Pagine

Visualizzazione post con etichetta lazio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lazio. Mostra tutti i post

mercoledì 21 gennaio 2015

Il Rosato di Le Coste di Gradoli

Di Vittorio Rusinà


Una sera di queste da Banco, a Torino, con Luigi e Carlo.
“Cosa volete bere?” ci fa Pietro.
“Le Coste di Gradoli.” Diciamo noi.
“Allora iniziate dal Rosato.”
“E sia Rosato” “Ma non si inizia con un bianco? Ah ah ah aiuto!
Pietro ci butta una occhiataccia e intanto stappa, o forse stappa Irene, uffa non ricordo.
Bellissimo colore, glu glu glu, si sente l’acino dell’uva, sembra il vino che bevevano d’estate i nostri bisnonni magari giù al fresco in cantina, e allora pensiamo “ma il vino non poteva restare così senza tanti tecnicismi e chimike varie?!?”
Un filo di residuo zuccherino e un filo di carbonica appena percettibile.
Perfetto con le ostriche, le alici fritte, il salame, il pane di grano saraceno e il burro francese.
Mamma che bontà, e se non ci fosse stato Pietro, chissà quando lo avremmo mai ordinato, il Rosato.

I vini di Le Coste non sono facili da trovare in Italia, “vendono quasi tutto all’estero” dice Pietro, infatti me li immagino i giapponesi a sbicchierare, loro sono grandi cultori della bontà naturale, ecco nel mio cuore spero che questi vini si diffondano anche in Italia, presto.

Le Coste sono Clementine e Gian Marco Antonuzi, li potete trovare a Gradoli (VT) sulle colline sopra al lago di Bolsena.
Da Banco Vini e Alimenti a Torino trovate tutti i loro vini.

mercoledì 28 maggio 2014

PUNCH-DRUNK LOVE

di Eugenio Bucci

Punch-Drunk Love (Ubriaco d'amore) è un film del 2002 diretto da Paul Thomas Anderson (quello che prima aveva fatto Boogie Nights e poi fece Il Petroliere e tutti e due. all'incirca, parlano di trivellazioni). Ha vinto a Cannes il premio per la miglior regia ed anche a me piace un sacco, ma questo non c'entra. La trama è poppeggiante e succosa e tanto metaforica come solo (?) questa nouvelle vague di giovani americani sa fare. In breve succede che Adam Sandler (si, lui, l'equivalente americano di Christian De Sica che fa un sacco di vanzinate e, ogni tanto, qualcosa d'autore e spesso non si nota la differenza) ha una ditta di scopetti da cesso (metafora) ed è molto represso perché è cresciuto con 7 sorelle (metafora) e ha delle crisi di incazzo in cui, non so, spacca uno specchio in bagno quando nessuno lo vede. Poi incontra una tipa che è Emily Watson (si, lei, quella de Le Onde Del Destino di Von Trier con gli occhioni sempre spalancati e lucciconi tipo cerbiatto sulla statale) e si innamora ed è pure ricambiato. Nel frattempo Sandler, che continua coi suoi comportamenti, come dire, bipolari (nel film e nella carriera), sta comprando una marea, davvero una marea di budini XY (metafora) perché ha scoperto una falla nel regolamento di un concorso e, insomma, punta ad ottenere una serie infinita di miglia aeree e viaggiare gratis fino alla fine dei suoi giorni. Nel frattempo sempre Sandler ha combinato un casino prima di conoscere la Watson, cioè, una sera ha telefonato ad una hot line e ora è tampinato e ricattato da Philip Seymour Hoffman (si, quello bravo che poi fece The Master che è sempre di Paul Thomas Anderson e parla sempre di trivellazioni ma a livello più cerebrale e/o spirituale) che è il gestore della hot line e ha anche un negozio di materassi (metafora). Però Sandler ha ora tutto un atteggiamento diverso derivato dalla forza dell'ammmore per la Watson ed è meno represso e ancora incazzoso però nel modo giusto, così va da Seymour Hoffman e sistema la faccenda e poi torna a limonare con la Watson e ad accumulare miglia per il loro viaggio infinito (metafora).


