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venerdì 30 novembre 2012

Ragazzi, Renzo Losi è a Torino! Boia faus!


Una soffiata di Vittorio Rusinà
Quattro passi sotto la pioggia e il primo freddo padano che avvolge
Ed eccomi da Renzo Losi in via Principessa Clotilde 98/b
Periferia, quasi profonda periferia di Torino
Sonnecchiosa e disattenta
Entro e mi sento dire dopo due parole “con i lieviti secchi non fai né vino né birra, almeno non quelli che intendo io”
Musica per le mie orecchie
Parlata con cadenza emiliana ma più secca, asciutta, parmense mi dicono
Una vita matta in giro per l’Italia, un passato di vigne e cantina e birra e un presente a Torino (ragioni del cuore mi dice)
Bravo mi dicono, simpatico ed empatico sicuramente, così poco sottotraccia che mi pare abbia un alone luminoso in questo grigio torpore del ben pensare targato Turìn
Mi fa assaggiare una trappista e poi parliamo di Camillo Donati e un po’ di birra e brasseur e molto di lieviti
Un accenno a Crocizia
Renzo è stato fondatore e mastro birraio del Birrificio Torrechiara a Parma
Scendiamo in cantina, in un angolo c’è una damigiana di birra in fermentazione che pare una offerta beneaugurale e scaramantica a Cerere
Lì sotto vuole cominciare (Asl permettendo) a produrre le sue birre
Poi è tardi devo andare, dovrò tornare con Vittorio
Uscendo afferro al volo una Divina del Birrificio Torrechiara penultima produzione di Renzo, ancora un lotto con la sua mano felice, aprés le déluge
Arrivo a casa e lascio la bottiglia fuori nella nebbia per qualche minuto
Poi la apro
E’ una “tipo Lambic” a fermentazione naturale maturata per alcuni mesi in legno
Uno schiaffo di profumi di agrumi amari e bucce di limone candite
Naso “Lambic” con acido scalpitante che inocula le nari
Bevuta travolgente
Un intermittenza di acido sapido “dolce” amaro
Glu
Glu
Glu
Rotondità e morbidezze che smorzano un po’ l’amaritudine e l’acidità ma non troppo
Una via mediterranea ma rigorosa alla tipologia
Lunghissima in bocca, orizzontale, senza cedimenti watery, saporita, polposa e ricca
Nel bicchiere evolve e si allarga
E come ci insegna Niccolò dopo metà bottiglia arriva il torbido e le sensazioni più forti, terziarie e masticabili di chutney e pesca
Kampai!

Luigi


Poscritto
La birra è Sogno, posto che il vino sia Terrritorio

Renzo Losi 

giovedì 29 novembre 2012

Il Prezzo Sorgente



Da ideale praticabile il Prezzo Sorgente è diventato uno spauracchio, anzi un fantoccio.
Qualcuno si è convinto, dopo anni di esperienza, che il PS non esista.
Anche io ho vacillato, spesso. E continuerò a farlo.
Tranne poi trovarmi di fronte a persone che fanno vino e lo vendono a me come a chiunque altro allo stesso identico prezzo, quello sorgente per l’appunto.
Però se non sono i produttori a volerlo possiamo anche mettere il PS nelle cose belle che qualcuno ha provato a realizzare ma che non hanno mai preso piede.
Ma vedrete che non appena messo fuori dalla porta, rientrerà dalla finestra.
Vacillo pensando ai suq marocchini, dove il prezzo si tratta, sempre.
Ma qui da noi se tratti ti prendono per pazzo.
Chiedi lo sconto.
Tu produttore hai le redini della questione in mano.
Io consumatore posso scegliere.
Fai bene i tuoi conti.
Vivi in un paese che produce troppo, e la qualità non manca.
Ma poi da buoni italiettani, siamo tutti ipocriti e andiamo a La Terra Trema dove il PS sarebbe una conditio sine qua non, e compriamo a prezzi che di sorgente hanno poco, anzi paiono più prezzi di foce.
Io alcuni vini non li compro più.
E mi girano i cabbasisi, vorticosamente.
Ma il vignaiolo che ti fa riconciliare col mondo, per fortuna, c’è sempre.
Il Prezzo Sorgente è morto.
Il Prezzo Sorgente è risorto.
Il Prezzo Sorgente non esiste.
Compro a Prezzo Sorgente.
Vendo a Prezzo Sorgente.
Me ne sbatto del Prezzo Sorgente.
Vendo a tutti allo Stesso Prezzo.
Sono un'Impresa.
Sono un contadino.

