.
L’ho contattato e prontamente mi ha risposto.
Verso fine estate ho detto al mio amico Frenki, di ritorno dalla stagione a Milano Marittima: “…Ti consiglio


Camillo Donati fà Lambruschi, Barbera, Sauvignon, Malvasia, Trebbiano tutti col frizzo, stupendi! Passaci tornando, tanto è di strada…”.
Gli ho inviato via mail la lista della spesa.
Frenki si è perso nella campagna Parmense, la deviazione è durata quattro ore durante le quali telefonava a me, poi alla nipote di Donati e poi sacramentava in solitudine.
Mai  fidarsi dello scrivente.
Al suo ritorno mi sono pure lamentato che aveva preso poche bottiglie.
Se si è perfidi bisogna esserlo fino in fondo.
Poi ho scoperto che a Torino risiede un attivissimo blogger, facebookker, twitterista il cui nome è Vittorio Rusinà, raffinato esegeta dei Lambruschi che ha contagiato Jacopo Cossiter e altri blogger.
Questo per rimarcare che forse un po’ di fuoco cova al di sotto della brace sciovinista Torinese.
Intorno a Natale mi sono aperto in solitudine un Lambrusco.
Porc... senza un filo di gas! Però  buono lo stesso me lo sono centellinato per una settimana, un bicchiere al dì.
Ieri ho scovato, credo, l’unica bottiglia di sauvignon(maledetto Frenki), l’ho acclimatata in cantina a 13°C (ormai viaggio con il termometro a infrarossi in tasca).
Poi a casa.
Tappo a corona.
Stappo puf.
Colore giallo oro velato poi, da metà bottiglia, opalescente.
Naso lievitoso, quasi birroso, floreale di iris con un erbaceo che ricorda i campi in fiore e lo sfalcio.


Bocca rinfrescante, leggermente pétillante e sapida con amaricante ( o se preferito amarotico che è più alla page) che sgrassa, ottimo.
Il “Mio Sauvignon” è bianco di macerazione, rifermentato in bottiglia, t° di servizio 16°C.
Camillo Donati, dimenticavo, è biologico e biodinamico.

Finito subito e senza stuzzicchini.
Comunque non per tutti.
Bisogna  effettuare un minimo di allenamento.
Costo franco cantina (telefonate a Frenki per le indicazioni stradali) circa 5,00 euro.
Bonne degustation.

Luigi


mercoledì 26 gennaio 2011

lolik2007trebbianodisiciliaigtguccionemonrealepalermo

All’inizio  della mia carriera di blogger (sono un neonato), non so se per carità o per quale altro sentimento, Gabriele Ferrari anch’egli blogger di “Oggi bevo”, mi ha fatto oggetto di sue continue e intelligenti frequentazioni corredate da commenti (praticamente gli unici ).


Dopo il post sul Maquè. Gran successo. Da allora posso vivere di ricordi.
Capito il mio debole per la Trinacria.
Mi ha inviato una “dritta” sui bianchi dell’azienda agricola Guccione di Monreale (PA).
Curioso come una scimmia.

Mi  sono armato di pazienza e ho cercato il modo di procurarmeli.
Grazie al maledetto web ho acquistato una piccola selezione di loro vini.
Qualche sera fa in un momento di eccessi l’ho aperto, proprio allo scadere dei giorni di carenza indicatemi da Gianna Terrana che deve conoscermi, perché così ha scritto: “…Dopo la consegna è molto importante che il vino comunque riposi 2/3 giorni prima della degustazione.
I bianchi vanno serviti ad una temperatura di 10/12 gradi (in frigo perdono i profumi)…”
Io, fosse per me, li aprirei davanti al corriere, nell’androne di casa squarciando gli imballi con la taglierina.
Lolik 2007 trebbiano IGT Sicilia dell’azienda agricola Guccione in quel di Monreale (PA).
Ritorna la Sicilia nel mio destino e ci ritorna con folate rinfrescanti se non gelide.
Sbarello di brutto quando leggo post deliranti sui vini siciliani cotti e stracotti dopati con sciardò e cab.
Qualcuno dice pure che sono buoni.
E pensare che per evitare di far marmellata i vigneti sono al nord, defoliati (per evitare che concentrino troppo zucchero e perdano acidità).
Quando ci sono varietà locali abituate all’inferno.
Quando ci sono vignaioli che con mano decisa ma gentile ne trasformano i succhi.
Non ricordo cosa stessi mangiando, fuori c’erano menotredici o meno quattordici che sono scesi a menosedici per effetto vento polare del Lolik.
Idrocarburi e sentori mentolati e timo limonino.
Freschezza.
Aromi mai così intensamente verticali in un sicilian wine.
Corpo sapido, ammandorlato, sgrassante e gentile.
Color oro.
Ottimo dissi.
Sembra friulano qualcuno disse.
Lo bevemmo tutto.
Non fatelo mancare nella vostra cantina.
Sig.ri Guccione quando tornerò in Sicilia passerò da voi, tremate  siete in lista.

