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venerdì 29 aprile 2011

vinofermentazione_culturamaterialereligionemagismo_estetica


“…Il vino non è solo una dose di alcol o una bevanda mista: è una trasformazione dell’uva e il cambiamento dell’anima sotto la sua influenza non è che la continuazione di un’altra trasformazione iniziata, magari tempo prima, quando l’uva è stata staccata dalla vite (è anche per questo che, secondo i Greci, la fermentazione è opera di un dio. Dioniso entra nell’uva, la trasforma e questa trasformazione passa poi in noi quando beviamo). Noi sappiamo che nella trasformazione è coinvolta una capacità umana, ma si tratta di una capacità di natura diversa da quella del miscelatore di cocktail: è alto artigianato e il suo risultato è, in una certa misura, un tributo non solo all’abilità del coltivatore e del vinificatore ma all’intero processo etologico che ci ha trasformati da cacciatori e raccoglitori in agricoltori (e di cui, forse, c’è un eco nell’episodio dell’ubriachezza di Noè).”

Roger Scruton
Bevo dunque sono. Guida filosofica al vino.

“nella quiete
di un sorso tramandare
vecchi costumi”
 
Haiku2#barbera2 di Slawka G. Scarso

Oggi ho creduto che altri avessero espresso molto meglio di me quei fatui pensieri imprendibili che fanno, ogni tanto, capolino nelle mie connessioni neurali.
E rimango in attesa di un innesto di memoria digitale.
Bonne degustation

Luigi

mercoledì 27 aprile 2011

burson_etichettanera2006zolilugobagnacavalloravennaemilia

Ho bevuto il Burson.
Me lo ha offerto il mio amico Rosario.
Nel retro del suo negozio.



Con deferenza e curiosità ha tirato fuori la bottiglia, acquistata casualmente in un agriturismo di Lugo (RA).
Voleva sia condividere sia avere un mio parere.
Io con fare da miscredente lo prendo, lo osservo, mi informo, dubito, alzo il sopracciglio e poi impaziente.
Comincio il rito dell’apertura secondo protocollo AIS.
Capsula.
Pulisco.
Stappo.
Ripulisco.
Verso.
Violaceo  intenso e profondo.
Annuso.
Riannuso,  controllo il millesimo, 2006, stropiccio gli occhi, inforco gli occhiali rileggo: sempre 2006.
Intenso quasi detonante nei profumi.
Floreale di viola rossa con petali carnosi e giglio e narciso.
Fruttato di ciliegie, fragoline, mirtillo, visciole.
Minerale con toni ematici e terrosi, caramella di liquerizia e viola.

In bocca sgrassa con un tannino verdognolo e bruciante che mi ricorda quello dei lambruschi, indugia su un susseguirsi di dolci ammiccamenti frutto floreali su un corpo muscoloso ma esile e abrasivo.
Bevevamo e mangiavamo fette di prosciutto crudo di Sauris.
Avremmo voluto non finisse mai.
Tornato a casa, come sempre piuttosto malfermo sulle gambe ma con una espansione della coscienza a livello planetario, scopro che di questo vitigno di pianura, autoctono di Bagnacavallo ne aveva parlato prima e meglio di mè il mio mentore del web.
Vittorio Rusinà as known as Tirebouchon nel lontano 2005.
Un vino carbonaro lo definisce il cavaturaccioli sabaudo.
Sul web pareri discordanti secondo mè un po’ aprioristicamente influenzati dal fatto che è vino di pianura.
Io l’ho gradito molto, Rosario mi ha promesso che una dozzina di bottiglie per gli affezionati le prenderà.
Io aspetto con ansia.
Due delucidazioni sul Burson:
Rosso Ravenna IGT 2006, etichetta nera, 13% vol, az agr Vincenzo Zoli, Lugo (RA)
a base di uva Longanesi prodotto in pianura a Bagnacavallo (RA).
Il Consorzio “Il Bagnacavallo” ha registrato il vino ricavato dall’Uva Longanesi con il nome “Burson” e ne tutela le caratteristiche con un disciplinare di produzione.
In commercio il Burson si trova in bottiglie personalizzate con il logo del Consorzio, nelle due tipologie: etichetta blu, con invecchiamento di 6/8 mesi in tonneaux da 500 litri ed etichetta nera con invecchiamento di 16/18 mesi in tonneaux da 500 litri oppure 10 mesi in tonneaux ed altri 10 in fusti di capacità superiore.
Bonne degustation

Luigi

venerdì 22 aprile 2011

#vdr_vinodellaregina2009vignadellareginatorino13_04_2011

Millesimo 2009.