Io bevo la Barbera di Ratti.
Punto.




Gino Veronelli interrompeva il suo "camminare la terra" il 29 novembre del 2004.




mercoledì 28 novembre 2012

Les Traverses VdF 2011, L’Anglore di Eric Pfifferling




Non vorrei essere tacciato di francofilia enoica.
Però Les Traverses VdF 2011, L’Anglore di Eric Pfifferling, che abbiamo bevuto Tirebouchon ed io.
Era molto buono.
Di una bontà fresca e superficiale.
Glu glu.
Si intuiva comunque una struttura e un anticipo di profumi d’evoluzione che promettevano molto.

Pietro Vergano del Consorzio ce lo ha consigliato e ci ha detto:
“Sono l’unico in Italia ad avere i vini di Pfifferling”
Rincara.
“Ho fatto mille chilometri in un giorno per andare da lui e mi ha dato solo 24 bottiglie! Comunque è il re della macerazione carbonica!”.

Eric Pfifferling a Tavel (Aoc communale dedicata esclusivamente ai rosè), vendemmia poi lascia una notte le uve in cella frigorifera, poi le mette in cemento e le satura di CO2 e le lascia macerare per tre settimane.
Poi unisce le masse, aggiunge 1,5 gr/hl di So2 (non aggiungerà più So2 in nessuna fase) e affina in barrique usate, nessuna chiarifica né filtrazione.
Tavel è nella Vallée du Rhone del sud, vicino a Chateauneuf-du-Pape, una zona in cui la quantità di cultivar utilizzate è la più alta di Francia, un vero problema memorizzarle, un peccato non sperimentarle.
Da quà verso il mediterraneo e la Spagna il syrah comincia a cedere il passo alla grenache, alla mourvedre, al picpoul, al cinsault, al carignan...
Nel Les Traverses ci sono syrah al 70% e grenache al 30%.
Mi aspettavo una preponderanza di frutto, invece no.
Un pochetto c’è ed è croccante ma non invasivo e unificante.
Bisogna aspettare che si apra.
Poi compare il pepe, le spezie e una nota affumicata di incenso.
Untuoso, rinfrescato da una sensazione vegetale di raspo.
Bizantino.
Anche se si sa che:
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Sono sempre più convinto che la quasi assenza di solfiti (esogeni) renda i vini, delicati forse ma questa è cosa da tecnici, soprattutto molto espressivi e molto complessi e comunque godibili sin da giovani.
Sono sempre più convinto che i vignaioli francesi sui "vin de soif" siano ere geologiche avanti a noi.


lunedì 26 novembre 2012

Capita certe volte


Capita, certe volte, a me che devo interiorizzare per capire e parzialmente dimenticare le esperienze per poter estrarre un poco di senso, che il riassaggio della seconda o terza bottiglia del medesimo vino, mi conduca alla soglia della comprensione empatica, scevra da tecnicismi (di cui non sono capace) e ricerche di assonanze e noiosi riconoscimenti.
Percepisco più che capire, scivolo nel godimento estetico e avviene una espansione della coscienza.
La bevuta assume e sussume la componente temporale, il perenne e sottile stato di indeterminatezza del presente si stira, si deforma, si allunga.
Permette di guardare indietro, perché lì è annidata la nostra esperienza, la nostra vita.
Si espande  la percezione nella quarta dimensione acquistando complessità e vitalità.
E capisco quanto è falso e fuorviante il singolo assaggio che si configura come un punto nel bianco, senza coordinate e senza storia e senza memoria.
Perché, credo, che sia la memoria del passato il nostro unico futuro.


Nella rilassatezza di una serata in cui non si aspetta altro che esploda l’inverno, ho aperto un Girgis Extra 2008 e come colla ha fissato molte delle sensazioni avute nei precedenti assaggi.
Un lunga striscia in cui c’erano facce, viaggi, case, parole, amici, profumi, vini, emozioni insomma, c’era la vita.

venerdì 23 novembre 2012

Gli Eremi 2008, Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC, La Distesa. Di N. Desenzani