Aridità dalla cantina:
vigneto in biodinamica, si procede alla selezione massale sul campo per compensare le fallanze.
Vendemmia manuale.
Fermentazione in tini di legno con lieviti di cantina indigeni.
Malolattica eseguita spontaneamente.
Loro saranno a sorgente del vino live e voi cosa aspettate?



Comprato su sorgente del vino a 9,00 euro

Buona degustazione
Luigi

lunedì 24 gennaio 2011

bianco trebez 2006 igt princic chardonnay sauvignon pinot grigio

Bianco Trebez 2006 IGT Venezia Giulia di Dario Princic, Gorizia fraz. Oslavia.
Colore arancio ruggine intenso, velato quasi opalescente.



Mia figlia non ha più detto niente, ormai è abituata agli orange wine.
Anzi una cosa l’ha detta: “goccio papà, io (as) saggio, subito!”.
Denso nel bicchiere.
Intenso al naso con profumi abbastanza freschi di frutta, un po’ di etereo.
Poi dolci profumi caramellati e di marmellate di fichi e albicocche in cottura come quando il paiolo sobbolle in cucina.



Thè e carcadè forse un po’ fumè (splendida rima olè).
Struttura importante in bocca, calda, avvolgente e un velo tannico.
Un vino di macerazione che mantiene però caratteristiche di opulenza e precisione maggiori della media.
Il varietale dei vitigni, Chardonnay, Sauvignon e  Pinot Grigio, si stempera completamente ne rimane forse un’eco nell’importanza degli alcoli (14%vol), nei profumi vanillo carammellosi e nella presenza materica della glicerina che qui c’è e si fa sentire.

Non ho trovato indicazioni su come è vinificato ma la sensazione è che le fermentazioni siano con lieviti di cantina ma a temperature controllate di 16/18°C e/o magari con passaggio in legno.
Dal colore del vino la macerazione sulle bucce deve essere durata parecchio però non si sono disciolti i tannini corti e amari tipici (bonus).
Insomma mi viene in mente la definizione di Design che dava un grande Architetto il “Disegno Industriale (il bianco Trebez) e un pipistrello mezzo topo e mezzo uccello”.
Vola in alto ma è terrignamente tirato in giù dal suo essere mammifero.
Lieve e pesante.
Ossimorico.
Complesso.
Senza età.
Il millesimo lo devi leggere in etichetta.
Buono.
Da servire a 15°C.
Comincio ad abituarmi.
Ho già messo il frigo in vendita su e-bay.
Bonne degustation.

luigi


venerdì 21 gennaio 2011

trebbianoabruzzodoc2007emidiopepetoranonuovoabruzzo

Trebbiano d’abruzzo DOC 2007 di Emidio Pepe, Torano Nuovo (TE).



Da sempre nel mio mirino già prima che impazzasse la bio-mania ma ci siamo sempre solo sfiorati.
Ultimamente occhieggiava dal frigo di servizio del Bordò.
Alla fine l’ho preso e portato in montagna.
E’ vino da uve bio fermentato con lieviti di cantina ma non macerato.
Ha un colore giallo paglierino che ormai colpisce un po’ per la delicatezza.
E’ pure limpido.
Per l’occasione c’è ancora della focaccia (ringrazio Andrea Perino per la consulenza e per la fornitura di farine del mulino Sobrino).