Una vigna nella città di Torino.
Adagiata su un costone della collina torinese al fianco di una Villa barocca residenza estiva di Anna d’Orleans.
Di  fronte il Po, la città e le Alpi.
Per immedesimarmi ho raggiunto la Villa a piedi come un normale cittadino secentesco percorrendo le direttrici barocche della città.
Via della Dora Grossa (via Garibaldi), piazza Castello, via di Po.

Mercoledì tredici aprile duemilaundici ho bevuto vino barocco.
Assaporandolo ho conosciuto per contatto diretto la storia di Torino.
Ed era non tanto il gusto di un luogo ma l’aroma donato dall’impresa dell’insediamento.
Bere quel vino è stato un tuffo indietro nello spazio tempo.
Dentro  di me sentivo lo scalpiccio dei cavalli e il profumo di cipria delle cortigiane settecentesche.


Sentivo il calore e il fumo delle fornaci, la fatica dei garzoni e dei maestri da muro che hanno fabbricato questi palazzi.
Sentivo il sudore dei giardinieri che hanno piantato e allevato centinaia di varietà di alberi, arbusti, fiori, ortaggi, frutti.
Sentivo il berciare dei mulattieri.
Sentivo Carlo Emanuele II di Savoia  commissionare a un tipografo olandese la stampa di un volume ricchissimo sulle bellezze del Regno il “Theatrum Sabaudiae”.
Sentivo il frusciare delle pagine in pergamena di questo volumone prezioso.


Vedevo di là dal fiume Po una piccola città murata e intorno altre ville in costruzione e campagne e tratturi.
Vedevo un’abate siciliano, architetto affacendato intorno ai cantieri.
Vedevo la fila interminabile, dal porto fluviale sul Po, delle salmerie cariche di materiali diretti alla Villa.
Vedevo  a destra e sinistra della villa altre vigne.
Vedevo le Alpi, sotto un cielo azzuro, disposte come corona, franare sulla città.

E’ bastato un bicchiere di vino per vedere tutto ciò come in un racconto cyber punk.
Flash neurali provenienti da cyber memorie, risvegliate dal vino, balenavano nei miei gangli nervosi.
Hanno parlato il tredici aprile duemilaundici Mario Turetta, Edith Gabrielli, Cristina Mossetti e  l’Arch. Federico Fontana presentando il loro lavoro di recupero del complesso di Villa della Regina.
Io ho ascoltato, sopraffatto dal peso della storia, le parole di persone che hanno creduto al di là della comune ragionevolezza, nel recupero attivo e produttivo di un monumento che trascendesse la mera visione museale e si reinnestasse nel tessuto attivo della città e ne placasse simbolicamente la sete.
Recupero complesso di una Villa che aveva fatto dell’intreccio fra città, giardini, agricoltura e costruito un elemento fondante.
C’erano centinaia di varietà di vegetali messe a dimora e allevate sia nei viali dei giardini sia nella serra sia nel giardino dei frutti sia nel giardino dei legumi.

Oggi ci siamo dovuti accontentare e ridimensionare ma con pervicacia è stato perseguito il recupero di tutti quegli spazi effimeri ma di grande importanza nella relazione con la città, come il giardino all’italiana, le fontane e le folie che cingono il corpo di fabbrica, la scalinata che scivola ripida verso via Villa della Regina, la casa del Vignolante e gli orti.
La vigna (0,7 ha) rientra quindi in una logica volta all’integrazione anche produttiva della Villa.
Sono pochi gli esempi di Musei con risvolti produttivi reali e non solo formali.

