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martedì 31 maggio 2011

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Giulia Graglia autrice dell'eno-docufilm "Senza Trucco"  sbarcherà a Torino al 14° Film Festival cineambiente con una proiezione giovedì 2 giugno alle 22,15 al Cinema Massimo, sala 3  (via Verdi 18), ingresso gratuito.
Il docufilm è dedicato a quattro donne del vino italiano tanto brave quanto sottotraccia (understatement per gli anglofili) totalmente votate alla produzione di vini senza trucco.
Io sono felice di annunciarlo e caldeggio la vostra partecipazione alla proiezione di giovedì 2 e alla festa organizzata il venerdì 3 all'enoteca Bordò in cui si potranno assaggiare i vini delle protagoniste del documentario e gli ottimi manicaretti tosco-sicil-sabaudi delle sorelle Bordonaro (film, vini, cucina tutta al femminile) al risibile costo di 25,00 euro.

lunedì 30 maggio 2011

soavecalvarinopieropan_soaveacalvarinopieropansoave_

Calvarino, Soave Classico doc, 2009, 12,5% vol, az.agr. Pieropan, Soave (VR).


Nella mia personalissima geografia dei vini bianchi italiani, il Soave ha sempre occupato un posto importante.
Quelli di Pieropan poi erano dei miti.
Credo di poter affermare che negli anni novanta, abbiano pungolato e trascinato i produttori di Garganega al di là del guado dei vinellini.
Attenzione ai vigneti, bevibilità, struttura senza eccessi, mineralità, una certa longevità, pochi e oculati legni malgrado le sbronze di rovere, vini di terrritorio nitidi, caldi e perentori.

Per le mie magre finanze di un tempo erano solamente un po’ cari.
L’altra settimana cercando una barbera per #sociaList, mentre ero alla cassa dell’enoteca (lo so che voi pensate che i blogger siano foraggiati dai produttori, ma non è vero!) vedo occhieggiare dallo scaffale l’affilata bottiglia renana del Calvarino, un cru aziendale, non ci penso neanche un po’ e la prendo.
La faccio riposare una settimana in cantina poi la apro.
Colore giallo paglierino intenso con riflessi oro e tutto mi sembra normale (però vado a memoria è parecchio che non ne bevo).
Profumi intensi, frutto maturo, floreale, certe sensazioni di dolcezze, pietra calda, tutto bene ma metto e tolgo il nasone dal bicchiere incredulo.
Tutto troppo perfetto, didascalico, intenso all’eccesso.
Cerco, annusando nel fondo del bicchiere, ma mi pare (ovviamente ciò che dico è parere soggettivo e confutabile) di non trovare più l’anima che un tempo scorgevo e ricercavo con fascinazione in questo vino.
Bocca giusta: alcool, glicerina, acidità, mineralità, frutto, tutto nella norma anzi tutto normato e unificato senza sorprese.
Come incontrare dopo anni la donna della vita e scoprire che si è intensamente ritoccata dal chirurgo plastico.


Sempre bella, sia mai, ma senza il fascino dell’imperfezione, della perfettibilità.
Non vorrei discettare di lieviti selezionati o di messa sul mercato troppo in anticipo (anche perché un produttore mi ha fatto notare con forza che non sono problemi all’altezza della preparazione dei blogger), volevo solo rendervi
partecipi di una piccola grande delusione.
Delusione che aumenta ora che leggo sulle specifiche aziendali che il vino in questione proviene da un vecchio vigneto ed è vinificato e affinato in cemento sulle fecce e poi in bottiglia.
Bonne degustation

Luigi

venerdì 27 maggio 2011

Ambonnay Cavoretto Ambonnay Cavoretto Ambonnay

Da Ambonnay a Cavoretto in una sera di mezza “primavera”.
Le poche lucciole superstiti ondeggiavano incerte nella brezza serotina.


