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mercoledì 30 novembre 2011

donne dell'aglianico del vulture_sotto la mole_torino

Il vulcano tira fuori le unghie.
Unghie smaltate Chanel Particulière.
Il lato femminile del Vulture.

Sara Carbone

Due espressioni di un territorio affascinante, anomalo, remoto, arcaico, magico.
Memorie di faglie e affioramenti magmatici, esplosioni e colate laviche che hanno modellato il monte Vulture.
Sotto pochi palmi di terra tufi scuri, pozzolane, brecce di esplosione a spigoli vivi, lapilli, blocchi lavici.
Un sud montano, sferzato dai venti gelidi dei balcani per nulla mitigati da un mare, l’Adriatico, con poca inerzia termica.

Elisabetta Musto Carmelitano

L’Aglianico si è acclimatato in questo territorio e ha mantenuto una variabilità genotipica ancestrale, figlia dei brandelli di dna delle uve Egee che ci sono al suo interno.
Nel suo farsi vino è stato accompagnato da due giovani donne, oramai di diritto nel novero delle vignaiole di razza cristallina che hanno preso per mano il mondo del vino italiano e gli hanno impresso una rapida e innovativa mutazione.
Mani gentili ma decise, idee chiare, gran capacità di ascolto.
Hanno generato vini difficilmente dimenticabili che confermano quanto l’opera umana e la sensibilità siano necessarie nel definire il concetto di terroir.
Vini così vicini (geograficamente) così lontani (stilisticamente).
Quasi lo specchio delle due Genitrici.
Eleganti, sottotraccia, bilanciati quelli di Sara Carbone.
Potenti e caustici al limite dell’insolenza ma introversi quelli di Elisabetta Musto Carmelitano.
Due facce del territorio, quella addomesticata e antropizzata del vulcano ormai spento e quella sulfurea e magmatica delle ere preistoriche.
Il 400 some 2007 dell’ Az. Agr. Carbone è vino in equilibrio, precario ma sicuro, come i funamboli.
Il frutto anticipa e si lega con i terziari, con la mineralità, con la balsamicità, con il leggero agrumato.
Tannini graffianti ma educati dalla morbidezza glicerica a sua volta smussata dall’acidità.
Una fusione degli ossimori.
Che inspiegabilmente crea armonia.
Elegante e levigato come una lava a cuscino.
Il Serra del Prete 2009 dell’Az. Agr. Musto Carmelitano per usare un’altro paragone circense è un trapezista in perenne squilibrio e in movimento apparentemente discordante, in cui solo la proiezione retinica è in grado di ricostruire un’armonia.
Giovane vino che profuma di graspo d’uva e linfa.
Scontroso, dai tannini quasi acerbi inseguiti e amplificati dall’acidità, cauterizzati dal floreale, dalla dolcezza dell’uva scrocchiante che esplode in bocca dopo ogni assaggio.
Bevibilità profonda con memoria di vini d’antan, nato per accompagnare cibo e chiacchiere.
Tagliente come una ossidiana nero pece.



Ho apprezzato molto anche il Fiano 2010 dell’ Az. Agr. Carbone giovane ma educato quasi opulento, tonificato da una acidità vivificante e il Maschitano rosato 2010 dell’Az. Agr. Musto Carmelitano, aglianico vinificato in bianco di grande impatto e spessore, ribelle e scontroso come le versioni in rosso.
Bonne degustation




Luigi



La degustazione dei vini è stata possibile grazie all’impegno ideativo e organizzativo di Davide Marone che sabato 26 novembre ha portato vini e produttori a Torino.




lunedì 28 novembre 2011

vinicolki AUSTRI 2005 sanfereolo nicoletta bocca

Vini col KI.
Austri 2005, San Fereolo di Nicoletta Bocca, Dogliani.

