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domenica 9 gennaio 2011

marsalatarga1840floriogrillodamaschinoinsoliacataratto

Carissimi,
per distrazione o forse affascinato dalla lotta fra Champagne e italici Metodi Classici  ho lasciato colpevolmente nel cassetto il mio vino preferito.

E’ un vino che ricorda l’epopea dei mari e le flotte Anglo Francesi che scorazzavano in  perenne guerriglia fra l’Atlantico e il Mediterraneo.
Orace Nelson ne caricava decine di botti sulle sue navi ed era parte integrante dei pasti.
Sicuramente alleviava le fatiche e la solitudine sul mare.
Come facessero poi a salire sugli alberi a piedi nudi, sferzati dal vento, scossi dal rollio, per cazzare le vele, rimane un mistero.
Eppure, malgrado o grazie al Marsala, allo Sherry, al Porto, al Madera questi marinai navigarono per tutte le acque del globo, senza quelle dotazioni tecnologiche, privi delle quali noi, oggi, non potremmo uscire da un albergo nel centro di Manhattan.
Meno male che non beviamo quanto loro se no non usciremmo nemmeno dalla camera di quell’albergo.
Il Marsala nasce appunto verso fine settecento come vino fortificato adatto a resistere ai lunghi e disagevoli viaggi per nave.
L’alcool aggiunto e il grado zuccherino  (propriamente detta la “concia”) elevato stabilizzavano il vino che così sopportava meglio gli stress termici e fisici.
Gli inglesi scoprirono Marsala come luogo e il Grillo come vitigno e lo elessero alla produzione del vino fortificato di Marsala.
Nella composizione del Marsala bianco (ne esiste una in rosso molto più rara che ammetto di non aver mai neppure visto) possono concorrere il Cataratto, l’Insolia e il Damaschino.
Ma è il Grillo che dà il meglio di sé malgrado le condizioni pedoclimatiche estreme dell’area.
Si è adattato dopo secoli al caldo, all’ustione del sole, all’umidità salmastra, ai terreni poveri calcareo sabbiosi, al vento incessante, preservando profumi, corpo e una residua acidità che lo rende “snello” e “verticale” malgrado la glicerina, l’alcool e gli zuccheri lo sommergano.
La produzione in sé è piuttosto complessa e dà origine ad una babele di prodotti, classificati in base alla “concia”, al colore, all’invecchiamento e al grado zuccherino.
Come sempre bisogna assaggiare per trovare il vostro Marsala.
Io in questo periodo adoro quelli semi secchi (50/100 gr/l di zucchero residuo) o dolci (oltre 100 gr/l).
Esistono anche quelli non “conciati” e molto secchi: i Vergini e i Soleras.
L’altro inverno, mangiando panettone e guardando la neve scendere a meno 12 °C degli amici Inglesi, popolo da sempre affascinato dai pudding wine fortificati, hanno fortemente intaccato la mia riserva personale.
It’s wonderful ripetevano e bevevano e mangiavano (esattamente come i loro avi sulle navi di sua Maestà).
Quest’anno dalla scansia oramai desolata ho prelevato un Targa 1840 superiore riserva, semisecco, vendemmia 1999 delle Cantine Florio.
Io l’adoro è dolce con riserva, cremoso e agrumato (canditi), morbido con sferzate alcolico iodate.
Il profumo complesso dei litorali assolati e della macchia mediterranea, salmastro-resinosa.
Il profumo e l’opulenza della Sicilia.
Perfetto per me è l’abbinamento con il panettone classico per l’estrema affinità dei profumi, delle sensazioni organolettiche.
Perfetto con i fiocchi di neve o gli impanatigghi di Giunta.
Perfetto da abbinare a un roquefort artisànale.
Perfetto da bere solo.

Aridità dalla cantina:
produttore Cantine Florio.
primo anno di realizzazione 1840.
Vigneti costieri al massimo a 50 m slm, allevati ad alberelo marsalese con densità  di 5.000 ceppi/ha su terre sabbiose con intrusioni di terre rosse.
Vendemmia manuale nella II° e III° settimana di settembre.
Vinificazione in bianco a temperatura controllata.
Addizione di Mistella, Mosto cotto e Distillato di vino.
Affinamento in botti di rovere da 1.800 litri per cinque anni e un anno in antichi carati da 300 litri.
Sei mesi in bottiglia.
Zuccheri residui 70 gr/l.

Dimenticavo il prezzo di questa selezione in bottiglia da 50 cl. È imbarazzante da P.I.A.N.A a Torino 11,00 euro