Riunione plenaria e multidisciplinare di blogger e para blogger e grafici e architetti ed esperti di comunicazione.
Un brain storming fecondo, informale e divertente.
Accomunati dalla condivisione conviviale del vino e del cibo abbiamo bevuto terroir della Champagne.
Abbiamo assaporato la storia, la geografia e le usanze di una comunità.
Il vino aveva l’aroma donato dall’impresa dell’insediamento della comunità umana che lo ha prodotto, nel territorio che lo ha prodotto.
Viaggiavamo nel tempo e nello spazio comodamente seduti al fresco dell’orto urbano torinese.
Bollicine e parole, profumi e sguardi, sapori e risate.
Il vino è rientrato con forza nel rito comunitario, quasi ancestrale del mangiare prendendo il cibo e spezzando il pane con le mani tutti insieme dallo stesso vassoio.

E’ ritornato ad essere alimento dissetante e stimolante e riconciliante.
Ne avevamo bisogno, le ossa rotte erano parecchie e il caldo blandire del vino e il cantilenare intimo dei discorsi e la ripetitività dei gesti ha sedato gli animi e i nervi.
In ordine sparso Mariella, Bianca, Vittorio, Davide, Stefania, Enrica, Marco, Fabrizio, Carlo.

Abbiamo bevuto un brut s.a. André Beaufort elaboré par Saint Jean-Baptiste, Ambonnay, 12%vol., 80% pinot noir e si sentiva scalpitare, 20% chardonnay, dosaggio di zuccheri riduttori 10 gr/l e un po’ si sentiva, nessun solfito aggiunto e si sentiva come un leggero raschiare.
Biodinamica in vigna e tentativi di applicazione dell’omeopatia e aromaterapia, degorgement a la volée per fare respirare un’ultima volta il vino prima della tappatura.
Produttore votato al terroir e alla naturalità consigliatomi e spacciatomi da un terroirista come Pietro Vergano.
Controverso ma buono, qualcuno ha detto ottimo e cercava di rubare il bicchiere al commensale di fianco.

“resta il ricordo
reso eterno dal vino
calda serata”
Haiku21#barbera2 di Slawka G. Scarso

Bonne degustation


Luigi

domenica 22 maggio 2011

#sociaList il post_#sociaList il post_#sociaList il post_i vini


L’undici maggio in pieno delirio pre #barbera2 e pre-tavola rotonda del Salone del Libro ho ricevuto un messaggio da Marco Monaci il quale mi coinvolgeva nel progetto #sociaList, nato in collaborazione con Andrea Gori.
Chiedeva a tredici blogger di scegliere tre/quattro vini da far votare al pubblico dei propri blog e poi, i vincenti, li avrebbe inseriti nella carta del suo ristorante Locanda del Glicine a Campagnatico (GR).


Tre o quattro vini?  Ho pensato che, tolti i miei parenti, sarebbero stati più i vini da votare che i lettori del mio blog!
Ammetto che mi sono sentito sopravvalutato.
Ho accettato lo stesso perché sono immensamente tronfio ed egocentrico.
Ho telefonato subito a Dan Lerner e Fabrizio Gallino che mi hanno sedato e rassicurato come si fa con i bimbi ansiosi.



Per la pazienza nei miei confronti e per le parole di conforto e sprone li ringrazio pubblicamente insieme a Vittorio Rusinà, eminenza grigia ed instancabile tessitore del web e dei social network.
Comunque, come sempre, ho fatto di testa mia (che mi dicono essere dura e poco incline alla mediazione).
Ho scelto, dopo notti insonni e dubbi amletici, un territorio, ampio ma reale, storicamente rilevante per la qualità produttiva ma in caduta di popolarità.
Ho scelto un vitigno (cultivar si dice?) storicamente rilevante per quantità e diffusione ma in leggera caduta di popolarità.
Il territorio è il basso Monferrato con prevalenza per la rive gauche del Tanaro (definizione bellissima di Pietro Vergano che ringrazio per i consigli e la disponibilità).
La cultivar è la Barbera perché ho la certezza (del tutto soggettiva e pregiudiziale, quindi irrazionale) che sia un vitigno nobile anche se un po’ decaduto.
Per i miei due lettori forestieri provo a spiegare brevemente il territorio preso in considerazione (scelto con l’emotività, sia mai che faccia qualcosa con la razionalità).
Il Basso Monferrato è una corrugazione collinare più o meno al centro del Piemonte.
Inizia a Ovest con la collina Torinese e termina a Est verso la piana alluvionale di Alessandria.