La vigna in città è reperto museale ne rimagono pochissimi esempi a Brescia, Bolzano, Parigi, Stoccarda.
Studi storico ampelografici hanno determinato le varietà da impiantare (freisa, barbera, carry).
Microvinificazioni di prova hanno determinato la tipologia di vino da fare (vino fermo e di struttura).
La gestione del vigneto, impiantato nel 2006 è stata affidata alla azienda agricola Balbiano di Andezeno che ha



grande esperienza nell’allevare, gestire e poi vinificare la Freisa, cugina del Nebbiolo quindi uva in odore di santità.
Il vigneto sotto il sole brilla come uno Swarovski nel vano tentativo di allontanare dalle uve i passeri di città.
E’ ritornato nei giardini anche il Bufo Bufo e qualcuno ha proposto di baciarlo nella speranza che si tramutasse in principe.


Grande attenzione è stata rivolta alla grafica delle etichette in uno splendido rosa Savoia con la corona in bella mostra e un collarino che in un gioco di contrappasso esibisce un Qr code.
L’infaticabile tessitore dei rapporti fra storia, viticoltura e web è Luca Balbiano (che meriterebbe un post “c’è fermento a Torino”) dell’omonima azienda agricola che ripone grande fiducia sul potenziale comunicativo del web al punto di creare un sito specifico per la Vigna della Regina.
Ha riposto fiducia nei food-enoblogger, al punto di invitarne un nutrito stuolo alla conferenza stampa.
Io, per nulla abituato a questi eventi formali, mi sentivo come alla gita scolastica di fine anno.



Sono stati raggiunti toni surreali quando il Rag. Monero della Pastiglie Leone s.r.l., coinvolto da Franco Balbiano nella produzione di pastiglie al freisa e cari provenienti dalla Vigna della Regina, in dialetto piemontese ci ha fatti ripiombare in un gorgo storico storico che da Galeno, alla scuola di medicina di Salerno, agli alchimisti medievali, a Cagliostro, ai farmacisti ottocenteschi ci ha portato sino alla confetteria attuale, branca ludico-gourmet della farmacia.
L’architetto Fontana ha chiesto alla delegazione degli eno-blogger, prima della conferenza stampa, se il vino prodotto giustificasse la lotta necessaria per ottenere i permessi per piantumare l’altro lotto di vigna, allora ero confuso.
Adesso mi sento di dirgli con forza sì.
Perché quel vino è Torino, la sua comunità e la sua storia.


 
“salgono lampi
d’antiche emozioni dal
calice rosso”

Haiku6#barbera2 di Slawka G. Scarso
Avrei preferito fosse Haiku#freisa ma ci dobbiamo accontentare.

Sabato 14 maggio alle 16,00 alla Villa si terrà l’asta benefica del “Vigna della Regina”.
Saranno battuti all’Asta da Giancarlo Montaldo.
26 lotti di bottiglie di Vino della Regina 2009 di differente formato:
Magnum da 1,5 litri;
Jeroboam da 3 litri;
Balthazar da 12 litri;
Magnum  di grappa;
Cinque maxi latte delle pastiglie Leone al “Vigna della Regina”.
Tutti pezzi unici, con etichette disegnate dall’artista Luigi Stoisa.
I proventi dell’asta saranno devoluti dall’azienda vitivinicola Balbiano a Villa della Regina per lavori di restauro e recupero della villa.



In ordine di apparizione:
Mario Turetta direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Piemonte;
Edith Gabrielli soprintendente per i beni storici artistici ed etnoantropologici;
Cristina Mossetti  direttrice della Villa della Regina;
Arch. Federico Fontana direttore dei lavori;
Franco Balbiano dell’azienda agricola Balbiano;
rag. Monero della Pastiglie Leone srl;
Luca Balbiano dell’azienda agricola Balbiano.