Per l’occasione e per non farsi sfuggire una occasione, mia moglie nel pomeriggio aveva saccheggiato una pescheria a Briancon e l’ho trovata che si aggirava per il paese abbracciata ad una baffa di salmone selvaggio di scozia da un kilo e mezzo, con il cane ormai sovraeccitato che ululava e mia figlia che ripeteva come un mantra: “mangio , io mangio, io mangio (a)desso”.
Un spettacolo poco edificante.

La sera ad animi chetati apro, verso, annuso.
Temperatura di servizio fortunosamente giusta (regge bene un 8/10°C).
Chiaro di colore, vivace di riflessi, profumi freschi e fruttati, bocca leggera ma avvolgente.
Ti inebria con timbri agrumati di pompelmo, fiori, erbe aromatiche e mineralità sapida con verticalità e leggerezza.
Stesso discorso in bocca dove scivola veloce ma intenso, sgrassante mai opulento, giustamente alcolico e un fondo amandorlato.
Una alcolicità moderata (come in quasi tutti i fermentati con lieviti di cantina) e una moderata rusticità ne fa bere a litri.
Vino splendido da cena con amici, libera la lingua e stimola i ricordi.
Mai meno di sei bottiglie.
Mi sentirei di dire di sevirlo fresco.
Aridità dalla cantina.
Coltivazione bio e biodinamica certificata.
Vendemmia manuale, pigiatura come un tempo a “piedi”.
Fermentazione e affinamento in vasche di cemento sulle fecce fini per sei mesi.
Imbottigliamento a mano per caduta senza filtrazione.
Bonne degustation

A Torino da enoteca Bordò a 17,00 euro

Luigi



mercoledì 19 gennaio 2011

baccabianca2006tenutagrillocortesesullebucciegamalero

Baccabianca 2006, Tenuta Grillo, Gamalero (AL).
I miei due lettori saranno orami stufi di sentirlo ma l’incontro con Guido Zampaglione è avvenuto a Novi in occasione dell’Alessandria Top Wine.


Anzi uno dei motivi per cui ero andato era proprio lui e il suo Baccabianca.
Non so se per volontà o per caso ma il suo stand era dal lato dei “maceratori/vinificatori un po’ matti”.
Carlo Daniele Ricci, Danilo Saccoletto gli tenevano compagnia con i loro vini hors categorie.
La degustazione iniziava con Ricci poi Saccoletto e finiva con lo schiaffo dei vini di Zampaglione.
Un girone Dantesco di profumi e sapori dimenticati o da dimenticare.
Nei miei ondivaghi tracheggiamenti alcolici sarò passato da Guido Zampaglione, che io ricordi, almeno quattro volte.


In realtà con i tre “matti” c’era una affinità elettiva, a fine giornata saremo andati dritti dritti nella finale dei più scassati e occhio-pallati e avremo vinto ex-aequo.
Guido come certi Campani soffre della sindrome da sdoppiamento linguistico.
Spiego: dalla parlata ti aspetti da un momento all’altro una battuta, dell’ironia anche facile e caciarona.
Invece al di sotto della sua campanità  linguistica alligna la serietà di uno svizzero.
Per cui lui rimane sempre serio e gentile e posato anche quando il Titanic sta affondando.
Io che sono un piemontese con derive meridionali e tendenza all’eccesso linguistico e un po’ buffone, con lui ero in leggera soggezione.
Guido Zampaglione è un estremista della naturalità e dopo esperienze con Elena Pantaleoni de La Stoppa, ha cercato un luogo dove mettere a fruttto i suoi pensieri sul vino.
Lo ha trovato a Gamalero (AL).
Lì alleva le sue viti e produce una serie di vini tra cui il Baccabianca.
Io non amo il Cortese ma avevo letto e sentito molte cose sul suo e le volevo verificare.
Maceratissimo, anche una sessantina di giorni e affinamento in acciaio, dal colore intenso, leggera velatura, profumi delicati e freschi di gigliacee con spunti vegetali, un po’ di mela matura, forse etereo, un chè di minerale(?), sfuggente.
Da freddo è leggermente tannico come lo sanno essere questi bianchi (senza l'extra delle botti) ma poi si ammorbidisce con il salire delle temperature.
Sgrassa la bocca appaga senza appesantire, sembra accompagnare il cibo senza alcuna lotta o prevaricazione organolettica.
Lieve e tutt’altro che muscolare, gentile come il suo creatore.
Da bere mangiando.
Da riprovare.
Provate anche la sua Barbera Igea.
Perdete del tempo a parlagli è veramente inbarazzante la sua gentilezza.
A me il suo Baccabianca 2006 è piaciuto.