Il senso di un'etichetta.
Due uomini che tracannano vino. Io sono quello smilzo.
Entro breve colpirò quello panzuto per fregarmi la sua bottiglia


Ed è con la forza dell'ammmore che scrivo oggi ed è una forza potente e primigenia. Che può stordire e cartavetrarti l'intelletto. Che per fortuna (?) ti colpisce poche volte nella vita. Epperò mentre ti asfalta, ti esalta. Ti rende più lucido e centrato. Focused. Elimina le sovrastrutture per indirizzarti verso l'essenziale. Ti denuda (se ti va bene). E così che mi sono sentito al primo incontro con Litrozzo Bianco. L'annata era la 2009. I vin de soif erano ancora una nebulosa, un concetto timido che ogni tanto saltava fuori ma mica chiaro cosa fosse. Cioè, era chiaro ma mancavano ancora gli esempi, mancava una pratica di assaggi che solo in questi anni si sta completando. Ed invece ci ero capitato esattamente al centro. Ero nel punto esatto in cui vin de soif diventava vino da sete. E così scrissi una lettera d'amore (Nota 1). E li andai a trovare a Gradoli. Gian Marco Antonuzi e Clémentine Bouveron. E passeggiai per le loro vigne e camminai tra le muffe e i tufi della loro cantina e assaggiai ogni contenitore e mangiai con loro e ascoltai un torrente di racconti e idee e fatiche e sticazzi ogni 3X2. E l'innamoramento, la cotta adolescenziale divenne un amore solido e maturo. 
Ma ricapitoliamo. Era il 2008 e Vini Veri era in epoca pre-Cerea. Si andava in un villone vicino Verona. Come si dice. La splendida cornice di Villa Boschi a Isola della Scala. E accanto alla splendida cornice etc etc era un tendone, una tensostruttura che accoglieva una sfilata di produttori rimasti fuori dai saloni e salette settecentesche. Il tendone era ampio e arieggiato e, in caso di pioggia e/o vento, bagnato e freddo. Tutto molto Festa Dell'Unità. A metà pomeriggio inizia quello che definivo il Tirare A Caso. Andare dai produttori che non conoscevo, magari di zone meno famose. Era eccitante. L'esploratore in lande sconosciute. Certo, si beccavano spesso delle sòle. Ma la vita è una sola. Vabbè.
Lessi Lazio. Lessi Le Coste di Gradoli. Bevvi un paio di vini. Sticazzi. Quello lo diceva spesso Antonuzi. E quello lo pensai anch'io. Sticazzi, sono buoni. E poi bevvi un coup de coeur. Un 4 stelle Mereghetti. Carbò 2007. Un Greghetto in macerazione carbonica. Che costruiva un ponte immaginario col Rodano, quello sensuale e tuttotondo dei Gramenon e Dard & Ribo. E ancora non c'erano i Litrozzi. Non c'erano o non li aveva portati, non ricordo.
Le Coste era diventata un nuovo must-have. In ogni fiera/occasione dovevo passare a trovarli. Ma, come dicevo, quella era ancora un'infatuazione. L'amore con la A scoppiò col Litrozzo Bianco 2009.
Da allora ogni anno scatta la corsa all'accaparramento. Gli altri loro vini possono essere buoni, discreti, scorbutici, espansivi. Ma Litrozzo è il vino di Gian Marco e Clementine. Quello che li rappresenta, quello che preclude le masturbazioni mentali (in antonuziano, le seghe) e punta diretto all'ipotalamo, all'homo brutus che è in noi e vuole solo bere e godere.
E Litrozzo Bianco che nell'annata 2013 si fa, come sempre, bere e godere. Ma è (ovviamente) diverso. Vediamo come.
Intanto ecco la descrizione dell'annata nella loro puntuale newsletter:

 "...un’annata, 2013, pronta da subito. Difficile, molto piovosa e fredda nei mesi di aprile e inizio maggio, nonostante una piccola perdita di raccolto, si è rivelata per noi un’annata eccezionale. Tardiva e lenta a maturare, il 2013 ha dato uve molto equilibrate, mature al punto giusto, senza esagerazioni. Le fermentazioni si sono svolte in modo impeccabile, i vini sono freschi e fragranti con gradazioni alcoliche come ci piacciono."

E come presentano il vino:

"Il Litrozzo bianco è fatto con il procanico, insieme ad una piccola percentuale di diverse uve locali, da sempre mischiate nei vigneti tradizionali. Quest’anno abbiamo lasciato per qualche giorno insieme al mosto una piccola percentuale di uva diraspata. Il colore è più dorato ma la scorrevolezza e la beva sono quelle di sempre."