Nicoletta Bocca con Vittorio Rusinà e Massimo Dalma a Fornovo


Nicoletta Bocca coté intellettuale del mondo del vino piemontese, sempre un po’ restio alla commistione con la cultura.
Lei nei primi anni di esilio Doglianese ha compiuto un viaggio catartico e di profonda umiltà per recuperare la contadinità insita in ognuno di noi.
Io apprezzo molto ciò che ha fatto, soprattutto per invidia, perché lei è riuscita in un intento che io, troppo pavido, non ho avuto il coraggio di perseguire.
E’ scesa in campo senza la boria del parvenu, senza l’arroganza dell’imprenditore.
Intrisa di dubbi.
E’ andata nei vigneti e ha imparato da zero, ponendosi in ascolto.
Ha rivitalizzato i suoli condividendone la rinascita.
Ha dato chance a vigneti vecchi e disagiati in procinto di essere abbandonati nell’oblio perché non rispondenti alle sinergie produttive e alle economie di scala contemporanee.
Ha duramente lavorato sui vegetali e su se stessa e i suoi vini sembrano aver appreso la lezione e sfoggiano una profondità unica.
Sono introspettivi, timidi, ricchi, colti e complessi come certi intellettuali d’antan che parlavano mandarino e discettavano di astronomia e teatro Kabuki.
Io sono rimasto folgorato dal Coste di Riavolo, dal San Fereolo Dogliani 2005 e dall’Austri 2005 a base barbera di cui vi parlo oggi.
Corposa e nervosa.
La apri ed è come appena sbocciata.
Cupa e introspettiva.
Densa ma scattante.
Di china il colore.
Di frutti il sapore.
Avvolgente e terrosa.
Fitta di tannini e acidità benevole.
Buonissima.
Bonne degustation


Luigi



Vini degustati a Fornovo e non nego che un motivo per cui ci sono andato è che sapevo ci sarebbe stata Nicoletta in persona.


venerdì 25 novembre 2011

vinicolki colli di luni Santa Caterina vermentino albarola

Vini col Ki
Azienda Agricola Santa Caterina, Sarzana (SP).
Colli di Luni.

Foto di Vittorio Rusinà

Un territorio con licenza da terroir di rango.
Vigneti collinari con vista sul golfo dei poeti.
Il fantasma di Shelley e Byron che aleggiano sospinti dal grecale.
Il brusio sottotraccia dei bagnanti estivi.
La finta neve sulle alpi apuane incipriate dai fronti di cava.
Il rumore sordo dei marmisti e dei cantieri navali.
Per anni hanno dissetato con bianchi comuni i villeggianti alle prese con scottature e fritti di mare.
Il Vermentino la fa da padrone con residui di Albarola delle cinque terre e le prime anticipazioni di Sangiovese, Canaiolo e Ciliegiolo.
La Liguria comincia a cedere alla Toscana e le asperità montane alle piane alluvionali e più nell’entroterra ai rilievi preappenninici.
Andrea Kihlgren a Sarzana (SP) ha risistemato i vigneti di famiglia e vinifica con mano ferma ma gentile.
Tra ghiaie alluvionali del fiume Magra e argille rosse.
Un Vermentino dei Colli di Luni di classe limpida e di estrema nobiltà.
In queste condizioni climatiche le uve si deacidificano naturalmente per effetto del caldo e della mancanza di escursioni termiche.
Ebbene i suoi vini, profumati di erbe, sembrano invece verticali e affilati grazie ad una salinità e un amaricante impetuose.
Poi si allargano verso sapori caldi e maturi, sempre pizzicati da una leggera causticità.
Di Vermentino ne fa, da sempre dice, una versione il Poggi Alti, macerata sulle bucce, con un tannino vivido e ancestrale.
Vinifica anche un’Albarola in purezza da cui ne trae un vino antico, morbido, seducente, alcolico con memorie salmastre e allusioni ossidative da Catarratto, da Palomino.
Indolente come un pomeriggio di scirocco.
Produce anche un blend di Tocai e Sauvignon, il Giuncaro  potente, inebriante nei profumi, stordente come una giornata sotto il sole.
Montano lenti come onde e frangono rumorosi nei nostri palati.
Vini saporiti, scorrevoli, vini di mare.
Vini da bere mangiando sotto una topia inondati dalla morbida luce dell’occaso.
La cifra che li unisce è la nitida gestione della vinificazione e la nobiltà, sebbene vagamente languida, dei vini e, forse, del vignaiolo.
Bonne degustation



Luigi

mercoledì 23 novembre 2011

ristoranti pesanti nell'epoca delle leggerezze

Ristoranti pesanti nell’epoca delle leggerezze.