Prezzo in enoteca sui 16,00 euro

Luigi


Ps
Tutti sapranno che in Campania nel vigneto di famiglia produce un fiano macerato che è un mito fra i wine blogger orange-dipendenti il Don Chisciotte dell’az agr Il Tufiello.
Io non lo sapevo, ma l’ho scoperto cercando info per questo post.
Mai fidarsi dei saputelli.
Comunque mi sono già mosso per cercarlo e assaggiarlo.
Parteciperà a Sorgente di Vino Live.
Io ci sarò e voi?

lunedì 17 gennaio 2011

terradilavoro2001sessaauruncacasertaaglianicopiedirosso

Terra di Lavoro 2001, Irpinia IGT, Galardi, Sessa Aurunca (CE).
Cena  a casa nostra.
Per una volta compare in menù della carne.
Rosso ho detto.


Rosso ho cercato in cantina.
La scelta era tra il  Barolo di Cappellano, il Vinu Petra di Foti, il Bric du Luv di Caviola, il Bricco  Appiani di Roddolo e Il Terra di Lavoro di Galardi.
La carne era un filettino di maiale

.
Insacchettato a mantecare tutta notte con spremuta di arance di Ribera, senape di Dijon, uvette, gin.
Poi brasato (effetto Maillard e chi è Hervé This?) poi cotto a bassa temperatura (cioè accendevo e spegnevo il gas per mantenere una temperatura al cuore di circa 55°C, una faticaccia, maledetto This!).
Nel frattempo non mi decidevo, mia figlia era anche lei indecisa e distratta dall’imminente arrivo della zia.
Nemmeno le etichette attiravano l’attenzione di Machi il nostro pastore delle Shetland che vagava infoiato dalla presenza della carne.

All’ultimo prendo il Terra di Lavoro.
Lo porto su un tavolino (al corso di sommelier lo chiamano gueridon) attrezzato vicino al tavolo.
Ho deciso.
Cavatappi, acc… tappo extra lungo praticamente saldato al collo.
Tiro, impreco a bassa voce, i commensali sono già al tavolo.
Quando sono ormai certo di avere rotto il tappo, esce riluttante.
Testa del tappo nera carbone.
Verso, annuso, assaggio.
“da dove viene stò vinello” chiede con disinvoltura un commensale.
Sobbalzo ma non do’ a vedere nulla (sto vinello l’ho comprato cinque anni fa a 50,00 euro!).
Colore profondo, impenetrabile, compatto e vivo.
Naso timido che mi lascia un po’ insoddisfatto, ciliegia e caffè e tostatura e tabacco e un po’ di minerale.
“allappa un po’ sto vinello” ( e daie con sto vinello) dice lo stesso di prima.
In bocca infatti il tannino morde un po’ con un chè di verde e l’acidità ancora viva gli dà una mano.
Buono è buono però dalla mia prima esperienza esco frastornato e un pelo deluso.
Rimane per tutta la sera con lo stesso profilo olfattivo, non evolve, non involve, tracheggia un po’ statico e monocorde.
La bocca non mi soddisfa un po’ asprigna e tannica.
La sensazione è che sia così sovraestratto e sovraconcentrato che abbia ancora bisogno di digerire tutta la materia che ha in corpo.

Che riesca a digerire tutto è il mio dubbio.
A qualcuno è piaciuto molto, a qualcuno meno, a me, per quel che può valere il mio parere, così così.
Il filetto di maiale servito con una insalata verde, mele, pinoli, noci e buccette di arancia in compenso era superlativo.
Aridità dalla cantina:
il Terra di Lavoro di Galardi a Sessa Aurunca (CE) così come il Montefredane sono due rossi mito della nouvelle vague Campana degli anni novanta.
Il Terra di Lavoro è a base di Aglianico 80 % e Piedirosso 20 % prodotti in un territorio estremamente vocato  a 400 m slm.
Terreni vulcanici, calcarei e scistosi ricchi di minerali e boschi di castagni.
Vigneti a cordone speronato a 4.500 ceppi/ha con resa di 50 q.li/ha.
Fermentazioni in acciaio.
Affinamento in barrique nuove per 12 mesi.
Bonne degustation.


luigi




martedì 11 gennaio 2011

ageno2005malvasiaortrugotrebbianolastoppacollipiacentini

Ageno 2005 igt emilia.
Az. Vitivinicola La Stoppa di Elena Pantaleoni. Rivergaro (PC).
Malvasia di candia, ortrugo e trebbiano.



