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venerdì 1 aprile 2011

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Togni e Arici in salsa Arcari.
Il sogno di una Val Camonica che non esiste più e di una Franciacorta mai esistita.


Bisogna ascoltare e farsi ipnotizzare dal suono della voce di Giovanni Arcari, personaggio istrionico caduto nel mondo (del vino) da non so quale pianeta, perché la forza delle sue idee è come pioggia, ti inzuppa è come fuoco, ti abbrustolisce.
Caustico e penetrante.
Idee chiare ma un po’ demodè per le vinificazioni, di estrema avanguardia per la concezione etica e culturale della agricoltura, vista come sentinella del territorio che non può più resistere ai saccheggi degli anni passati.
Giovanni è controverso, affabulatore, caleidoscopico e politicamente scorretto.
Forse è solamente diretto e sincero, un po’ troppo per questa nostra era.

Giovanni Arcari

Fatico ogni volta a comprendere appieno cosa sia il progetto Terra Uomo Cielo.
Ciò che si capisce chiaramente è l’amore viscerale che nutre per la sua terra (il Bresciano) e per il Vino.
Promuove con forza il ritorno al vino dell’agricoltore che è nella sua visione il custode del territorio e il depositario una cultura materiale che la nostra era stà erodendo e annichilendo a favore di sfruttamenti criminosi del territorio.
Lo anima una vena Luddista per cui odia ogni veicolo a quattro ruote e gira in vespa e bicicletta per Brescia e in treno quando abbandona il lago d’Iseo.

Vigneto ad Erbanno di Enrico Togni

Però quando si parla di vino con Giovanni, cade ogni deriva New Age e si erge a paladino della scienza-tecnica agro-enologica per infliggere il minor danno possibile al territorio e al vino.
Ripensadoci è una sfida nella sfida quella di perseguire una produzione molto tecnologica, perché Enrico Togni e Andrea Arici sono contadini artigiani, lavorano in spazi ristretti con pochi mezzi e dipendenti.


Sarebbe più semplice abbracciare derive bio hippy.
Invece lavorano duro per avere vini puliti, poco ossidati, sorvegliati in tutte le fasi produttive perché è dopo che devono invecchiare e non arrivare morti alla bottiglia.
La ricetta dello stregone Arcari è:
Al primo posto i vigneti che devono essere vocati e dare qualità alle uve.
Quelli di Enrico Togni hanno pendenze del 100%, sono terrazzati e lavorabili solo manualmente.
Alle spalle le balze calcaree delle montagne, di fronte le cime innevate.
Enrico si è inventato una “carriola motorizzata” per alleviare la fatica e contenere le ore ettaro.

Enrico Togni

I nuovi impianti di barbera e nebbiolo saranno a pergola trentina per sfruttare il benefico effetto del vento di lago.
Quelli di Andrea Arici sono collinari e impervi anch’essi terrazzati con muretti a secco che il padre manutiene, terre da Pinot Noir queste: fresche, drenate, povere ma luminose.


Arici vigneto Cudul a Gussago (BS)
Poi selezioni massali e pervicace mantenimento dei biotipi e fenotipi presenti.
Poi biodiversità nei vigneti o almeno nelle loro vicinanze.
Poi filari inerbiti e pirodiserbo interfila per contenere l’uso della chimica.
Poi monitoraggi continui degli andamenti sanitari e fenologici per limitare i trattamenti.
Poi analisi dei mosti. 
Poi analisi dei vini.


Maturazioni ottimali, fermentazioni controllate in inox con rimontaggi manuali, macerazioni brevi, legno di medie dimensioni per estrarre il vento e il sole e la montagna dai vini di Enrico Togni.
Per Andrea Arici, cambia la forma ma non la sostanza e il rigore produttivo.
Fermentazioni controllate in inox, affinamenti in rigorosa riduzione, malolattica quando serve, microssigenazione controllata con candele in ceramica per non ossidare le basi, lunga permanenza sui lieviti, solo vino  identico e niente zuccheri nel Liquer d’expedition.


Andrea Arici e Giò Arcari
Nota di colore il remuage è eseguito tutto a mano, la tacca di vernice sul fondo delle bottiglie di Andrea Arici è memoria fisica di un lavoro di rotazione manuale, continuo, ipnotico e ancestrale.
I Franciacorta che fa Andrea sono potenzialmente tutti dei millesimati.
Giovanni sostiene con forza che non c’è tradizione nell’assemblaggio dei vin de reserve per permettersi di giocare alla Francese.

Degorgement a la volée

Il pensiero di Giò è che la Champagne è un’invenzione tale e quale alla Franciacorta solo che risale a trecento anni prima e quindi dominano molto meglio la tecnica e il territorio.
I terroir non sono dati da Dio ma sono piegati e plagiati dall’uomo, dal suo fare, dalla sua economia, dalle sue necessità e opportunità.
Giovanni gestisce un lavoro di squadra con la forza dell’intelligenza e con la voglia di far bene senza il peso angustiante della serietà becera e oppressiva.
Una bella squadra, giovane ( e un po’ che assisto con piacere ad un ricambio generazionale che propone nuove persone di grande umanità, sincerità con vene pulsanti di follia creativa) e motivata che lotta contro la dilagante logorrea di Giovanni e il suo massimalismo manicheo.

Vittorio Rusinà aka Tirebouchon, Lucia Bellini, Francesco e Mariateresa Piantoni ed io abbiamo assaggiato con nostro sollazzo e profondo godimento, da Enrico Togni:



Opol 2009 un vino progetto, ottenuto dalle uve conferite da anziani viticoltori altrimenti costretti all’espianto.
Lambrù 2009 un vino base già godibilissimo ottenuto dal blend di barbera, marzemino, nebbiolo, schiava.
Un Rosè 2010 da vasca, ancora senza nome a base schiava molto interessante.
Un Erbanno da vasca, ottenuto da viti autoctone recuperate da Enrico, che ricorda certi Avanà della Val Susa, speziati erbacei, crepitanti ma con più struttura e minore acidità.
Merlot 2007 che mi ha folgorato sulla via di Damasco, profumi fruttati e speziati, piccolo cenno erbaceo, affumicato, acidità stimolante e bocca succosa, ho pregato Enrico di non espiantarlo.
Vidur 2007 ho già scritto un post a riguardo e riassaggiandola in cima ai vigneti mi è piaciuta ancora di più.

Vittorio Rusinà aka Tirebouchon, Lucia Bellini, Francesco e Mariateresa Piantoni ed io abbiamo assaggiato con nostro sollazzo e profondo godimento, da Andrea Arici:

Franciacorta non dosato, B de B con due date differenti di sboccatura.
Franciacorta non dosato, data di sboccatura rossa 08/11/2010, 90% chardonnay 10% pinot nero. Il mio preferito, riflessi verdi, spuma e perlage finissimi affilato ma carezzevole, citrino con morbidezze di sottobosco e legno di liquerizia.
Anteprima con sboccatura a la volée del Rosè 100% pinot nero.
Anteprima di un bianco fermo a base Invernenga, altro vitigno recuperato dall’oblio, giovanissimo con profumi idrocarburici in sottofondo e ricordi di caramello, grassezza da vendere e una possibile evoluzione spettacolare.



La delegazione torinese è rientrata a tarda ora sopraffatta dall’umanità e dall’ospitalità dei produttori e rintronata dalle parole rutilanti del buon Giò Arcari.
Con in bocca il sapore del terroir e della carne alla camuna di casa Togni.
Bonne degustation

Luigi

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