A  Nord si erge come una scogliera biancastra sul mare color piombo  delle risaie.
A Sud si salda con l’Alto Monferrato e le propagini dell’Appennino Ligure.
E’ un fondale marino emerso per effetto delle spinte tettoniche, la composizione dei terreni è molto variata ed è composta da marne grigio bluastre, ghiaie, banchi calcarei, mantelli di argille e sabbie gialle tutte ricche di fossili di molluschi.
La Barbera è stato il pane di queste aree nel periodo post fillosserico.
Cultivar rustica, riesce a produrre zucchero e arrivare a maturazione anche a quote limite come in Valle Susa e nel Pinerolese.
Molto adattabile ha però la capacità di entrare in simbiosi con il genius loci del luogo in cui è coltivata e fotografa con estrema precisione il territorio e le annate.
Dà vini acidi e alcolici e colorati esattamente l’opposto dell’altro vino simbolo del Piemonte, il Nebbiolo (mi si perdoni la lesa maestà).
E’ vino longevo perché ci dicono gli esperti che i coloranti naturalmente presenti nelle bucce svolgono una fondamentale funzione antiossidante (di solito svolta dal tannino), costante nel tempo che ne permette una lenta evoluzione in bottiglia.

Io ne ho scelte quattro, volevo ridurre a tre ma non c’è l’ho fatta perché all’ultimo mia figlia (ho naturalmente coinvolto, loro malgrado, l’intera famiglia in questo progetto) assaggiando due vini, di cui uno candidato all’esclusione dice di quello  “bono questo,  meio dell’altro”.
Quindi non c’è l’ho fatta ad eliminarlo.


Rive gauche del Tanaro
Nord.
colline con pendenze più forti, terre bianche medio impasto e marne grigie.
Barabba 2006, Barbera del Monferrato Doc Superiore, cascina Iuli, Montaldo (AL).
Concentrata e glicerica, cupa, terziari da retrobottega del restauratore, smalti, lacche, confettura di chinotto, balsamica, fresca e rotonda.

Centro su colline di bassa pendenza con prevalenza di argille.
Bricco Battista 2005, Barbera del Monferrato Doc Superiore, az. agr. Accornero, Vignale (AL).
Colori cupi, frutto macerato, leggero vegetale che sfuma in inchiostro di china, minerale, balsamica, bocca dolce con leggero tannino.

Barbera d’Asti 2006 Doc Superiore, az. agr. Cascina Tavijn, Scurzolengo (AT).
Colori saturi, fruttato intenso, poi agrume, archetipicamente “barberosa” e fragrante e echi terziari, freschissima e godereccia.

Rive droit del Tanaro sottozona Nizza
Sud.
colline con pendenze più forti, terre di medio impasto argillose.
neuvSENT 2007  Barbera d’Asti Doc Superiore, sottozona Nizza, az. agr. Cascina Garitina, Castel Boglione (AT), concentrata e cupa, attacco erbaceo, terziari evoluti e idrocarburi e smalti, fresca con velo tannico.

Adesso tocca a VOI votate la Barbera che preferite andate su questa pagina ed esprimente la vostra preferenza.
Sbirciate anche le scelte dei miei colleghi e i loro blog e votate gli altri vostri vini preferiti, costruiamo insieme una carta dei vini.


Le ho riassagiate tutte quattro il day after, erano ancora meglio.
Buon voto

Luigi



venerdì 20 maggio 2011

_#sociaList_#sociaList_#sociaList_#sociaList_#sociaList_


volete essere i coautori della prima lista dei vini partecipata?
seguitemi sul blog e scoprirete come fare per votare i vostri vini.

da un'idea di Marco Monaci e Andrea Gori

parteciperanno con le loro proposte enologiche e di territorio:

noi sceglieremo tre vini che VOI voterete e Marco Monaci li metterà in lista alla Locanda del Glicine.