Nel sequel delle bottiglie che mi sono regalato a dicembre, per provarle con tutta calma in montagna durante le vacanze, compare l’Ageno.
Per procurarmele, non rapino le vecchiette come ho accennato due post fa, però trascuro un po’ il mio lavoro ufficiale che la fortuna (mia e degli esercenti in questione) ha collocato al centro geografico di tre/quattro enoteche e beer shop.

Poveri i miei clienti che si fidano ancora di me.
Gli ho anche rifilato una compilation di Champagne e Franciacorta Docg per le cene natalizie.
Dunque, l’otto gennaio, oramai brasato dall’inedia e dalla sovralimentazione e leggermente tediato dal brutto tempo, scendo in cantina e metto mano a quello che è un vino simbolo del biologico in Italia.
Forse un po’ distratto lo infilo con sicurezza in frigidaire e ivi lo lascio.
Mi dedico alla realizzazione di una focaccia ligure con percentuale di farina integrale per addomesticarla al salmone e al patè de volaille che il buon Auguste di La Salle ci ha regalato in cambio dei fiocchetti di neve di Giunta.
Insomma il vino va in tavola freddo.
Troppo freddo.
Non ho letto in retroetichetta che Elena Pantaleoni si raccomanda di servirlo a 15°C.
Lo stappo, lo verso, mia figlia duenne, che ormai insegna ai corsi di degustazione, dice: “papà uigi pecchè quello cione” (papà Luigi perché quel vino è arancione) “io (as)saggio”.
Leggera  velatura, denso nel bicchiere.
Profumi da subito intensi, al’inizio si sente la malvasia ma è un fuggevole attimo.
Poi si apre verso un floreale intenso anche un po’ appassito e caratterizzato da gelsomini, narcisi, fiori di pitosforo con acuminatezze un po’ vegetali, dolcezze, salinità, agrumi amari e sentori eterei fanno capolino. Un retrobottega del fioraio mentre smalta le scansie.
Assaggio.
Subito  si sentono delle dolcezze poi il morso del tannino un po’ troppo amaro/astringente.
Non è possibile.
E’ un vino simbolo.
Leggo le indicazioni di servizio in retroetichetta “servire a 15°”!
Sbaglio madornale io l’ho servito a non più di 7/8°!
Aspetto.
Quando va in temperatura cambia la solfa.
In bocca è complesso e dolce e sapido e tannico e floreale, un mare di sensazioni per lo più discordanti che un po’ si integrano, un po’ cozzano l’un l’altra.
Ottimo, difficile, appagante, scontroso, inebriante comunque lievemente tannico.
Ne avanzo un po’.
Il giorno dopo è forse migliore (o io sono più educato).
E’ finito troppo presto!
La malvasia è un vitigno storico di queste aree, in realtà M.Gily (che ormai ho deciso essere un poeta con licenza di agronomo) ci fa notare che storicamente nel basso monferrato, nell’oltrepo’ pavese e nei colli piacentini che ne sono il terminale geografico, era molto diffuso e bevendo questo rappresentante posso affermare che le potenzialità le ha e da vendere.
Pochi ci hanno creduto.
Per adesso solo quelli de La Stoppa.
Aridità dalla cantina:
Malvasia 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%
Macerazione di 30 gg e lieviti indigeni,  zolfo-free.
Affinamento di 12 mesi metà acciaio metà barrique usate.
No filtrazione
Mon Dieu servire a 15° anche 16°C non meno.
Da bere mangiando mi raccomando.

Luigi


domenica 9 gennaio 2011

marsalatarga1840floriogrillodamaschinoinsoliacataratto

Carissimi,
per distrazione o forse affascinato dalla lotta fra Champagne e italici Metodi Classici  ho lasciato colpevolmente nel cassetto il mio vino preferito.