Placidi pachidermi rinchiusi in serragli principeschi.
Un po’ vuoti ora, mi dicono.
E’ un po’ di tempo che non ne frequento.
La felicità di esserci stato non bilanciava più l’angoscia dell’impatto del conto sull’economia famigliare.
Senza contare gli osannati posti di blasone che ho riprovato per dare loro una seconda chance.
E loro, a me, non l’hanno data, stesse delusioni.   
Costretto oltretutto a bere vini base reperibili alla GDO ad un quinto del prezzo.
Con la stessa profondità di annate.
Con la stessa geniale ricerca di etichette.
Pinguini nero vestiti in sala, freddi come la banchisa polare da cui provenivano.
Sommelier disinformati e distratti.
Ristoranti afflitti dal super ego dei cuochi.
Che, come artisti lunatici e sofferenti, si aggiravano nell’atelier per spiare gli avventori in estatica contemplazione delle divine loro creature.
Stancante assaporare in fil di coltello brandito come nobile fioretto piatti pluritematici e d’avanguardia.
Gastronavi impazzite che atterravano su tavoli così ampi che le relazioni sociali erano affidate all’interfono.
Silenziosi tintinnii di argentine posate.
Calici enormi e scintillanti.
A potersi permettere anche un contenuto.
Rivisitazioni delle rivisitazioni di piatti tradizionali, talora decostruiti, talora attualizzati, alleggeriti, trasfigurati, colati come calcestruzzi da betoniere in silver plated, irrorati di salse al mercurio bollente.
Ne uscivo stressato psicologicamente.
Come dopo un esame.
Ho deciso di smettere.


lunedì 21 novembre 2011

tuvaoes_vermentinodisardegna2009_cherchi

Giovanni Cherchi, Tuvaoes Vermentino di Sardegna doc 2009.

Foto Stefania Giardina

Il vermentino si radica sulle coste del mare ligure e tirrenico.
Dalla Liguria di ponente alle coste maremmane della Toscana.
Corsica e Sardegna.
Il Tuvaoes.
E’ vino del mare.
E’ vino che sa di mare.
Abituato al calore e al salmastro con le radici tra le pietre calcaree e le sabbie.
Nell’arido e nel vento.
E’ vino nobile e fascinoso.
Mineralità di salgemma incrostato sugli scogli.
Dolcezze di maturazioni spinte.
Amaritudini benevole di macchia odorosa.
Decadente e languido come torride sere ventose in riva al mare.
Potente.
Quelli continentali lo sono un po’ meno.
Penetrante come risacca il suo sapore.
Bonne degustation


luigi

Campione omaggiatomi da Fabio D’Uffizi grande conoscitore dei vini sardi, innamorato della sua isola.
Attualmente in prestito alle nebbie padane.
Il quale consegnadomelo mi ha detto:”E’ l'archetipo del vermentino sardo”
E io gli ho risposto:”Arche…arche…chè?”

Scorrendo i sacri testi di ampelografia ho visto che il vermentino è segnalato anche in Campania e in Sicilia, della Campania non ho memorie, in Sicilia segnalo un bianco de “La Moresca” a base di Vermentino e Roussane.



venerdì 18 novembre 2011

buon compleanno blog I°anniversario (quasi)