Luigi


mercoledì 3 novembre 2010

c'è post per te

Treundiciduemiladieciripensamentisulblogsottounapioggiapetulante
orto di un dilettante allo sbaraglio
Dedicato alle donne e ai neoappassionati
Le insalate (sono un ortolano bio-dilettante) malgrado siano a 1360 m slm e le temperature siano state tutt’altro che miti, sono in ottime condizioni, il freddo le ha tinte di rosso, verde e marrone squillanti, le foglie sono croccanti, il sapore ottimo. Ho sparso dei microbi starter (rigorosamente bio qualcosa) sul terreno che ho poi preparato con il grufolatore a piede di cinghiale, un attrezzo che abbiamo fatto su misura in un pomeriggio uggioso, con la forgia e l’incudine, il fabbro del paese ed io.
Mentre tiravo, sbuffando come un cinghiale (da cui il nome), l’asta dell’attrezzo infernale, pensieri, come flash si accendevano nel mio cervello. Chi voglio che legga il blog? Che informazioni voglio trasmettere? Come voglio parlare di vino? Come vuole sentir parlare di vino la gente? Ma la gente vuole veramente sentir parlare di vino? In due settimane mi sono già preso troppo sul serio?
Intanto inizia a piovere, guardo sconsolato i broccoli che non c’è l’hanno fatta (trapiantati troppo tardi), allineo gli atrezzi, chiudo il cancelletto e ritorno a casa pensando al blog e ai temi proposti da Stefania che per sua sfortuna ma mia immensa fortuna è mia moglie e mia Musa ispiratrice.
Il mio blog non può essere un luogo solo per addetti ai lavori, deve invece allargare la base della fruizione e portarlo più vicino alle donne (principalmente e in sub-ordine agli appassionati di cucina), che come in uno strano gioco di contrappasso sono ottime cuoche (sia per tradizione sia per il ritorno alle tradizioni, inpreziosite da tecniche moderne) ma rifuggono il mondo del vino per, credo, un eccesso di tecnicismo e una interpretazione militar-confessionale del fenomeno (se non ci credete venite alle lezioni AIS, si fa l’alzabandiera prima di iniziare). Con tutto ciò non è che non bevano (sicuramente spendono meno degli uomini) e che non regalino vino anche tra di loro, solo che pochi hanno cercato di parlare a quel mondo con parole adeguate.
Non disperate ci sono io che fugherò ogni dubbio su cantina, abbinamenti e servizio.
Se  vi parlano di profumi di zagare sfido io quel sommelier o giornalista a riconoscere anche solo l’arancio (inteso come pianta) e comunque se lo dicono di un bianco non si può contestare.
Non fatevi fregare, i profumi che si sentono nitidi (magari voi ne sentirete qualcuno in più di me) sono il fico, la vaniglia, il caffè (ricordo una sensazione netta e prolungata di caffè appena macinato nell’HARYS annata non ricordo di Giacolino Gillardi produttore in quel di Farigliano (CN), sempre un bel bere), la salvia, e la pipì di gatto nei peggiori Sauvignon, gli altri sono forzature. Ai corsi AIS eravamo in tre a sentire talvolta profumi di trementina di gemme di pino in certi rossi molto evoluti, il “sergente istruttore” non ha mai accettato questa nostra definizione perché la riteneva inesatta e lesiva nei confronti del vino, noi tre uscendo ci scambiavamo un cenno di solidale complicità e continuavamo a sentire odore di trementina, ad una degustazione di Sangiovese, un Brunello di Montalcino di gran blasone (giuro non ricordo il produttore se no l'avrei scritto, si che l'avrei fatto) al naso profumava di cipolla anzi di “minestra di cipolle in guardiola di portineria”, pessimo per quasi tutti i presenti, per i conduttori della degustazione era la mirabile e inarrivabile polvere di Montalcino!
Il vino profuma e i suoi profumi piacciono e si abbinano sia ai cibi sia ai nostri stati d’animo e i nostri stati d’animo fanno in modo che un profumo che ci piace stia bene con tutto, perché ci piace, amen.
Un gioco continuo di forzature e accostamenti il più delle volte mutuati dalla soggettività e dalla voglia di sperimentare o confermare i propri gusti.
Però ci sono due cose che non bisogna fare se no mi incazzo (forse anche tre o quattro).
La prima (se fosse per me mi fermerei a questa che però punirei con l’ergastolo) è: non abbinate dei vini Frizzanti secchi (<33 g/l di zuccheri residui, perdonate il tecnicismo) con i dolci! Non si può fare è una mostruosità e un gesto offensivo nei confronti del vino e del dolce. Per dolci delicati si può godere di uno Champagne o un Metodo Classico Demi Sec (33-50 gl di zucchero), chi ama l’aromaticità ci sono i Moscati, le Malvasie anche rosse, il Brachetto (che è stupendo sulle fragole) sempre frizzanti o in vendemmia tardiva. In caso di dolci impegnativi come i millefoglie, le cassate, le meringate, con crema pasticcera, panna e anche con presenza di cioccolato ci sono decine di passiti dall’Erbaluce, Riesling, Sauvignon (che mantengono una netta acidità e freschezza) ai Moscati di Strevi, Loazzolo in Piemonte a quello di Scanzo docg a Bergamo ai Moscati rosa in Trentino e A. Adige a quelli Calabresi a quelli Siciliani: i famosissimi Passiti di Pantelleria, il Moscato di Noto e l’ormai raro Moscato di Siracusa ai Sardi Moscato di Sorso Sennori e il Moscato di Cagliari.
Senza dimenticare il COF Picolit docg e il Ramandolo docg in Friuli, lo Sciacchetrà in Liguria, i Vin Santi docg della Toscana, il vino Santo del Trentino, il Recioto do Soave docg, l’Albana di Romagna docg.
Perché allora assasinare un dolce, un vino, un palato con abbinamenti impossibili e pessimi dal punto di vista organolettico.
Si avvicina Natale quindi, Ragazze, stupite gli invitati offrendo un sontuoso panettone artigianale (se lo comprate senza canditi cancellate il mio indirizzo dalla barra dei preferiti! È un ordine) abbinato ad un Marsala Superiore Oro “Vigna la Miccia” di Marco De Bartoli, i canditi vanno a nozze con profumi agrumati del vino che smorza con il suo vento salmastro la dolcezza del burro e delle uova.

Se non lo trovate (la produzione non è confidenziale ma è un po’ di nicchia) potete acquistare senza tema d’errore il  Marsala Superiore Ambra Semi secco “Targa Riserva 1840” della Florio o il dolcissimo Marsala Superiore Riserva Oro Dolce di Buffa.

La prossima volta vi dico cos’altro non bisogna fare.
Buona degustazione
luigi