Ci sono un paio di cose da annotare. Uve molto equilibrate,... senza esagerazioni. E Uva diraspata. E molto di queste note si ritrova nel bicchiere. Perché LB 2013 è un vino che vive di un sottile equilibrio perdendo in parte quell'esplosività aromatica di altre annate ed esaltando una componente verde spiccata. Gli odori, che rimbalzavano tra le dolcezze da pera matura e il floreale, tra una trama finemente tannica e terrea, qui si appuntiscono e rimandano a certi trebbiani new-age, a quel verde rasposo e linfatico. Epperò nel contatto con l'aria, nello scambio virtuoso (direbbe qualcuno) con l'ossigeno sentiamo piccoli sommovimenti ed aperture, col passare dei minuti e delle ore (lode a me, con incredibile sforzo di volontà ne ho pure lasciato un po' da assaggiare il giorno dopo) si intra-vede e intra-sente una evoluzione, un andare verso una speziatura in filigrana a scalfire quella monodirezionalità iniziale. Una promessa, una suggestione, un riverbero.
Quindi. Quindi un LB più dritto, meno ampio ma sempre campione di beva. Beva costruita su un equilibrio più teso, dove l'acidità allunga e rinfresca. Si perde qualcosa rispetto ai 2009 o 2010, si perde quel plus di semplicità miracolosamente legata alla complessità. 
LB 2013 è un'edizione semplificata ma non semplicistica. Diretto e sfacciato, primario e poche-seghe. E' e rimane un vino la cui etichetta pare un Istruzioni Per l'Uso: da bere a gargarozzo attaccati alla bottiglia. E qui, ora, nella primavera 2014 come nelle primavere precedenti, finalmente sono seduto e lo guardo negli occhi e so che viaggeremo ancora tanto insieme e non ci lasceremo mai. Sono ancora ubriaco d'amore. 








Nota 1: “Vino torbido e coloratissimo, è frutto di un progetto quasi di preservazione del territorio. Gianmarco Antonuzi prende le uve di vecchi vigneti coltivate dai contadini della zona (vigneti nei quali non c’è alcun intervento ma che vengono lasciati produrre naturalmente in una sorta di auto-controllo naturale dato solo dall’età della vigna) e le vinifica. E’ un vino anti-intellettuale, per dirla con le sue parole, un dialogo diretto con la storia del suo territorio e con quelle viti che, grazie all’età e solo a quella, sono arrivate a produrre in equilibrio. Un progetto che riporta all’idea di vino contadino dove questo sta a significare bevibilità quotidiana e digeribilità (ancora) e un rapporto con la terra. Un’idea per la quale vale la pena di spendere la parola veronelliana. E tutto questo non basterebbe ancora se, in effetti, il vino non fosse così buono. Il concetto olfattivo è spremuta d’uva: sensazioni dolci, buccia di pera, fiori d’acacia, quello che volete, tutto disteso ma non ruffiano, ruvido il giusto, e con naturalezza porto al naso. La bocca è tonda, un cerchio perfetto d’equilibrio acido-tannico-dolce. Consistenza non spaventosa ma, davvero, qui non importa. Qui si torna ai primordi del bere, quando il bere era nutrimento e il nutrimento era piacere puro, sano e quotidiano. Si, quotidiano. Allora datemi 100, 1000 Litrozzi e lasciatemi godere di quello che la terra in sinergia con l’uomo può dare. Rispetto”.

martedì 7 gennaio 2014

Malvasia puntinata 2011 Piana dei Castelli

di Gastrofanatico


Leggi Malvasia Puntinata e ti chiedi “cos’è costei?”.
Allora fai qualche ricerca e scopri che è un vitigno laziale, coltivato anticamente e poi dimenticato per molto tempo. Che si chiama così per la puntinatura che ricoprono ogni singolo dorato acino.

E che qualche bottiglia si comincia a trovare grazie a quei piccoli produttori dei Colli romani che hanno deciso di riprenderne la coltivazione. Uno di questi e Matteo Ceracchi vigliaiolo indipendente con la sua piccola azienda Piana dei Castelli.


Il colore è pazzesco e trasforma in un carico d’oro il bicchiere, frutto forse di una raccolta tardiva. In bocca la prima sensazione richiama il territorio dove crescono le vigne, suolo vulcanico quindi mineralità a go-go e no Poi arrivano sentori di mela e pera, con una finale leggerissimo di mandole e nocciole.

Eppure non mi ha convinto. Pecca in delicatezza e armonia, un po’ nervoso. Insomma un vino in progress, che nella versione 2011 merita una sufficienza piena, che sicuramente darà il meglio di sé nelle prossime vendemmie.

lunedì 3 giugno 2013

Le Coste di Gradoli. Ovvero Domaine Antonuzi. Di Niccolò.