Un tweet piccolo piccolo di un amico, ignaro che fossimo prossimi al compimento del primo anno di vita, chiedeva perché avessi iniziato col blog e perché si chiamasse così.
Come molti tweet che ammorbano la timeline era destino che rimanesse senza risposta.
Fino a che durante una sessione di corsa mi è esplosa in testa una canzone.
Bum bum.
Subsonica.
Miei concittadini che ascolto poco perché portatori sani di un accento tamarro* che solo un torinese benpensante come me può riconoscere e allo stesso tempo odiare visceralmente.
Però il testo è entrato come virus nelle sinapsi oramai a corto di ossigeno.
“Tutto si muove, non riesco a stare fermo
Tremando ti cerco in tutti i canali.
È alta tensione ma senza orientamento.
Sbandando ti seguo in tutti i segnali.
Fuori controllo e ormai mi pulsi dentro.
Sento il contagio di un’infezione.
Senza ragione disprezzo ogni argomento,
Ogni contatto, ogni connessione.
Ti cerco perché sei la disfunzione,
La macchia sporca, la mia distrazione,
La superficie liscia delle cose,
La pace armata, la mia ostinazione.
Nuova ossessione che brucia ogni silenzio,
Dammi solo anestetici sorrisi e ancora
Nuova ossessione corrodi ogni momento
Sei la visione tra facce da dimenticare.
Nuova ossessione e ormai ci sono dentro,
Dammi solo anestetici sorrisi e una
Nuova ossessione perché mi trovo spento
Senza illusioni tra facce da dimenticare...”
Ecco la risposta alla domanda.
Vecchia passione che è diventata.
Nuova ossessione che brucia ogni silenzio.
Buon compleanno blog.
Sono fiero di festeggiarlo un mese in ritardo.
Perché si chiami Gli amici del Bar è intuitivo comprenderlo.
Inoltre Dario Voltolini scrittore, anche lui avventore disincantato del bar in questione, mi ha spinto involontariamente alla scrittura ma questo è un altro capitolo della casualità del vivere.
Grazie a tutti quelli che in un anno hanno sopportato le mie intemperanze e i miei deliri e anzi hanno dato segno di un attaccamento del tutto immeritato al blog e al sottoscritto.

*Tamarro inteso come ragazzo di periferia che nel tempo ha elaborato una cadenza nella parlata, originata dal mix linguistico di una città a forte immigrazione interna (ndr).



mercoledì 16 novembre 2011

Romorantin chi era costui? vins de loire Tessier

Domaine Philippe Tessier, Cour-Cheverny AOC, “La Porte Dorée” 2009, Cheverny, Francia.



Loira, Vins de Touraine e il vitigno che non ti aspetti.
Perché fino a cinque minuti prima non sapevi che esistesse sulla faccia del globo terracqueo.
Il Romorantin.
Dal mille novecento novanta tre è diventato AOC Cour-Cheverny.
Ossia solo i bianchi a base Romorantin possono fregiarsi della denominazione.
L’area è piccola al margine ovest della zona Vins de Touraine nella Loira centrale.
Su non più di cinquanta ettari di terreni sabbiosi e poveri con intrusioni argillose si coltiva un vitigno che ha parte del suo acido desossiribonucleico simile a quello dello Chardonnay, del Pinot, dell'Aligotè.
Parrebbe provenire dalla borgogna portato in epoca rinascimentale dal re Francesco I°.
Un manipolo di vignaioli ha resistito alle chimere del Sauvignon o dello Chardonnay e hanno testardamente coltivato e vinificato in purezza il dio minore dell’olimpo transalpino.
Il vino che ne scaturisce è molto interessante.
Questo, il loro prodotto di punta, proviene da vecchie vigne su terreni calcarei.
Unisce potenza alcolica a delicatezza di profumi.
Acidità ma soprattutto una salinità impetuosa e trascinante.
Una mineralità di scoglio marino.
Saporitissimo con finale di miele amaro e linfa.
Il tutto ad un costo di nove euro o giù di lì.
Il viaggio a Fornovo valeva questa scoperta.
Ancora di più valeva vedere il sottoscritto in compagnia di Tirebouchon lottare come titani per superare le barriere linguistiche.
“noio volevan savoir…le cepage…”
Bonne degustation


luigi

lunedì 14 novembre 2011

chi_èl'amico_delle_ossidazioni_VI°parte_jerez

Lustau Almacenista, Jerez Fino Manzanilla pasada de Sanlucar,
affinato da Manuel Cuevas Jurado a Sanlucar de Barrameda Spagna.