Giallo chiaro tendente al dorato, consistente, appena viscoso. Si muove bene nel bicchiere, glicerico, rivelando estrazione.
Naso compatto, molto fresco con sfumature ossidate.
Si sentono idee di salvia e rosmarino. Dolcezze, crema pasticcera. Pesche sciroppate. Forse finocchietto. Zuccheri caramellosi. Collosità piacevoli. Pietra, sasso.
Caldo, fresco, mandorlato di marzapane, alcool ben integrato.
Lascia il cavo molto pulito appena di nocciola rivestito.
In bocca, rotondo, esplode e sparisce come tuffo ben eseguito.
Lascia l'impressione.
Forse un filo liquoroso ciò che persiste, con amarostico; forse la surmaturazione non è necessaria!
Per non cadere nel più ovvio dialogo fatto di caramello, caffè, vaniglia e frutta secca.
In trepidante attesa per assaggiare le prossime annate.
Ci vediamo a La terra trema.

mercoledì 21 novembre 2012

Basta!



Nel dormiveglia, momento in cui mi vengono le più brillanti idee e intuizioni, mi è tornato in mente un fatto avvenuto a Fornovo che avevo freudianamente rimosso per non avvelenarmi un bel pomeriggio.
Dopo più di una settimana e con l’acredine interiore ritornata ai normali livelli di guardia ecco rispuntare il fatterello piuttosto seccante.
Fornovo
Interno pomeriggio, motore, ciak, azione.
Vado al banchetto di Selvadolce, vignaiolo di Albenga (SV) che ha il solito sguardo truce e neanche un ombra di sorriso (mi dicono sia dovuto al fenotipo ligure, ironia la mia, nel caso non si capisse), assaggio i suoi Pigato e Vermentino sia 08 sia 09 buoni se non  buonissimi, molto ricchi e sapidissimi.
Perfetto! Decido di acquistare, d’altronde Fornovo nasce anche come fiera mercato.
Due bottiglie.
Ventiquattro euri l’una!
Urca, meico!
Abbozzo, non mi piacciono le polemiche e pago.

A freddo ci ho ripensato e ho deciso di non abbozzare perché mi sono stancato di partecipare a fiere mercato in cui si proclama il prezzo sorgente e poi tornando a casa trovo i vini a meno o allo stesso prezzo che mi hanno praticato!
Sono stanco, stufo e mortificato da comportamenti del genere e dalla ingordigia di certi produttori.
Sanguisughe che sfruttano la passione delle persone (che sono molte e preparate e si sobbarcano spese per spostamenti e soprattutto consumano parecchio) in nome di non capisco quale comportamento etico nei confronti di distributori, enoteche e ristoranti.
Basta!


Poscritto
Bisognerà stilare una white list dei produttori che applicano sul serio prezzi sorgente o similia perché l’eticità va premiata.
Bisogna anche stilare una black list?
Ci devo pensare perché così a caldo direi di sì.



lunedì 19 novembre 2012

Tarra d’Orasi, vin de france, Clos Canarelli, Figari, Corse

foto N.Desenzani
l’altra sera con uomini di grande passione e umiltà
ho assaggiato un vino
ricco ma
di rara eleganza
che si è concesso con parsimonia
nell’arco del tempo
anche se gliene abbiamo concesso troppo poco
mutava ogni minuto
fissa restava una levità di rosmarino e di timo
come quando si cammina fra le sterpaglie e le si calpesta o urta
o un refolo d’aria le scuote appena
e si spande un profumo delicato
appena intelleggibile
che rimane impresso per ore
dalle terre aspre da cui nasce ha distillato e rarefatto gli eccessi
senza ostentazione
senza volgarità
lasciando come in un dagherrotipo una sfumata ma decisa sensazione di macchia, frutta, sale, roccia


Poscritto
Mi piacerebbe sostenere (ma non posso, non ho dati scientifici per avvalorare la mia tesi e, forse, non me ne frega niente di avvalorare alcunchè) che essendo vino di piante prefillosseriche, la loro integrità fisica e la loro variabilità genetica e loro veneranda vecchiezza sono la spiegazione della incredibile capacità di questo vino di fare luogo.
imho direbbero gli amanti degli acronimi e degli anglismi.

venerdì 16 novembre 2012

Montebuono 2005, IGT Provincia di Pavia Rosso, Az. Agricola Barbacarlo. Di N. Desenzani