Ai fortunati e munifici acquirenti del vino di Torino.
Bonne degustation

Luigi


mercoledì 20 aprile 2011

ruchè 2009 castagnole monferrato doc cascina tavijn scurzolengo

Potere agli autoctoni.
Ruchè di Castagnole Monferrato doc 2009, cascina Tavijn, 14%vol, Scurzolengo (AT).
Il Ruchè doc si può fare solo nei comuni di Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi tutti in provincia di Asti.



Provo immenso piacere nello scrivere di un vino che profuma delle mie estati giovanili.
Non posso togliermi dalla bocca il sapore della terra rossa arsa e spaccata dal sole e del fieno e la dolcezza delle more mature nascoste dentro cuscini spinati inavvicinabili.
Le terre che danno origine a questo vitigno-vino sono rosse di argille pesanti appena incanutite dalle marne, calde e arrostite dal sole d’agosto, collose e vischiose quando i temporali le bagnano.
Le viti si contorcono come i Prigioni di Michelangelo nello sforzo drammatico di elevarsi dalla materia che le imprigiona.



Vitigno antico e raro, riscoperto e riselezionato negli anni settanta, è diventato doc nel 1987.
E’ stato usato come leva mediatica per risollevare l’immagine di un’area del Monferrato in declino verticale.
Figlia di una Barbera mal fatta e venduta a poco prezzo alla gente di città.
Onore a Nadia Verrua e ai suoi genitori per avere sposato una “naturale” ricerca di qualità in terre afflitte da esodi biblici, sovraproduzioni e cantine sociali.

Da vigneti cotti dal sole nasce il suo Ruchè, vitigno unico in italia delicatamente aromatico e decisamente raro.
Non è una versione edulcorata la sua, con ammiccamenti aromatici.
E’ potente, terroso, tannico.
Ti investe come il caldo agostano quando esci di casa a mezzogiorno.
Quando ti riprendi dal leggero svenimento senti i fiori, la rosa rossa, le calle, le gigliacee, le more, un po’ di ciliegia, io ho sentito quel misto balsamico di viola, liquerizia e eucalipto, terra calda, pepe nero e spezie.
Un vino da sacrestia di un monastero bizantino nel deserto.
In bocca si allarga morbido e fruttato e floreale e speziato con retrolfatto di incensi, sostenuto da alcool, acidità e tannini.
Ottimo vino con l’aromaticità innestata su corpo da lottatore.
Mi hanno detto che Nadia sente una leggera surmaturazione di troppo.
Io l’ho cercata fino in fondo alla bottiglia e non l’ho trovata.
Però mi è tornato in mente l’Haiku20#barbera2 di Slawka G. Scarso:

Sospeso sulla
Vite il tempo che è stato
L’oggi e il domani

Bonne degustation

luigi

lunedì 18 aprile 2011

monemvasiacasalonelumonferratomalvasiasecca

Monemvasia Vdt, 13% vol,  Casalone, Lu Monferrato (AL).


Dicono che le Malvasie nel basso monferrato sino ai Colli Piacentini fossero, in epoca prefillosserica, molto diffuse.

Le Malvasie di Casorzo e Castelnuovo Don Bosco sono una probabile memoria storica, figlie di mutazioni genetiche spontanee.
A differenza dei Colli Piacentini e dell’Emilia in cui si vinificano in secco anche con l’aggiunta di moscato e varietà non aromatiche, pochi nel basso Monferrato hanno intrapreso questa via di interpretazione storico-filologica delle varietà presenti sul territorio e di fatto si negano la possibilità di produrre dei vini bianchi (qui rarissimi e mediocri) di personalità.
Ci provano con il Cortese ma senza risultati significativi.