#sociaList

giovedì 19 maggio 2011

nizzamonferrato_torino_sabato14_domenica15_maggio

sabato 14 e domenica 15 maggio.
nizza monferrato e torino.
Due facce della stessa medaglia?
Il web, i social network sono scesi in terra e gli artefici del flusso inarrestabile dei bit sono venuti allo scoperto.
Un atterraggio non perfettamente riuscito.


A nizza a #barbera2 eravamo tra di noi e abbiamo iniziato ad annusarci e a fare una prima conta provvisoria.
Ci siamo visti, presentati, urtati e parlati; pensateci, molti si sono parlati per la prima volta!
Il suono, onde sonore, timbri, inflessioni hanno sostituito il ticchettare ipnotico della tastiera.
Figure in carne e ossa hanno sostituito gli avatar.
tutti amici tutti sconosciuti tutti fusi nel flusso dei bit tutti amici tutti sconosciuti tutti fusi nel flusso dei bit tutti amici tutti sconosciuti tutti fusi nel flusso dei bit tutti amici tutti sconosciuti tutti fusi nel flusso dei bit

Vittorio Rusinà, Giovanni Arcari, Giancarlo Gariglio, Luigi Fracchia, Giulia Graglia.

A torino il confronto con la materia, impersonificata dalla carta stampata ha, forse, spaventato le truppe digitali che annusavano tranelli e imboscate.
Eravamo in pochi e i rappresentanti delle pesanti rotative e del business cartaceo erano molto più intimiditi/incuriositi di noi.
Avevano forse paura che scatenassimo una offensiva hacker sui sistemi digitali.
Erano, forse, affascinati dall’ultimo baluardo di libertà d’espressione non influenzato dalle pressioni del capitale e dell’industria.
Siamo in perenne peregrinazione, leggeri, con il nostro lap-top e la forza delle nostre idee e una rete incredibilmente libera che le veicola.
Ma siamo senza meta?
La nostra meta è perpetuare il flusso o estrapolarne senso?
Il flusso stesso è memoria o iperstimolazione che diventa oblio?
Il nostro è un gioco narcisistico o ci interessa davvero esprimere dei concetti?
Chi è il nostro pubblico?
Il mondo della carta stampata che considerazione ha dei blogger?
I produttori di vino che considerazione hanno dei blogger?
Le associazioni di sommelerie che considerazione hanno dei blogger?
Io speravo di avere risposte a queste domande.
Poco tempo, troppi temi, troppe assenze ingiustificate e un certo spaesamento non ha fatto altro che porre altre domande tra cui quella mossa da Giancarlo Gariglio: “che preparazione specifica hanno gli enoblogger che dia credibilità alle loro affermazioni?”
Io ho blaterato una risposta che non ricordo, poi tornando a casa, sfoglio le note bio di Giancarlo Gariglio e leggo che è laureato in economia e commercio, quindi penso che neanche lui, a rigor di logica ha titoli per parlare di vino, eppure è curatore di una guida di vini.
La memoria è seme del futuro se il futuro è l'oblio?



Però dei tanti blogger coinvolti (anche se all’ultimo) anche torinesi e gli amici dell’Ais, i produttori e i simpatizzanti (tutti abituati a trasferte pesantissime per scovare vini alle porte di orione) mi ha fatto specie che nessuno abbia avuto voglia di unire una visita al salone con una comparsata (anche fra il pubblico) alla tavola rotonda. E’ mancata, a mio avviso, una partecipazione e una cassa di risonanza dell’incontro attraverso i blog amici, lo stesso Franco Ziliani che doveva venire e ha declinato all’ultimo, non ha pubblicato nulla sul suo.
In questa occasione mi sento di ringraziare a nome mio e di Vittorio Rusinà, Giovanni Arcari e la sua collaboratice Lucia Bellini che ci hanno dedicato due giorni il primo dedicato a #barbera2 svoltosi a Nizza e il secondo alla tavola rotonda.”
Estratto da un mio intervento su Intravino


Luigi

mercoledì 18 maggio 2011

i_blogger_rivoluzionano_il_mondo_del_#vino 15maggio2011


Video di Giulia Graglia.
15 maggio 2011

Le parole per parlare di vino.
Oltre il gergo iniziatico dei sommelier, i blogger rivoluzionano il modo di descrivere il vino:
pratica e grammatica, degustazione e parole.