Chewy Oltrepo, vin de soif, legno vecchio che cristallizza il frutto in un guscio zuccheroso arcaico.
Saporito e fresco. Leggero e croccante. Di beva superlativa. Di consistenza e tannino fragranti.
Vivo non tanto perché cangiante, ma perché senti una quintessenza dell’acino: niente è perduto tutto permane.
Già lo scrissi: uva e tempo.
Quasi di muschi e muffe di boschi umidi. Cortecce, terra fresca smossa, spore fungine ed erbette fresche.
Antiche cantine.
Zuccheri grezzi.
Aciduli di carcadé e… cannella.
Glu glu glu, bon dégustation (cit.)! 



mercoledì 14 novembre 2012

E’ un po’ che mi chiedo se le Doc(g)




E’ un po’ che mi chiedo se le Doc(g) rispondano ad una vera omogeneità produttiva e organolettica dei vini prodotti al loro interno in netta contrapposizione a quelli prodotti nelle aree confinanti o esterne.
.
Oppure partendo da dei presupposti qualitativi (ineccepibili ma poco circostanziabili geograficamente e magari diffusi a macchia di leopardo) siano diventate degli strumenti economici atti all’innalzamento del valore dei vini compresi al loro interno, con il semplice meccanismo della riduzione dell’offerta a fronte di una domanda più o meno elevata.

Ovviamente non è sufficiente delimitare un area per sancire automaticamente l’innalzamento dei prezzi, le variabili sono molteplici (anche se tutte figlie di una visione del luogo ridotto a spazio-economico).
Bisogna affiancare alla delimitazione territoriale una serie di narrazioni atte a convalidare a rebours l’avvenuta perimetrazione.
Inventare tradizioni e rispolverare vecchi toponimi, chiamare in causa Fenici, Greci, Romani, Francesi o almeno un casato nobiliare.
In un gioco riduzionistico di equipollenza fra storia, territorio e qualità e valore commerciale.
Una concezione a dir poco semplicistica e mercantile dei luoghi e della biologia vegetale.
Ad esempio, mi pare che le Doc(g) non contemplino segnalazioni speciali per i vecchi vigneti (questi sì potrebbero raccontare il lungo processo di acclimatazione ai luoghi dei vitigni e alle molteplici sfaccettature dei vari fenotipi).

Il patrimonio vegetale è totalmente ignorato se non addirittura semplificato nella sua complessità varietale.
Anche le forme di allevamento e il portainnesto, usato spesso come chiave di volta per adattare le varietà a terreni loro non consoni, sono poco considerate.
Si esalta un concetto di territorialità vuoto e piatto come le carte su cui si disegnano improbabili confini fra comuni, paesi, parcelle, vigneti.
L’aspetto deleterio della riduzione a mappa è che una volta delimitato un confine all’interno tutti i terreni automaticamente divengono uguali (isotropismo cartografico) e ne aumenta il valore, penso alla docg Barolo o all’Asti docg, e anche quelli storicamente non vocati o usati per altre pratiche agricole sono via via vitati per estrarre il massimo valore economico possibile.

Da più persone mi è stato fatto notare che le composizioni pedologiche della Langa e del Monferrato sono molto simili, se non identiche.
Quindi che senso hanno le Doc(g) se il suolo su cui poggiano è identico a chi ne resta fuori.
Quale logica (se non quella di riduzione contabile dei luoghi) naturale giustifica l’erezione di confini fittizi, cosa ci assicura omogeneità e superiorità qualitativa dei prodotti?
Quando ad un passo fuori dal confine i terreni sono identici?

Di fronte alle cartine che ormai sono mondo e non immagine dello stesso pensiamo di comprendere le diverse sfumature organolettiche, non perché esistono (ed io non nego che esistano) nel reale ma perché segni grafici e schemi ne inverano l’esistenza.

L’omogeneità dei luoghi spesso si ha a macchia di leopardo, raramente per grosse aree omogenee, i confini sono sfumati con intrusioni e ricorsività.


Un particolare che mi colpisce è la tendenza, quasi un bisogno strano e anititetico rispetto alla formazione del territorio delle Doc(g) e probabilmente indotto dalla percezione di irrealtà delle perimetrazioni, di parcellizzare l’area in ulteriori sottozone via via sempre più minute sino alla definizione di singoli vigneti.
Processo che porterebbe se amplificato, in maniera paradossale a separare filare da filare, pianta da pianta.

Perché i luoghi sono eterogenei e in natura non esiste omogeneità e isotropismo e questo dubbio, questa forzatura, questa menzogna è interna al concetto stesso della Doc(g) che ha bisogno di frantumarsi in mille lieu dit per ritrovare la diversità negata dai sui stessi presupposti esistenziali.