Invece i Casalone in quel di Lu Monferrato (AL) ci hanno creduto e ottengono un vino secco gradevolissimo di personalità, bevibilissimo.
Profumi nitidi varietali e fruttati e floreali.
Intensa al naso ma non stucchevole, leggero vegetale che stimola e rinfresca, poi litchees, pesca bianca matura, mandorla e miele di mandorla, fiori di pruno e zagare e melone bianco.
Molto morbida, forse un po’ troppo, calda in bocca, delicatamente varietale, fruttata, sensazioni dolci contrastate dal leggero ammandorlato.
Proposta in cantina a prezzi commoventi circa 7,00 euro.
Bonne degustation

Luigi



Le Malvasie sono vitigni arcaici che riportano ai vini mitici della Grecia.

venerdì 15 aprile 2011

carlaz 2008 walter de battè prima terra vermentino luni la spezia

Carlaz VdT bianco 2008, az. agr. Prima Terra, località Campiglia La Spezia.
Walter De Battè è un mito dell’enologia contemporanea (per lo meno uno dei miei) principalmente per la sua collocazione geografica, Rio Maggiore (SP) le Cinque Terre, ambiente eroico per la viticoltura e per le sue scelte



di vita, l’abbandono del lavoro come operaio ai cantieri navali di La Spezia e per aver abbracciato tecniche agronomiche e di vinificazioni arcaico-olistiche e per il suo isolamento dal rutilante mondo del vino.
Un concentrato di eccezionalità per un uomo della nostra epoca così afflitta dall’espansione, dalla sovraesposizione mediatica.

Poi leggo, che alcuni vigneti delle Cinque Terre li ha dovuti abbandonare perché i vicini invidiosi non gli permettevano più l’accesso all’acqua per irrigare.
Non nego che una furtiva lacrima di indignazione e rabbia mi ha rigato la faccia.
Poi leggo che ha acquisito dei vigneti nella lunigiana, in condizioni geografiche più semplici e si è messo a sperimentare con i vini rossi e il vermentino.
Walter de Battè è un alfiere della viticoltura eroica, scevra da chimica e da esasperazioni enotecniche  uno dei primi a cercare pervicacemente il territorio nelle buccie dei bianchi.
Con macerazioni brevi a temperatura ambiente e rimontaggi frequenti.
Insomma un mito.
A cena una sera da Pietro Vergano al ristò Consorzio di Torino mi viene proposta come novità il Carlaz 2008 (solo sei bottiglie comprate da non so che spacciatore).
Az! non posso non assaggiare, propongo a mia moglie un bel menuino tutto pesce.
Naturalmente senza secondi fini!
Casualmente ordino il Carlaz!
Il fido Pietro Vergano ce lo porta con gran enfasi e con movimenti da Maestro del Tè lo scaraffa in una specie di “pitale” che dovrebbe, secondo l’inventore, dinamizzare e attivare il vino, un diabolico strumento para-biodinamico.
Ovarius si chiama il pitale di cui sopra ed è talmente brutto che diverrà nel giro di breve tempo un must.
Pronti a riceverlo e a regalarlo al prossimo Natale.
Vi ho avvertiti!
Il vino è giallo oro intenso e vivo, nella bottiglia una graniglietta di tartrati depositati.

Nessuna filtrazione dice in controetichetta.
Sono emozionato è il secondo vino di Walter de Battè che bevo in vita mia.
Naso.
Ridotto, molto sulfureo, plastica, gomma.
Aspetto.
Roteo il bicchiere per arieggiare.
Niente non si libera di quei sentori, sembra di intuire dell’idrocarburo e miele, forse, dei fiori (ma mi sà che sono io che li voglio sentire).
In bocca è meglio, spesso è così.
Morbido ma con velo tannico sgrassante, floreale di gigli, caldo e avvolgente, acidità appena residuale.
Descrittori (orrenda parola giuro che è l’ultima volta che la uso) per i profumi-sapori praticamente introvabili.
La cena è finita e il vino nel pitale non si è aperto.
Delusione anche se in bocca si sentiva la stoffa.
E' un vino che si abbina bene col cibo, sgrassa, pulisce la bocca, non copre i sapori, stimola con le componenti acido-volatili.
E’ che non si vive di promesse.
Bisogna anche mantenerle.
Grazie comunque a Walter de Battè e a Pietro Vergano ci proverò di nuovo.
Anche se stò maturando la convinzione che i vini non devono essere inarrivabili, ostici, para puzzoni per essere etici e naturali.
E’ un discorso difficile che non mi sento di affrontare qui.
Nel frattempo continuo imperterrito l’allenamento.
Perché come diceva il compianto Martin Vasquez Montalban dalla morte voglio farmi trovare ben marinato.

