
Nel panorama italiano dei vini naturali, c’è un vignaiolo
che più di tutti mi ricorda i suoi omologhi francesi. Non a caso la sua
formazione è avvenuta Oltralpe, dove peraltro ha trovato moglie.
Gian Marco Antonuzi e la moglie Clémentine Bouveron iniziano la loro avventura
di produttori indipendenti a Gradoli, sulle rive del lago vulcanico di Bolsena,
nel 2004 dopo esperienze presso Philippe Pacalet in Borgogna e Didier Barral in
Linguadoca-Rossiglione.
All’inizio sono tre ettari di vigne abbandonate. L’attitudine è di totale
rispetto delle varietà esistenti in zona. Così succede che nei vini si possano
trovare in prevalenza greghetto e aleatico, ma anche ciliegiolo, canaiolo, colorino
e vaiano... E per le bacche bianche procanico, moscato, malvasia, ansonica,
verdello, greco, roscetto, vermentino, petino e romanesco…!
Oggi gli ettari sono cresciuti e i due “matti” riescono a vinificare circa
25000 bottiglie con una cosa come 14 diverse etichette, alcune ripetibili di
anno in anno altre invece una tantum. Un panorama produttivo che non aiuta la
memoria, ma invita a perdersi fra etichette, dediche, vitigni, metodi di
vinificazione, piccole vigne, rese infime, vini glu glu e vini di profondità
oceaniche, Litrozzi e Rossi +, Lotti …
Insomma se i suoli sono vulcanici, ma il vulcano è spento, la creatività
enologica è della stessa natura, ma in piena e continua eruzione. Mutuando una
frase che Joseph Conrad dedicò alla scrittura di William Henry Hudson mi vien
da dire che la coppia Antonuzi “vinifica come l’erba cresce”.
In passato ho raccontato alcuni assaggi dei loro vini, che trovo solo a Roma da
Bulzoni, purtroppo.
Di recente ho bevuto tre bottiglie che mi sono piaciute molto.
Le primeur 2011
Lo ricordo rassicurante nel colore, quel rosso tendente al viola della
variegatura all’amarena nel gelato di panna, torbido e consistente. Quando vedo
quella roba inizio a salivare.
Sinceramente ignoro i vitigni partecipi nel blend, ma l’effetto è quanto di più
idealmente definirei vin de soif. E’ uno stile che ritrovo solo nei francesi.
Quelli più temerari. Il vino nella sua perfettamente compiuta forma senza nulla oltre la fermentazione un
brevissimo riposo e poi dritto in bottiglia.
Una tipologia questa che credo sia difficile ottenere usando solfiti in
quantità normali. Qui si gioca sull’immediatezza dei sapori, ma già senza la
vinosità, che secondo me si avrebbe solfitando e che necessita di affinamento
per dipanarsi. Qui hai davvero una materia semplice succosa e golosissima. Non
ti stupire se cambia e magari si deteriora nei colori e nei sapori in un
battibaleno. Tu tracannalo senza inibizioni e vedrai che vince la tua sete sul
disordine dei lieviti e dei batteri selvaggi.
Riserva Lotto 20 2009
Poco sopra dicevo profondità oceaniche… forse più propriamente dovrei dire
vulcaniche. Figlio di una vigna vecchia di grechetto rosso, questo è un vino che
mi ha dato una forte emozione. Una vera e propria fitta di quelle che ti
lasciano per un attimo senza fiato. Elegantissimo, per certi versi
sangiovesesco. Sottile e profondo. Ma anche ctonico e succoso. Polveroso.
Evolve in fretta e forse un po’ si corrompe, ma c’è un momento in cui davvero
ti porta via, sempre più giù, sempre più al centro della terra. Poi ti
riprendi. Effimero. Un’acidità nobile e appuntita e infiltrante, diciamolo,
MINERALE, che sembra un estratto dell’antica vigna. Tutto ciò che le sue
chilometriche radici hanno assorbito.
Rosso di Gaetano 2011
Si ritorna sul pianeta terra con un vino da tavola, di grande piacevolezza,
credo a base sangiovese, con altre uve (rinuncio a capire quanti vitigni ci
siano nel Domaine Antonuzi!). Un vino semplice, bello, ma che ha dei tratti ben
marcati. Acidità perfetta. Freschezza. Pulizia. Ed è un vino base. Per me
un’altra espressione della beva gioiosa.
Un’altra espressione delle capacità incredibili di questi due “meteoritici”
precipitati a Gradoli.