Hanno dunque senso le Doc(g) al di fuori di un contesto economico?

“Pensate oggi alla notorietà dei vigneti della Cote-d’Or: dopo Santenay non c’è più nulla. Eppure, facendo le analisi del suolo a Givry, Mercurey e dintorni si trovano cose eccellenti. Ma il limite di influenza della diocesi di Autun era Santenay.
...
Il vescovato di Autun non poteva estendersi. Autun si trova nel cuore del Morvan. Ci sono Macon da una parte, e Langres e Digione dall’altra. Quindi la gente di Autun ha protetto quei pendii e impiegato ogni mezzo per valorizzali all’interno dei confini della propria diocesi. Ha sviluppato un sistema di vendita e lavorato i terroir… Sono cose molto complesse, ma osservando quei confini oggi si ritrovano esattamente i confini dei dipartimenti.”

lunedì 12 novembre 2012

Io ero nato da quattro anni e ...di Tirebouchon e mia postfazione




Io ero nato da quattro anni e alla Tenuta Migliavacca, su dai Brezza, sul bricco alto a San Giorgio Monferrato si era deciso di provare a coltivare la vigna e i cereali con il metodo biodinamico, perchè a dare la chimica nei campi si erano gonfiate le braccia e i visi ai lavoranti, il medico del paese diceva che era colpa della chimica e il papà di Francesco decise di chiedere l’aiuto del professor Garofalo di Suolo e Salute, e da allora son passati 48 anni, quarantotto anni!
Francesco Brezza è assai lontano dall’idea di vignaiolo con la camicia bianca aperta  che va di moda oggi sulle riviste del settore, beh poi non potrebbe visto che è sempre in giro fra vigne, campi e stalla, la preziosa stalla fornitrice di letame.

Il letame è tutto per la vigna “lei ti dà l’uva e tu devi darle qualcosa in cambio” mi dice Francesco, io ascolto attento, mi rendo conto di sapere poco, di essere ormai diventato troppo cittadino, di entusiasmarmi di fronte ai fiori di campo come se non li avessi mai visti in vita mia.
Tutto intorno al bricco ci sono vigne di barbera, grignolino, qualche filare di freisa, alberi di caki e di mele, orti, campi dove si coltivano grano e orzo, boschi e prati…giù in fondo il fiume Po possente, lontano le Alpi…a 2 km in linea d’aria c’è anche l’Eternit la maledetta fabbrica che ha causato e continua a causare tante morti fra la gente di queste colline, bieca invisibile assassina, perfetto simbolo dell’avidità e dell’arroganza dell’uomo.

Qui tanti anni fa si raccoglievano e si facevano seccare le foglie delle viti per Weleda che le usava nei suoi cosmetici, qui si continua a produrre e vendere uva barbera per una azienda tedesca di succhi di frutta (in Germania c’è un alto consumo di succo di uva).

Con gli amici Luigi Fracchia e Niccolò Desenzani si assaggiano i vini dalle botti, ancora fermentano, e poi si passa alle bottiglie: memorabili una Barbera Superiore del 2003, una del 2005, una Freisa del 2008, perfetti il Grignolino e la Barbera del 2011…il tempo sembra fermarsi, in cantina scorre la magia quasi eterna dell’amicizia davanti ad un bicchiere di vino.

Quella alla Tenuta Migliavacca è stata una visita densa, densa di paesaggi, di umanità, di odori, di emozioni, di vento, di verità, non la dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai i cani che inseguono la nostra macchina che scivola via sul viale della cascina, Fulmine ci accompagna fin quasi alla fine del mondo, il suo mondo, cane coraggioso!
Due considerazioni:
1) la biodinamica non è una moda, esiste da molto, ha cura della terra e dell’uomo che la coltiva, i suoi prodotti sono da tenere in grande stima.
2) i vini di Tenuta Migliavacca da uve di agricoltura biodinamica, utilizzano lieviti indigeni e non sono filtrati, sono tutti di grande qualità e dati i prezzi onestissimi (da 4.50 a 6 euro in cantina) io ne consiglio un gran uso (grignolino e barbera si possono comprare anche sfusi). 
Tenuta Migliavacca Azienda Agricola di Francesco Brezza
in San Giorgio Monferrato (AL) - tel. 0142781767 - sempre al lavoro 365/365

Postfazione  
Francesco Brezza involontariamente o volontariamente o per destino è uno di quelle persone che presidiano e abitano il limite.
Geografico perché la sua azienda è sulla cima dell’ultima collina a nord est che separa il Monferrato dalla pianura padana e il Po scorre alle sue pendici e il mondo lì cambia e si vede, basta guardarlo, annusarlo.
È come in cima ad un bastione di una fortificazione e lì sotto c’è Casale Monferrato e la curva che fa il Po verso sud per raggiungere il Tanaro, alle spalle increspature verdi di colline a saturare l’orizzonte, come un esercito schierato.
Una Finis Terrae (Tirebouchon dixit).