Bonne degustation

luigi




giovedì 14 aprile 2011

ecologiasvilupposostenibiledecrescitaumentodelconsumo




L'ecologia è sovversiva perché mette in discussione
l'immaginario capitalista dominante.
Ne consegue l'assunto fondamentale secondo cui il nostro
orizzonte è il continuo aumento della produzione
e dei consumi.
L'ecologia mette in luce l'impatto
catastrofico della logica capitalistica sull'ambiente
naturale e sulla vita degli esseri umani.

Cornelius Castoriadis


martedì 12 aprile 2011

cupo igt campania 2007 pietracupa fiano montefredane loffredo

Cupo IGT Campania 2007, 14% vol, Az. Agr. Pietracupa di Sabino Loffredo, Montefredane (AV).
Vino che ho inseguito a lungo sino a chè dopo innumeri telefonate ho convinto il sig. Loffredo a inviarmene una dozzina di bottiglie, era il 2008.


Ne ho bevute undici entro gennaio 2010, cercando quella super nella successiva.
E mi sono chiesto perché le avessi comprate.
Sino ad oggi nove aprile duemilaundici.
Una vocina mi diceva è ora dai stappa è ora.
Con nonchalance la sera, dopo un pomeriggio a cuocermi al sole nell’orto, con i soliti bifolchi appoggiati alle reti che chiosavano sulle mie tecniche agronomiche.

 Prendo la bottiglia facendo finta di nulla.
Capsula
Pulisco
Stappo
Ripulisco
Verso.
Giallo paglierino chiaro (normale come le precedenti).
Annuso a bicchiere fermo.
Altra storia
finalmente!
mineralità imponente e fondi citrini.
Roteo abilmente il bicchiere bagnadomi la felpa e la sedia.
Esplode una mineralità che nei minuti diventa idrocarburi renani, sfuma l’agrume e viene rincalzato da note dolci di miele, vaniglia, pesca matura sempre a galleggiare in liquido acido.
La spalla acida (mi si consenta il termine) è poderosa, addirittura olfattibile e tiene in soluzione quel poco di dolcezza.
In bocca è verticale con cattiveria, sgrassa e poi retrolfattivamente blandisce con un po’ di mou, caramello, miele come una carezza dopo uno schiaffone.


Superbo e non finisce mai ed è ancora dannatamente giovane.
Acc. il duemilasette l’ho finito.
Signor Loffredo perché ha chiamato Cupo un vino brillante come un cristallo di ghiaccio?
Signor Loffredo perché vende il Cupo così presto?
Noi serial taster non riusciamo ad aspettare così tanto prima di degustare le nostre vittime!
Amanti delle sovamaturazioni astenersi.
Qualcuno deve spiegarmi come un bianco della Loira sia finito in provincia di Avellino.
Da segnalare per la grafica molto cool e intrigante.
Comprato a circa 20,00 euro nel 2008.



Bonne degustation


Luigi


P.S.
Per i precisini questo vino è a base Fiano ed è prodotto nelle zone ricadente nell’omonima Docg.
Il sig. Loffredo fa anche un Greco di Tufo e appunto un Fiano di Avellino che ho comprato ma ho finito troppo presto, molto prima che potessero esprimersi.

lunedì 11 aprile 2011

terroirpedoclimageografiaagronomiaampelografiaterritoriomicrobiologiavitignienologicontadiniruralitàconsumocantinaenotria


il terroir è uno spazio geografico delimitato dove una comunità umana ha costruito, nel corso della storia, un sapere intellettuale collettivo di produzione, fondato su un sistema d’interazioni tra un ambiente fisico e biologico ed un insieme di fattori umani, dentro al quale gli itinerari socio-tecnici messi in gioco rivelano un’originalità, conferiscono una tipicità e generano una reputazione, per un prodotto originario di questo terroir.

A me sembra sensato e a voi?