Organizzato da Stefano Cavallito e Alessandro Lamacchia, hanno partecipato:
moderatore Giancarlo Gariglio di Slow Food, Giovanni Arcari aka TerraUomoCielo, Giulia Graglia aka Senza Trucco, Vittorio Rusinà aka Tirebouchon ed io.  
Abbiamo parlato di vino e web, di parole del vino e web, blog e carta stampata, blog e terminologie tecniche, abbiamo anche degustato il grignolino di Spertino e il ruchè di Cascina Tavijn, per non farci mancare nulla e anche perchè questo sporco lavoro qualcuno lo deve fare.

Luigi

sabato 14 maggio 2011

timorasso doc collit ortonesi 07 il montino la colombera elisa semino

Settimana difficile e intensa sabato #barbera2 e domenica Salone del Libro.
Leggo e rileggo le linee guida di Stefano Cavallito sulla tavola rotonda del Salone e mi convinco di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato ma ormai il mio macroego mi ha fatto accettare l’invito.
Insomma fibrillo e tracheggio, ignoro il lavoro vero e quando sono costretto a farlo, faccio solo danni.
Come se non bastasse mi chiamano per progetti nuovi! Fiducia del tutto immeritata.
Comunque segnatevi questa, ormai ho dato l’adesione a un bel progetto e


Lunedì 23 corrente mese uscirà un sondaggio che vi coinvolgerà e vi voglio belli pimpanti con il mouse scalpitante!
Insomma un delirio, ho una tempesta neurale, milioni di idee strampalate che si affastellano nel mio cervello.
Panico!
Però mi sono imposto di uscire con un post prima del blackout sino a Martedì 17.
Ho deciso di dedicarlo ad un vino bianco (strano direte voi, quello lì beve solo bianchi!).
Ad un altro bianco Piemontese, che stia diventando sciovinista?.
Un Timorasso.
I miei amici del web mi dicono che sono vini chimere tanto “parlati” e poco “bevuti”.
Di Timorasso ci sono 50 ha vitati e 250.000 bottiglie prodotte pochissime!
Non vi stò a dire che è vitigno antico riscoperto da Walter Massa (gran divulgatore e promotore di questo vitigno-vino).
Ha precursori aromatici da vendere quasi quanti quelli del riesling con cui ha una certa affinità acido-minerale.
Vitigno che ben si adatta alle bollenti esposizioni sud e alle asfissianti argille tortoniane.
Però i produttori che ne riescono a domare il vigore e gestire la vinificazione non sono tantissimi, qui vi ho già parlato di Carlo Daniele Ricci.
Oggi vi parlo di una Timorasso-girl.
Mani gentili ma decise.



Paziente, sopporta con rassegnazione Fabrizio Iuli e lo sostituisce durante le sue fughe dallo stand  e curiosa, Vittorio Rusinà ed io l’abbiamo incontrata in visita ad Agazzano (dove non era presente come espositrice) assaggiare ed interessarsi al lavoro dei suoi colleghi-amici.
In quella occasione ci ha subito riconosciuto tra la folla e salutato con calore ma noi per colpa del suo nuovo taglio di capelli e una nostra leggera “frollatura” non l’abbiamo riconosciuta, figuraccia tremenda!, con Vittorio che allontanandosi mi chiedeva concitato “ma chi era quella?”.
Io per voi ho aperto e bevuto, dopo massacranti lavori orticoli, una bottiglia di Montino 2007,  Colli Tortonesi doc Timorasso, 14%vol, az agr. La Colombera, Tortona (AL).
Subito minerale e idrocarburico come da protocollo.
Poi entrano anche quei sentori di resine termoindurenti (j’adore) e un fondo di lavanda, anice, balsamicità di aromatiche secche, miele amaro, mandarino.
Complesso, in perpetua mutazione, sfuggente e profondo.