Agricolo perché con sforzi e fatica incarna la figura del contadino di collina archetipico diviso e integrato fra prati, cereali, allevamento, vigna e cantina.
E per fare questo, il concetto così contemporaneo e demoniaco di specializzazione professionale è un non sense perché bisogna saper fare tutto, compreso il falegname, il meccanico e ahimè il burocrate.

Un guardiano del faro nella notte del Monferrato.
Luigi




venerdì 9 novembre 2012

Montemarino 2007, VdT, Cascina degli ulivi. Di N. Desenzani


Bouquet quasi da passito. Non così dolce, ma già di frutta ultramatura, con sentori zuccherini evoluti verso il caramello. C’è tuttavia una combinazione di alcool e volatili che risulta di grande freschezza. Accompagna una leggera nota ossidativa verso la gomma bruciata: appena un accenno. Ricco. A tratti qualche nota chimica tipo colla.
In bocca è subito evidente un residuo zuccherino, ma la materia è equilibrata e fresca con anche qui cenni volatili che aiutano. Si percepisce la rotondità data dall’affinamento in legno, ma i sapori sono molto ben integrati. Acido e marcatamente salato, un po’ pungente e un po’ bruciante in gola. Sensazione non piacevolissima.
Si riconosce il segno di Cascina degli Ulivi nelle note amarognole di frutta secca con guscio, penso a una nocciola, che caratterizzano tutti i Cortese di Bellotti.
Una leggerissima tannicità collabora al piacere del sorso.
Indubbiamente un vino molto originale (si può dire?), dove la salinità insieme alla dolcezza, la freschezza volatile e la calura faringea, rendono la bevuta mai scontata.

Cortese 100%, 3 giorni di macerazione, poi un anno in botti da 15 hl.  

mercoledì 7 novembre 2012

Il libro degli spiriti di Vittorio Rusinà



In una nicchia di mattoni
il libro degli spiriti 
sopravvive fra i grattacieli
intorno si spande il profumo del risotto e delle polpette di baccalà
cinque amici, un tavolo di bottiglie aperte, mille bicchieri
scorre il vino, è tutta natura, senza additivi
senti il rosmarino di Figari,
la terra del vigneto Le Olive,
l'eleganza di un Abruzzo che parla francese,
il calore delle botti del Piemonte più a nord, 
l'estrema sfida delle colline di  Castiglion Fiorentino 
e il profumo del mare lontano di Romangia
fuori è notte ma dentro di noi è luce
scorre la linfa e si sente il rumore di un trattore lontano
di passi fra i filari, di forbici che tagliano,
di mani che raccolgono, di acini che rotolano nei tini
scorre il ki 
scorre nucleare 
fra le bollicine del sakè 
con un inchino saluta
la bellezza
la luna grande
lassù nel cielo di Milano

I vini
Tarra D’Orasi VdF 2008 Clos Canarelli, Trebbiano d’Abruzzo Doc 2007 Valentini, Le Olive VdT Giuseppe Ratto, Anatraso Toscana Igt 2007 Carlo Tanganelli, Dettori Bianco Romangia Igt 2010 Dettori, Lessona Doc 2005 Proprietà Sperino, Sake Ninki-Ichi Rice Magic Sparkling Junmai Daiginjo
Gli attori
Jacopo Cossater, Niccolò Desenzani, Fabio D’Uffizi, Luigi Fracchia, Vittorio Rusinà
Il luogo
Ristorante Ex Mauri, via Confalonieri 5, Milano
Quando
Ventinove ottobre duemiladodici


lunedì 5 novembre 2012

Il Pendio di Michele Loda a Monticelli Brusati (BS). Gli uomini dietro al terroir.