Luigi
 

venerdì 8 aprile 2011

riesling valle venosta versus valle isarco unterortl packerhof

Riesling contro Riesling.
Val Venosta versus Val d’Isarco.
Se avessi costanza potrebbe diventare una rubrica e potrei chiamarla VERSUS.

I due riesling provengono da un viaggio compiuto in A.A. nel 2006.
Compivo quaranta anni per cui siamo concessi due notti nel più bello, etico, understatement, comodo, silenzioso albergo che esista in Italia.
Il Vigiljoch a Merano (BZ).
Progettato da Matteo Thun.


Nell’ottica del risparmio energetico e dell’uso di materiali a basso impatto ambientale.
Struttura portante in legno lamellare che per effetto del vento si deforma  e scricchiola come i pini del bosco.
Ventilazione, riscaldamento con sistemi passivi, recupero delle acque reflue.
Bellissimo, ogni camera affaccia sulle montagne da una “vetrata parete” che ti proietta nella natura, mediata solamente da un traliccio di brise soleil di legno.
Si accede dal fondo valle solamente con la funivia, che in pochi minuti vi porta dai 300 m slm ai quasi 1.500 m slm dell’albergo, nessuna macchina è ammessa, solo alpeggi, taglialegna, stube e qualche capriolo.


Interni molto cool con influenze della “scuola austriaca”, luce zenitale ambienti razional-rarefatti, intimo connubio con la natura e un maledetto, chiostrale e rumoroso silenzio.
Colazioni nel bellissimo ex fienile con una proposta di leccornie incredibili, dai lievitati al salmone affumicato con spumante metodo classico.



Uno splendido esempio di come una committenza illuminata e un ottimo progetto architettonico contemporaneo possa interpretare e leggere il genius loci di un ambiente naturale.
Per saziare la mia sete ho trascinato moglie e cani nel fondo valle e siamo andati in Val Venosta e in Val d’Isarco.
La Tenuta Unterortl di proprietà di Reinhold Messner è a Castelbello (BZ) in Val Venosta, gestita dalla famiglia Aurich, abbarbicata sulle ripidissime balze calcaree delle montagne a 700 m slm, viticoltura eroica.



Packerhof è a Varhn, Novacella (BZ) in Val d’Isarco a 700 m slm, in un punto in cui la valle si unisce alla Val Pusteria e i fianchi altrimenti ripidissimi spianano leggermente permettendo una viticoltura semi-eroica.
Le condizioni climatiche sono simili, caratterizzate da grandi escursioni termiche, vento, freddo, nessun volano termico e una altimetria limite per la coltivazione della vite.
Sarà l’affinità culturale, saranno le condizioni climatiche qui il riesling spacca.
Ne avevo comprate sei bottiglie per ogni produttore, non mi sono saputo gestire.
In gioventù possono deludere un po’, sono chiusissimi al naso e scontrosi in bocca.
Adesso invece a sette e sei anni dalla vendemmia sono a boire.



Tenuta Unterortl, Riesling A.A. Val Venosta, 2004.
Colore giallo paglierino intenso vivo, lucente.
Naso di idrocarburi con sfumature balsamiche e mentolate, mandarino e miele di mandarino, uva spina.
Le durezze già intuite al naso sono confermate in bocca da una acidità importante e penetrante che tiene a galla le sensazioni frutto-floreali.
Le sensazioni fruttate rimangono sempre fresche, forse un po’ più mature ma sferzate dall’acidità e dalla sapidità quasi salata.
Estremo.



Packerhof, Riesling A.A. Val d’Isarco, 2005.
Colore giallo paglierino con riflessi verdi.
Idrocarburi, resine termoindurenti con derive agrumate di mandarino e balsamiche di erbe officinali timo, mentuccia echi di miele amaro.
Bocca acida ma con una “morbidezza” leggermente maggiore del primo, più corposo, meno estremo del precedente, più mentolato e balsamico, sapido.

Nessun perdente nello scontro, questi due riesling sono cavalli di razza, estremi, profumati e caustici alla tedesca.
Bonne degustation

luigi