Bocca alla tedesca dura e minerale e acida, verticale senza compromessi sostenuta da alcool e glicerina ma che si attestano un passo indietro, sgrassante e balsamico, comunque polposo.
Ottimo.
Giovanissimo.
4.000 bottiglie prodotte con pochissima solforosa e affinamento in vasca sur lie con batonage e due anni di bottiglia prima della vendita.
Una cuvée confidentiel.
Bonne degustation


Luigi

PS
Il Timorasso è un vino simbolo a cui l’intero Tortonese fa grande affidamento per risollevare la viticoltura di un area schiacciata fra il Gavese e il Basso Monferrato.
Il suo essere terra di confine fra Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Liguria la relega ad una certa marginalità.
Questo sabato a Nizza a #barbera2 sarà presente la barbera Bigolla di Walter Massa altro grandissimo vino di questa area.




mercoledì 11 maggio 2011

c'è_fermento_nel_mondo_del_vino_a_torino_a_nizza

C’è fermento nel mondo del vino
a Torino e a Nizza (AT).
L’orgoglio di essere presente in entrambe gli eventi mi ha gonfiato il petto e mi ha distratto dal fatto che questo sabato 14 e domenica 15 maggio avverranno nel mondo del vino Piemontese due eventi, slegati fra loro, ma simbolicamente molto rilevanti.

Il primo è #barbera2 a Nizza (AT) evento internazionale nato su twitter e alla sua seconda edizione.
Il secondo è la tavola rotonda organizzata da Stefano Cavallito e Alessandro Lamacchia, nel salotto colto di Torino (in cui siederò immeritatamente e non nego con qualche imbarazzo), al Salone Internazionale del Libro, il cui titolo è “Le parole per parlare di vino.” Oltre il gergo iniziatico dei sommeliere, i blogger rivoluzionano il mondo di descrivere il vino: pratica e grammatica, degustazione e parole.

Non riesco a spiegarmi bene neanch’io, però la sensazione derivata dalla frequentazione dei blog e dei suoi autori, sempre embricata con l’esperienza sensibile dell’incontro fisico con i viticultori (autori materiali degli oggetti del nostro vacuo blaterare), è che ci sia un gran fermento, una grande spinta di energie nuove, fresche, di giovani (o sedicenti tali) che emergono con la forza delle idee e dei nuovi media.
Il web, i blog, le mail sono ormai prossime all’obsolescenza, il confine, le porte di orione sono i social network e il loro ossessionante e ipnotico streaming.
Sono ipnotizzato e sconvolto anch’io dal flusso, dallo stream of consciousness che trapela dalle piattaforme del web.
Ciò che vedo con chiarezza (relativa e sempre prossima al dubbio) è un movimento di forte emancipazione dai veicoli tradizionali dell’informazione.
La carta stampata è morta.
No sò se ciò sia positivo, non sò se sia una tendenza stabile ma ciò che percepisco è la dirompente forza iconoclasta del movimento, sia pure tutt’altro che unitario.
Il web, i blog stanno setacciando il sottobosco (fabio_duff mi comprende) dei vini minori e stà stimolando i produttori di denominazioni più marginali, convincendoli che la strada del rinnovamento e dell’affrancamento dai grandi vini simbolo è iniziata e c’è una piccola folla che li segue e li sprona.
Infatti i più attivi sul web sono i produttori anagraficamente più giovani e quelli meno fortunati dal punto di vista della visibilità territoriale.
In un post Jacopo Cossater  si chiedeva quando i blogger avrebbero cominciato ad occuparsi dei vinoni tipo Barolo, Barbaresco, Brunello, Vino Nobile di Montepulciano, Amarone etc.
Oggi a mesi di distanza gli rispondo dicendo che se parlassimo di quei vini non ci seguirebbe nessuno perché il nostro publlico è altro e non dice:
“buono, senti quanto costa”.

Luigi


I produttori di vinoni e certe associazioni di somellerie, si guardano ben donde dal cercare di capire cosa succede sul web, la loro presenza è del tutto marginale e quando si calano sul web lo fanno con concezioni di market management.