Michele Loda
Prescritto.
Sto cercando disperatamente un altro termine in sostituzione di terroir o territorio da quando ho letto sui libri di Farinelli che la matrice semantica  della parola è comune a “terrore” e probabilmente nacque nel periodo in cui gli Stati Sovrani decisero di misurare lo spazio dei propri possedimenti abbandonando descrizioni qualitative a favore di una concezione cartesiana e quantitativa dei luoghi e delle persone, mirata per lo più al controllo degli stessi (un esempio su tutti: il catasto terreni che penso voi crediate sia sempre esistito nacque nella Francia Napoleonica e venne poi recepito nel resto dell’Europa da metà ottocento e naturalmente è nato per determinare in maniera scientifica i redditi e quindi le imposte).
.
Un termine che sembrerebbe scevro dalle suddette connotazioni è “luoghi” perché come dice Farinelli:

“Luogo, al contrario (di spazio e territorio ndr), è una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun altra, che non può essere scambiata con nessun altra senza che tutto cambi. Nello spazio invece ogni parte può essere sostituita da un’altra senza che nulla venga alterato, proprio come quando due cose che hanno lo stesso peso vengono spostate da un piatto all’altro della bilancia senza che l’equilibrio venga compromesso.”

A voi piace?
A me abbastanza, però sono aperto a consigli.
Ricomincio e mi scuso per la digressione fuori tema.


Gli uomini dietro i luoghi.
Michele Loda alias il Pendio in quel di Monticelli Brusati (BS).
La Franciacorta è un insieme di luoghi che per semplicità ragionieristica e agrimensoria e normativa è stata ridotta nel nostro pensiero di consumatori e ahimè anche nel pensiero e nei fatti di alcuni responsabili del Consorzio ad un unicum indistinto, omogeneo, isotropo (problema comune a tutte le normative sulle DOC(G) e a tutti i tentativi maldestramente umani di perimetrare e computare le cose di natura).

Un luogo la Franciacorta che essendo stato inventato cartograficamente è diventato un non-luogo isotropo ed equipollente.
Per cui differenze anche sostanziali fra giaciture, meteorologia locale, pedologia, altitudini sono confluite in un mare magnum di vigneti che partono dalla pianura e abbracciano la Milano-Venezia sino a quelli a trecento metri slm, ripidissimi con impianti a giro poggio o terrazzati di Monticelli Brusati o Gussago (cito questi perché li ho conosciuti de visu e nulla hanno a che fare con le distese di vigneti del fondo valle).



Il Pendio è in una posizione meravigliosa a trecento metri di altezza, un corpo unico di cinque ettari su un fianco della collina con esposizioni che vanno da nord est a sud, attorniata da boschi e perennemente ventilata.
Con suoli differenti al proprio interno, la parte sommitale ha pochi palmi di argille (bianche e grigie a macchie di leopardo) sopra la roccia madre calcarea affiorante, le pendici hanno più spessore di argilla sempre frammista a brecciolino calcareo e maggiore ripidezza.
Luoghi diversi all’interno di un corpo aziendale apparentemente unico e le piante lo interpretano in maniera differente in base a complesse interazioni fra la maggiore umidità e umicità del suolo, differenti consorzi microbici sessili, esposizione, drenaggio.



Per cui da certi vigneti o porzioni o filari si ottengono mosti con caratteristiche differenti di acidità, tenore zuccherino, estratti, componenti aromatiche.
Il tutto sorvegliato e istradato dalle minime pratiche agronomiche messe in atto da Michele Loda che lo portano a dividere così la sua produzione:
nord est, vigneto di chardonnay il Ruc attorniato dal bosco (e saccheggiato dai cinghiali) dà le uve del Cunvai, Cremant, metodo classico;
nord est, vigneto gradonato di chardonnay dà le uve de Il Contestatore Franciacorta Docg, Pas Dosè;
est, vigneto Ruc, dà le uve per il Curtefranca Bianco Doc, chardonnay e il Brusato Franciacorta Docg, Extra Brut;
sud, vigneto dà le uve per La Beccaccia, vino rosso, Cabernet Franc;
sud, vigneto La Valletta da le uve per il Pinot Nero del Sebino Igt e il Brusato Rosè, metodo classico;
sud sud ovest su gradoni dimorano quattrocento Leccino di quarantacinque anni per l’olio aziendale.