Nel panorama italiano dei vini naturali, c’è un vignaiolo che più di tutti mi ricorda i suoi omologhi francesi. Non a caso la sua formazione è avvenuta Oltralpe, dove peraltro ha trovato moglie.
Gian Marco Antonuzi e la moglie Clémentine Bouveron iniziano la loro avventura di produttori indipendenti a Gradoli, sulle rive del lago vulcanico di Bolsena, nel 2004 dopo esperienze presso Philippe Pacalet in Borgogna e Didier Barral in Linguadoca-Rossiglione.
All’inizio sono tre ettari di vigne abbandonate. L’attitudine è di totale rispetto delle varietà esistenti in zona. Così succede che nei vini si possano trovare in prevalenza greghetto e aleatico, ma anche ciliegiolo, canaiolo, colorino e vaiano... E per le bacche bianche procanico, moscato, malvasia, ansonica, verdello, greco, roscetto, vermentino, petino e romanesco…!
Oggi gli ettari sono cresciuti e i due “matti” riescono a vinificare circa 25000 bottiglie con una cosa come 14 diverse etichette, alcune ripetibili di anno in anno altre invece una tantum. Un panorama produttivo che non aiuta la memoria, ma invita a perdersi fra etichette, dediche, vitigni, metodi di vinificazione, piccole vigne, rese infime, vini glu glu e vini di profondità oceaniche, Litrozzi e Rossi +, Lotti …
Insomma se i suoli sono vulcanici, ma il vulcano è spento, la creatività enologica è della stessa natura, ma in piena e continua eruzione. Mutuando una frase che Joseph Conrad dedicò alla scrittura di William Henry Hudson mi vien da dire che la coppia Antonuzi “vinifica come l’erba cresce”.
In passato ho raccontato alcuni assaggi dei loro vini, che trovo solo a Roma da Bulzoni, purtroppo.
Di recente ho bevuto tre bottiglie che mi sono piaciute molto.

Le primeur 2011
Lo ricordo rassicurante nel colore, quel rosso tendente al viola della variegatura all’amarena nel gelato di panna, torbido e consistente. Quando vedo quella roba inizio a salivare.
Sinceramente ignoro i vitigni partecipi nel blend, ma l’effetto è quanto di più idealmente definirei vin de soif. E’ uno stile che ritrovo solo nei francesi. Quelli più temerari. Il vino nella sua perfettamente compiuta forma senza nulla oltre la fermentazione un brevissimo riposo e poi dritto in bottiglia.  Una tipologia questa che credo sia difficile ottenere usando solfiti in quantità normali. Qui si gioca sull’immediatezza dei sapori, ma già senza la vinosità, che secondo me si avrebbe solfitando e che necessita di affinamento per dipanarsi. Qui hai davvero una materia semplice succosa e golosissima. Non ti stupire se cambia e magari si deteriora nei colori e nei sapori in un battibaleno. Tu tracannalo senza inibizioni e vedrai che vince la tua sete sul disordine dei lieviti e dei batteri selvaggi.

Riserva Lotto 20 2009
Poco sopra dicevo profondità oceaniche… forse più propriamente dovrei dire vulcaniche. Figlio di una vigna vecchia di grechetto rosso, questo è un vino che mi ha dato una forte emozione. Una vera e propria fitta di quelle che ti lasciano per un attimo senza fiato. Elegantissimo, per certi versi sangiovesesco. Sottile e profondo. Ma anche ctonico e succoso. Polveroso. Evolve in fretta e forse un po’ si corrompe, ma c’è un momento in cui davvero ti porta via, sempre più giù, sempre più al centro della terra. Poi ti riprendi. Effimero. Un’acidità nobile e appuntita e infiltrante, diciamolo, MINERALE, che sembra un estratto dell’antica vigna. Tutto ciò che le sue chilometriche radici hanno assorbito.

Rosso di Gaetano 2011
Si ritorna sul pianeta terra con un vino da tavola, di grande piacevolezza, credo a base sangiovese, con altre uve (rinuncio a capire quanti vitigni ci siano nel Domaine Antonuzi!). Un vino semplice, bello, ma che ha dei tratti ben marcati. Acidità perfetta. Freschezza. Pulizia. Ed è un vino base. Per me un’altra espressione della beva gioiosa.
Un’altra espressione delle capacità incredibili di questi due “meteoritici” precipitati a Gradoli.