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sabato 1 gennaio 2011

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Timorasso Colli Tortonesi doc San Leto 2007 vendemmia tardiva di Carlo Daniele Ricci.



Certe volte le parole hanno un peso che trascende il significato e assumono un valore in sé.
La   parola Timorasso, l’onomatopea che ne sottende l’esistenza in vita, mi ha sempre incuriosito e attirato.
Forse perché era il primo bianco piemontese autoctono che studiava da fuori classe (almeno così i giornalisti ci facevano intendere) e non era cortese o arneis o favorita (rispettabilissimi ma li bevano gli altri, la vita è troppo breve).
Dopo anni di amore a distanza con casuali e fugaci incontri  (gravidi di passione e di altrettante delusioni) un mese fa su indicazione del poeta dell’agronomia (o agronomo poeta, ancora non ho capito) Maurizio Gily mi reco a Novi Ligure (AL) per l’Alessandria top wine.
In verità dovevo andare per assaggiare del (o della?) Barbera perché ho una piccola vigna vecchia a Casorzo che vorrei mettere a frutto.
Ebbene la mia indole di bianchista mi ha portato ad ignorare i (le?) barbera e ad assaggiare i Timorasso.
La scusa era che il Timorasso alligna bene sulle argille pesanti tipiche del tortonese così come quelle di Casorzo e poi ama l’esposizione en plein sud.
Sciocchezze, è che io amo i vini pallidi.
E’ che venderei l’anima al diavolo per potere fare un Grande Vino Bianco a Casorzo ma non posso dirlo ad un popolo di bevitori d’inchiostro.
Avevo un elenco di Timorasso boys e girls.
Ho assaggiato più volte ad ondate, dopo ognuna delle quali uscivo alla pioggia per rinfrescarmi le idee e a mangiare della farinata che un losco figuro sfornava da un oggetto a metà fra un tubo metallico e una cuccia per alani.
Ogni volta le idee erano più offuscate, il passo sempre più malfermo e l’idea dell’autostrada, dei camion e dell’acquaplanning mi angosciavano.
Mi trascinavo con il bicchiere appeso al collo come un  cane San Bernardo con la fiaschetta.
Il mio interloquire e la mia petulanza ha messo a dura prova la sopportazione dei produttori, gente pratica poco incline al dibattito inutile e vacuo.
Gentilissimi tutti ma penso che alla seconda ora mi vedessero come fumo negli occhi.


Io in fin dei conti mi sono divertito, non ricordo neanche un (una?) barbera (di due ne ho una vaga
memoria) ho perso una giornata intera, però in cantina adesso ho una dozzina di bottiglie di Timorasso che avrei trovato con difficoltà nella Capitale Sabauda (ex).
Ricordo ai miei due lettori che Torino è capoluogo lontano, distratto e disattento nei confronti delle sue province satelliti, per cui non è sempre agevole procurarsi vini anche se fatti a pochi chilometri di distanza.
Quindi ero e sono a tutt’oggi felice per lo shopping enoico di quella giornata e “a culo tutto il resto” (come diceva F.Guccini).
Il caso mi ha portato a bere per primo il Timorasso Colli Tortonesi doc San Leto 2007 vendemmia tardiva di Carlo Daniele Ricci (anche se una affinità elettiva già si percepiva quel 15 novembre scorso).


La famiglia Ricci vive  a Costa Vescovato (AL) in via M.Celli 9 e coltiva otto ha di vigneti alcuni di più di quaranta anni.
Il colore era ed è oro intenso, i profumi con un solo mese di riposo in cantina sono molto cambiati e in meglio.
Tante parole si fanno e si faranno sugli orange wine, questo è un vino figlio di vendemmia tardiva di uve Timorasso vinificate in rosso con una macerazione sulle bucce, fermentazione con lieviti indigeni  e un affinamento sulle fecce in botti di acacia di medie dimensione con batonnage.
Per rafforzare il mio ego direi che mi ero subito accorto delle potenzialità di un vino che in rapporto agli altri vicini pagava lo scotto di una minore atleticità olfattiva (le macerazioni mortificano i profumi frutto floreali).
Ma  come dice W.De Battè il mosto è il vitigno, la buccia è il territorio, forse ne è lo specchio e come tale è fragile non  bisogna maltrattarla e Ricci ha avuto mano decisa ma gentile.
E adesso piano piano le fotografie del terroir impresse sulla buccia cominciano a ritornare a galla, per ora sono pallidi daguerrotipi ma nei prossimi anni diverranno nitide foto colorate.
Colore oro pallido.
Profumi minerali e di idrocarburi con sfumature agrumate di comquat e chinotto in salamoia, di zenzero candito; intensi.
Memorie di zucchero a velo su lontani profumi di resine.
Un chè di lana bagnata e zafferano.
Bocca calda, larga e sferzata da acidità e salinità, una dolcezza che è solo la pausa prima dello schiaffo secco e corroborante con leggero amaricante finale.
A me è piaciuto molto.
E pensare che un produttore di Timorasso mi ha detto, in quella occasione, che lui i vini come quelli di suo padre (macerati e difettati) non li vuole più fare, quindi bando ai lieviti spontanei e archeo enologia.
Io dissento perchè ormai sempre più chiaramente viene fuori che ci sono vini perfetti stilisticamente e tecnicamente e vini con l’anima, io preferisco i secondi.
Io ci ho mangiato sopra mazzancolle con broccoli, riso e riduzione di carapaci, curry e succo di cocco.
Le mazzancolle le ho comprate io, il resto lo ha fatto mia moglie, il cane guardava (già in ansia per i primi attentati dinamitardi pre capodanno), mia figlia sabotava.
Buona degustazione. e buon anno


luigi





2 commenti:

  1. Preso appunti. In effetti mi incuriosisce molto, le poche (troppo) ma assai positive esperienze col timorasso erano relative a vinificazioni classiche (?) in acciao. E, visto il tuo entusiasmo, non vedo l'ora di confrontarmi con questo timorasso border-line.
    E buon anno!

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  2. I timorasso di Walter Massa reduci da macerazioni più o meno intense sono comunque eccellenti (a parte i prezzi),

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