Dedicato a tutti quelli che…fortificato! Con il Brandy?...ma non è un vino…
Dedicato a tutti quelli che…ma sono tutti uguali…e poi arrivano a casa e ne comprano due casse sul web…
Dedicato a tutti quelli che…l’ossidazione no!...
Dedicato a tutti quelli che…non è territorio e no!...
Dedicato a tutti quelli che…non mi piace…e il mostro è già entrato nel loro cervello…
Dedicato a tutti quelli che…se provano a berlo mangiando castagne…poi li ricoverano alla neuro deliri e diagnosticano loro una sindrome di Stendhal…
Dedicato a tutti quelli che…ma da noi non si vende…certo se non c’è l’hai…come fai a venderlo?...
Dedicato a tutti quelli che…se lo bevono mangiando ostriche Fin de Claire…tornano a casa e spaccano tutte le bottiglie di Champagne…una a una sacramentando in Castigliano…
Dedicato a tutti quelli che…entrano in stato ansioso acuto sapendo che era l’ultima…e alla prima occasione picchiano i figli (citazione, voi non fatelo)…
Dedicato a tutti quelli che…leggeranno il post e diranno…mai e poi mai lo assaggerò…quella roba lì…
Meglio ne rimane di più per me…
Da consumare con moderazione…
Bonne degustation


Luigi

Selezione di Jerez fino Manzanilla proveniente da un singolo vignaiolo e da una singola solera dell’ Almacenista Manuel Cuevas Jurado per Emilio Lustau, imbottigliato in purezza, acquistato a Londra per un pugno di sterline.
Ah perfida Albione…

venerdì 11 novembre 2011

rosa_che_rosa_non_sei_Rosachespinenontemi

Maquè rosato 2010, Porta del Vento e altri vini rosa che rosa non sono.
cliccate per avere l’accompagnamento musicale alla lettura.



Negli ultimi tempi, negli ultimi giorni il vino rosato mi attira.
Sarà il colore così delicato e nobile che ricorda velluti e ciprie.
Sarà che il vignaiolo tenta con espedienti di forzare i grappoli blu a stingere ma con parsimonia e si percepisce questa ricerca, difficile, del compromesso tecnico.
Profumi, acidità, pochissimo tannino,  tinte in technicolor.
Un leggiadro fantasma.
Alla ricerca di una sua collocazione e di un suo carattere.
Ultimamente mi sono imbattuto in quattro rosati così lontani così vicini.
Il primo è il Chiulin dell Az. Agr. Balbiano da uve Freisa il più tecnico, giovane, fresco, profumato e fruttoso.
Il secondo è il Violet dell’Az. Agr. Guttarolo da uve primitivo che è rimasto in vasca cinque anni prima di essere imbottigliato, non era pronto mi diceva il vigneron ed è uscito adesso il millesimo 2005.
Incredibile nel colore carico rosa antico e nei profumi polverosi, appassiti e nella beva asciutta, secca, imponente.
Vino difficile, da non aprire con leggerezza, su una pizza, senza pensarci sù.
Buono?
Ci devo ancora pensare per adesso lo trovo fuori dal mio campo percettivo.
Il terzo che meriterebbe un post a parte è il Rosè d’un jour vdt, de la Ferme de la Sansonnière, Anjou (Loira).
Da uve Grolleau, senza solfiti aggiunti, color salmone intenso, profumatissimo, con residuo zuccherino importante (dai 20 ai 30 g/l).
Come recita in etichetta: una spremuta di uva.
Splendido da abbinare ai formaggi.
Attenzione dà dipendenza!
Il quarto arriva dalla Sicilia, da un produttore che mette a dura prova le sue uve e le nostre papille.
Marco Sferlazzo di Porta del Vento, oltranzista del non intervento in cantina.
Perricone vinificato in bianco (?!)
Evidentemente basta il fugace scivolare del mosto che strusciandosi sulle bucce nel torchio si colora con intensità.
Di un colore decadente, rosa polveroso.
Vino contadino, robusto, dai sapori quasi dimenticati e dai profumi ormai ignoti.
Sentori melogranati e agrumati ed echi di karkadè.
Nel bicchiere aleggiano come in un dagherrotipo le memorie di una campagna preindustriale.
Trazzere bianche e ciuchini.
Beva accellerata da una volatile non proprio marginale.
Secco e robusto.
Lo abbinerei al coniglio alla stimpirata.
Bonne degustation


Luigi

mercoledì 9 novembre 2011

dolcetto_langheMonregalesi_con_nostalgia2010_vicoforte

Bricco Mollea di Angioletta De Giorgis, Dolcetto delle Langhe Monregalesi doc, “XIII° vendemmia. Con nostalgia”, 2010.