E’ un vino che ricorda l’epopea dei mari e le flotte Anglo Francesi che scorazzavano in  perenne guerriglia fra l’Atlantico e il Mediterraneo.
Orace Nelson ne caricava decine di botti sulle sue navi ed era parte integrante dei pasti.
Sicuramente alleviava le fatiche e la solitudine sul mare.
Come facessero poi a salire sugli alberi a piedi nudi, sferzati dal vento, scossi dal rollio, per cazzare le vele, rimane un mistero.
Eppure, malgrado o grazie al Marsala, allo Sherry, al Porto, al Madera questi marinai navigarono per tutte le acque del globo, senza quelle dotazioni tecnologiche, privi delle quali noi, oggi, non potremmo uscire da un albergo nel centro di Manhattan.
Meno male che non beviamo quanto loro se no non usciremmo nemmeno dalla camera di quell’albergo.
Il Marsala nasce appunto verso fine settecento come vino fortificato adatto a resistere ai lunghi e disagevoli viaggi per nave.
L’alcool aggiunto e il grado zuccherino  (propriamente detta la “concia”) elevato stabilizzavano il vino che così sopportava meglio gli stress termici e fisici.
Gli inglesi scoprirono Marsala come luogo e il Grillo come vitigno e lo elessero alla produzione del vino fortificato di Marsala.
Nella composizione del Marsala bianco (ne esiste una in rosso molto più rara che ammetto di non aver mai neppure visto) possono concorrere il Cataratto, l’Insolia e il Damaschino.
Ma è il Grillo che dà il meglio di sé malgrado le condizioni pedoclimatiche estreme dell’area.
Si è adattato dopo secoli al caldo, all’ustione del sole, all’umidità salmastra, ai terreni poveri calcareo sabbiosi, al vento incessante, preservando profumi, corpo e una residua acidità che lo rende “snello” e “verticale” malgrado la glicerina, l’alcool e gli zuccheri lo sommergano.
La produzione in sé è piuttosto complessa e dà origine ad una babele di prodotti, classificati in base alla “concia”, al colore, all’invecchiamento e al grado zuccherino.
Come sempre bisogna assaggiare per trovare il vostro Marsala.
Io in questo periodo adoro quelli semi secchi (50/100 gr/l di zucchero residuo) o dolci (oltre 100 gr/l).
Esistono anche quelli non “conciati” e molto secchi: i Vergini e i Soleras.
L’altro inverno, mangiando panettone e guardando la neve scendere a meno 12 °C degli amici Inglesi, popolo da sempre affascinato dai pudding wine fortificati, hanno fortemente intaccato la mia riserva personale.
It’s wonderful ripetevano e bevevano e mangiavano (esattamente come i loro avi sulle navi di sua Maestà).
Quest’anno dalla scansia oramai desolata ho prelevato un Targa 1840 superiore riserva, semisecco, vendemmia 1999 delle Cantine Florio.
Io l’adoro è dolce con riserva, cremoso e agrumato (canditi), morbido con sferzate alcolico iodate.
Il profumo complesso dei litorali assolati e della macchia mediterranea, salmastro-resinosa.
Il profumo e l’opulenza della Sicilia.
Perfetto per me è l’abbinamento con il panettone classico per l’estrema affinità dei profumi, delle sensazioni organolettiche.
Perfetto con i fiocchi di neve o gli impanatigghi di Giunta.
Perfetto da abbinare a un roquefort artisànale.
Perfetto da bere solo.

Aridità dalla cantina:
produttore Cantine Florio.
primo anno di realizzazione 1840.
Vigneti costieri al massimo a 50 m slm, allevati ad alberelo marsalese con densità  di 5.000 ceppi/ha su terre sabbiose con intrusioni di terre rosse.
Vendemmia manuale nella II° e III° settimana di settembre.
Vinificazione in bianco a temperatura controllata.
Addizione di Mistella, Mosto cotto e Distillato di vino.
Affinamento in botti di rovere da 1.800 litri per cinque anni e un anno in antichi carati da 300 litri.
Sei mesi in bottiglia.
Zuccheri residui 70 gr/l.

Dimenticavo il prezzo di questa selezione in bottiglia da 50 cl. È imbarazzante da P.I.A.N.A a Torino 11,00 euro


Luigi