#barbera2 è una idea nata un anno fa su twitter grazie a Vittorio Rusinà oggi affiancato da Gianluca Morino, Monica Pisciella e Sandra Salerno. E’ una degustazione orizzontal-internazional-carbonara, pressochè riservata a blogger e twitternauti appassionati di vino, di dieci barbere, cinque piemontesi e cinque degli USA.
Potenza e democrazia del web che annulla le distanze e dà voce alle minoranze.

Cavallito & Lamacchia hanno capito, pur partendo da piattaforme editoriali tradizionali che c’è fermento nell’informazione sul vino sul web e quindi a loro rischio e pericolo hanno invitato a parlarne al salone del libro di Torino Barbara Brandoli (Divino Scrivere), Franco Ziliani (Vino al vino), Vittorio Rusinà (Tirebouchon), Giovanni Arcari (TerraUomoCielo) ed io.

lunedì 9 maggio 2011

nel_vigneto_del_diavolo


Chi è l’amico della Fillossera?


Cosa immaginiamo quando parliamo di vigneto?
Quanti anni pensiamo che viva?
Come pensiamo che le piante che lo compongono siano state scelte, selezionate, propagate?

Cosa pensiamo quando parliamo di vini di territorio, quindi sintesi della coevoluzione e simbiosi fra pedoclima, vitigno e uomo?

Piccolo antefatto: i nuovi vigneti sono costituiti piante composte da una parte radicale che è americana su cui si innesta la parte aerea europea che dà i frutti da vendemmiare.
Questa tecnica agronomica serve a rendere la pianta resistente ad un afide, la fillossera che attacca l’apparato radicale portando alla morte le viti europee.
Ma anche su questo ci sarebbe da discutere.

Se sostenessi con forza che il vigneto è un Frankenstein?
Se non credessi che questi due corpi innestati fra loro siano il meglio che si possa avere dal punto di vista organolettico e di espressione territoriale?


Se facessi notare che ormai gli impianti dei vigneti sono una scelta a tavolino di cloni per i portainnesto da abbinare a cloni (pochi e tutti identici a sé stessi) di cultivar?
Se facessi notare che questi cloni sono stati propagati da vivaisti a chilometri di distanza dal luogo degli impianti?
Se facessi notare che alla fine il vigneto produttivo sarà composta da migliaia di piante ma solo da poche decine di cloni e magari nessuna pianta originaria del luogo?
Se facessi notare che i cloni prodotti da marze sono tutti uguali alla pianta madre (stesso dna)?
Se facessi notare che questa identità è foriera di squilibri e fragilità dell’ecosistema vigneto?
Se facessi notare che i portainnesto americani patiscono molto i terreni calcarei?
Se facessi notare che il 95% dei terreni europei vocati alla viticoltura sono calcarei?
Se facessi notare che la produzione ettaro con i portainnesto è praticamente raddoppiata a fronte di una diminuizione drastica della fittezza d’impianto?
Se facessi notare che un tempo i contadini propagavano le loro piante in perfetta solitudine ed autonomia?
Se facessi notare che di fatto perpetuavano un processo continuo e naturale di coevoluzione fra terreno e la sua microbiologia con le piante ed il loro genoma, dando luogo a decine se non centinaia di geno-tipi e feno-tipi?
Se facessi notare che l’età media dei vigneti si è meno che dimezzata?


Dov’è andata a finire la biodiversità?
Dov’è andata a finire la autodeterminazione e indipendenza del contadino dai vivaisti?
Perché le Università e gli studiosi hanno preso per buona una soluzione transitoria del problema adottandola come definitiva e interrompendo ogni approfondimento ulteriore?

Quante varietà sono state sacrificate nella corsa verso il progresso?
Lasciamo all’andamento pedoclimatico l’onere dell’espressione del terroir in quanto i vegetali sono prodotti paraindustriali o parascientifici?
E noi beviamo o no dei vini Frankenstein?
E voi cosa pensate di queste cose?

Luigi