Un “piccolo” dolcetto pedemontano di Vicoforte (CN) vicino a Mondovì (CN).
Dove la pianura che da Torino scende a sud, scortata dalle Alpi e dalle colline del Monferrato e poi di Langa, verso il mare, si increspa e si solleva nel disperato tentativo di non finire a mollo nel Mediterraneo.
Alpi Liguri e non colline di Langa.
Piccolo perché ha le caratteristiche dei dolcetti di montagna.
E il dolcetto in montagna se la cava egregiamente arrivando a maturazione prima che scenda la neve.
E come tale non inarca un corpo possente con colori cupi, tannini ruvidi e alcool in sovrabbondanza.
Il frutto è più delicato e acidulo, il passo è agile da scalatore attento a non caricarsi di pesi superflui.


I profumi sono più minerali, di macchia, di sottobosco e di humus.
La bocca è fresca quasi acidulata come certi lamponi o le piccole prugne gialle che crescono lungo i bordi delle strade sterrate di montagna.
Sgrassante e bevibile.
Vini da riscoprire e da adottare per la loro esuberante normalità.
Da polenta e formaggi.
Piccolo perché è una produzione confidenziale.
Il produttore ormai in pensione ha dedicato molto al bellissimo B&B di chiara impronta contemporanea e il vigneto è piccolo, anche lui.
Piccolo per il prezzo di sette euro e cinquanta in enoteca.
Piccolo, anzi ormai unico perché dal 2011 dovrà chiamarsi Dogliani Docg.
E sia il territorio sia il vino con il Dogliani mi pare abbiano poco da spartire.
Forse solo la cultivar.
Per questo il produttore ha messo in etichetta “con nostalgia”.
Bonne degustation


Luigi


Campione omaggiato dallo “scopritore” Rosario Levatino e con lui degustato nel retro della sua enoteca i “Sapori d’Italia”.


lunedì 7 novembre 2011

_fornovo_di_taro_vinideivignaioli30/31102011_

Una settimana dopo.
Il territorio come stato mentale.


Non volevo scrivere di Fornovo e della fiera dei vini di vignaioli.
Perché di strategie di mercato, fiere, business ne capisco poco o nulla.
Perché ci sono andato leggero.
Si fa per dire, ero armato di carrello per gli acquisti, macchine foto, taccuino per gli appunti.
Ho usato solo il carrello.
E a culo gli appunti e le foto.
Ottimo viaggio in treno.
Ottima compagnia trovata in loco.
Molto qualificata e sottotraccia e molto interessata.
I soliti quattro gatti che però fanno della divulgazione del verbo enoico la loro vita e il loro mestiere.
Rumore e festosa partecipazione.
Tendone con memorie di fiere anni settanta.
Un mito per i cultori dei beta movies italiani.
Bicchieri pessimi, unica nota negativa, il prossimo anno me ne porterò uno.