Che altro dire se non che l’azienda fondata da Gigi Balestra è condotta in solitudine da quasi dieci anni da Michele Loda che lavora in una cantina microscopica (la presa di spuma è fatta in cataste ancora assemblate con le “latte” striscie di legno frapposte fra fila e fila di bottiglie per evitare il contatto diretto e il collasso della catasta in caso di esplosione di una bottiglia) in cui ogni lavorazione presuppone un incastro perfetto e sequenziale delle operazioni per liberare spazi e vasche e barrique (ormai decennali se non più).



In ordine sparso vi elenco le cose mi ha detto e ho visto:
I cinghiali mettono a dura prova la raccolta dell’uva.
La flavescenza dorata si insinua con discreto successo nei vigneti.
I vigneti sono interamente inerbiti.
Usa lieviti indigeni sia per le fermentazioni alcoliche sia per l’inoculo del tirage (sono arrivato in cantina mentre un piccolo pied de cuvèe, destinato al tirage, stava animandosi e profumando di crosta di pane la cantina).
Attrezzature e vasi vinari ridotti all’osso e abbondantemente obsoleti (e non è necessariamente una cosa negativa, almeno per me).
La stabilizzazione delle basi spumante la fa a freddo con un impianto frigorifero artigianale che impiega due giorni per portare la massa a meno uno e dura una settimana.
I metodi classici affinano in acciaio per un anno sulle fecce fini e poi trascorrono trentasei mesi “sur latte” per la presa di spuma alcuni anche per sessanta mesi.
I vini fermi fermentano in acciaio e poi vanno in barrique usate e non sono filtrati.
Remuage manuale.
Tutti i metodi classici sono millesimati.
Il gelo degli ultimi due inverni ha dato un bel colpo all’oliveto.



Michele Loda è un vigneron rustico e assai poco franciacortino legato com’è alla terra e alla dimensione artigianale del fare il vino (non direi luddista ma a tratti potrebbe sembrarlo).
Come mi capita spesso con persone così terragne, c’è un progressivo processo di accordatura fra il vigneron e il visitatore che si dipana da una iniziale ritrosia e chiusura sino ad una condivisione empatica e generosa.
Come se il fine non fosse solamente la vendita di un prodotto ma anche la comprensione più intima della propria personalità e storia e per fare ciò bisogna che entrambe gli interlocutori scoprano e offrano l’un l’altro le proprie esperienze e in qualche modo i propri sentimenti.
Tutto ciò annaffiato dal vino, che aiuta!

Ho assaggiato
Il Contestatore, Franciacorta Docg 07, non dosato, chardonnay.
Brusato, Franciacorta Docg 07, extra brut, chardonnay.
Cunvai, cremant 07, metodo classico, brut, chardonnay 70%, pinot bianco 30%.
Brusato, rosè 07, metodo classico, non dosato, pinot nero.
Odio le descrizioni sintetiche (anche nel senso di poco naturali e un po’ approssimative) di ogni singolo vino per cui accontentatevi di una lettura trasversale da cui è emerso che sono vini ad alta sapidità e con acidità robuste che non indugiano su profumini floreali o di crosta di pane ma mirano dritto alla mineralità salata, ai terziari con intensità e croccantezza, il rosè ci aggiunge le note inconfondibili del pinot nero, mi sento di poter dire che sono vini di territorio (luogo) e di millesimo.
Dimenticavo di dire che il perlagè è finissimo, presente e molto stuzzicante malgrado la pressione sia inferiore ai 4,5 bar.
Voilà, a me sono piaciuti tutti e quattro.



Curtefranca Bianco 07 Doc, chardonnay.
Molto interessante con memorie di leggere ossidazioni (come alcuni borgogna) e maturazioni, sapido e minerale (quella sensazione di mineralità quasi salmastra), teso e fresco, si è evoluto moltissimo per tutto il tempo della degustazione.
Pinot Nero del Sebino 07 Igt.
Un po’ chiuso subito si è aperto verso sentori terrosi e tabaccosi e di residuali frutti, acidità nervosa.
La Beccaccia 07 vino rosso, cabernet franc.
Impetuoso, etereo con fughe mentolate più che erbacee, rotondo, tannini levigati, minerale e poi frutta.
Anche i vini fermi mi sono parsi di territorio (luogo) per la loro capacità di uscire dal varietale e proporre un panorama, quello che si vede dai vigneti.

Olio extravergine Il Pendio.
Mi sono amaramente pentito di averne comprato troppo poco! (analisi organolettica da professionista, vero?)