Metti più di due vignaioli insieme e si genera un territorio dell’anima.
Si è celebrato, come nelle fiere arcaiche, un rito di riunificazione e incontro prima dei mesi bui dell’inverno e si è bruciato con l’alcool e le risate il suo spettro.
Gettando un ponte per una primavera mite e feconda.
Un rito di appartenenza cementato dallo scambio e dalla partecipazione comunitaria.
Cosa si voglia comunicare con fiere del genere e a chi, non lo saprei dire.
Sicuramente ne è venuta fuori una cotè festosa e ancestrale, un baccanale in salsa contemporanea.
L’esatto opposto delle algide manifestazioni business oriented o gli educational.
Non c’era territorio!
Qualcuno ha tuonato nella cassa di risonanza del web.
Ma cos’è il territorio?
Ma cos’è una comunità?
Se non l’espressione di un territorio.
Domenica e lunedì a Fornovo c’era una comunità che ha portato i frutti della propria terra alla conoscenza degli altri e noi abbiamo visitato i loro territori cercandoli nel bicchiere.
Un melting pot momentaneo e sovversivo e popolare.
Da sempre l’ibridazione e la contaminazione hanno generato novità e tradizioni.
Perché le tradizioni, i territori non sono monoliti fissi e immutabili ma processi continui di modificazione e acquisizione e cambiamento.
Il flusso e l’oblio sono le cifre del territorio.
Non la staticità delle pietre.
Il territorio è generato dalle comunità.
E a Fornovo la comunità si è riunita.
E ha offerto i doni della propria terra ai visitatori.
Ed io, nel mio piccolo, sono contento di esserci stato.


venerdì 4 novembre 2011

balbiano_chiulin_spumanteRosèBrut_freisa

Azienda Vitivinicola Balbiano, Chiulin Vino Spumante Brut Rosè metodo Charmat.


Colore intenso di rosa antica.
Profumatissimo.
Brioso.
Godurioso.
Un vin de soif.
Freddissimo e spumeggiante con lieve raschio tannico.
Figlio della Freisa delle colline torinesi.
Giustamente scontrosetto.
Pugno di ferro in guanto di velluto.
Rosa savoia, naturalmente.
Il velluto intendo.
E il vino.
Nato dalla voglia di esplorare un’uva duttile come le argille da cui nasce.
“Un’esperimento, stiamo valutando il feed back dei nostri clienti per continuare a farlo…” dice Luca Balbiano.
Io l’ho pregato di proseguire, come si può mangiare una pizza con bufala senza Chiulin.
O una brisaola della Valtellina con patate viola di Vitton.
Glu
Glu
Va giù
Bonne degustation


Luigi  


Campione acquistato a circa 7,00 euro dal produttore

mercoledì 2 novembre 2011

#blogagricolo_vinidelcontadino_pensieri

Nelle ultime ventiquattro ore ho ricevuto due telefonate che, a mio avviso, meritano un po’ di spazio sul blog.

Foto di Stefania Giardina

La prima è stata con Vittorio Rusinà alias Tirebouchon che come dice Pinketts ha “il senso della frase”.
Ha coniato, sebbene non sappia se meritarmelo, per il mio umile panphlet il termine #blogagricolo.
Devo dire che mi piace molto.
Gliene sono grato e adesso vedrò come usarlo.
Siamo ciò che mangiamo e ciò che beviamo.
L’esperienza del fare agricoltura, anche da amatori, riavvicina alla genesi di tutti gli alimenti.
Vedere i semi che nascono dalla terra con teneri cotiledoni di pochi millimetri e diventano poi, con pazienza e tempo, piante adulte anche molto grandi crea sempre stupore e incredulità.
Luce, anidride carbonica, ossigeno, dosi omeopatiche di minerali e acqua diventano cibo per noi e per la nostra anima.



La seconda è stata di un produttore di vino, persona ormai anziana e distante dalla furibonde dinamiche attuali, che, malgrado non mi conoscesse affatto, mi ha tenuto al telefono una mezzoretta.
Nella quale è riuscito ad affrescare la sua vita, la nostra vita degli ultimi quarant’anni con tocchi da impressionista.
“ho incominciato ad imbottigliare negli anni sessanta”
“Adesso è tornato di moda il vino tradizionale…sa lascio il vino sulle bucce tutto il tempo necessario, quello che io ritengo necessario, anche 40 o 50 giorni…poi lo travaso ma piano se no si intorbidisce e ci impiego anche una settimana per vasca, lo prelevo un po’ da sotto un po’ da sopra…”
“Cemento solo cemento per la fermentazione, lì dentro è più lenta, poi inox per la malolattica e poi legno in primavera inoltrata…”
“Certo che per chi non ha mai fatto vini tradizionale reimparare a farlo adesso è difficile, io l’ho sempre fatto così e sì che mi farebbero comodo delle barrique, sa adesso ho poco vino, però è come snaturare un processo consolidato e rischio di perdere l’anima del mio vino…”
“quando ho iniziato e Ceretto mi ha tanto aiutato, qui eravamo…sei o sette a imbottigliare…oggi più di cento, tutti quelli che hanno un pezzo di vigna lo fanno oramai…”
“il 2002, pensavo di non portare a casa nulla…invece non sa che soddisfazioni mi ha dato…”
“Da sempre vendo ai privati, vengono qui parliamo assaggiamo e vanno via con due o tre cartoni…”
“spesso mi chiedono: hai qualcosa di vecchio? Ormai non ho più niente gli rispondo…”
 “Adesso con internet, ogni tanto vengono da me con mie bottiglie del ’58, del ’60 e gli chiedo ma dove le avete prese?…Se le scambiano, le comprano, non so, dalla Germania, dal giappone boh…”
“non esco più tanto è un po’ che non assaggio i vini di Bartolo e di Beppe…”
“nel ’70 Ceretto è venuto da me e mi ha chiesto alcune bottiglie, che gli ho dato, perché lui ha sempre creduto in me e nel mio lavoro….Poi sono tornato al mio lavoro, sa all’epoca avevo tante vigne…”
“Dopo alcuni mesi (Ceretto) è tornato con una guida e mi ha fatto vedere che avevo le tre stelle sulla guida Bolaffi Veronelli”
“Era una bella guida aveva credibilità e prestigio e mi ha portato tanti clienti…troppi, forse, in certi momenti…poi l’hanno chiusa…”
“per un po’ non ho dato vini a nessuna guida, poi mi hanno telefonato dalla germania e mi hanno detto: credevamo fossi morto!...così ho ricomiciato a darli, a una sola, quella dell’AIS…”
“a slow food non li do e pensare che siamo molto amici con Carlin…sto su una sola guida, non ho vino a sufficienza per stare anche su altre…”
“Roma un bel mercato…ho venduto per quindici anni con un professore che mi rappresentava, il cognato di Sangiorgi, poi troppi sconti merce, insomma mi sono stufato…”


Foto di Stefania Giardina


“ho cominciato a vendere in giappone, lì mi prendono tutte le annate vecchie sono contentissimi, vengono a trovarmi…”
“germania un bel mercato, no nessun rappresentante, vengono qui loro e se lo prendono, passano un weekend in langa..”
“vengono tanto anche dalla lombardia, mi piace parlare con loro li provoco un po’ sulla lega, se la prendono, si infervorano, mi piace…sa io ero un po’ di sinistra mi piaceva Craxi poi ho sperato in Mariotto Segni, oggi quando c’è la politica in tv cambio canale…”
“ai ristoranti qui intorno non lo do e sono arrabbiati, solo a Ceretto che ha aperto quel ristorante da cento euro (magari solo cento! Ndr), a lui non posso dire di no…si il sommeliere lo conosco quello giovane…è venuto spesso da me, un bravo ragazzo…”
“adesso devo cambiare i nomi dei miei vini, mi hanno detto che non vanno più bene, hanno fatto le sottozone e nelle sottozone hanno anche abbassato la quantità per ettaro da ottanta quintali a settanta mah…”
“cosa mi è rimasto…non saprei…se viene qua qualcosa troviamo…no barbera no, è finita, devo imbottigliarla adesso ma tanto non c’è nessuno che mi insegue…è mia sorella che lo sa, è lei che si occupa della burocrazia e del magazzino…e poi non voglio nuovi clienti ho paura di non poterli accontentare…”
“mi scusi ma devo andare ho la minestra nel piatto che si fredda”
Non posso non andare a trovarlo e i suoi vini saranno buonissimi, di sicuro.
Se volete potete provare ad indovinare chi è il produttore con cui ho parlato.
Dal gioco sono esclusi Mauro Mattei e Pietro Vergano.

Stei tiuned