Fabrizio
è un amico per cui questa recensione è in palese conflitto di interessi, però
Fabrizio sa che sono più inflessibile con gli amici che con gli altri, perché
da loro, così come da me, mi aspetto il massimo.
Sapevamo
da tempo quanto Fabrizio fosse stregato dalla Vallèe, ci ha fatto assaggiare molti
vini con passione e trasporto, ogni bottiglia era una narrazione, una porzione
di vita, di paesaggi visti e annusati, di persone ascoltate, di mani toccate,
di fruscii del vento.
Per
Fabrizio il vino è sempre più di quello che è fisicamente.
Questa
visione umanistica mi ha sempre intrigato molto e “vino in valle” è un esempio
di “cartografia” pre cartesiana.
Vino
in valle è come una delle prime carte fatte, non come le immaginiamo noi oggi,
ossia verosimilianti, ma erano narrazioni lineari, il percorso era sempre
rappresentato come una linea diritta da X a Y senza attenzione per le scale
metriche e le cose importanti non erano le quantità, le distanze, le altezze, i
dati demografici ma erano i commenti, le annotazioni, i disegni fuori scala con
cui si mettevano in risalto certi aspetti del paesaggio, piuttosto che altri.
Erano
opere emozionali, soggettive, interpretative, narrative, descrittive del territorio
non una sua mera rappresentazione “scientifica”.
Fabrizio
in “vino in valle” racconta un percorso, il suo, nel quale il paesaggio, la
terra che racconta hanno in sé anche le persone che casualmente o per destino
fanno i vignaioli.
Ci
parla di montagne, castelli, vigne in pendenza piantate con cultivar per lo più
sconosciute Picotendro (Nebbiolo), Fumin, Cornalin, Petit Rouge, Priè, Petite
Arvine, Premetta, Mayolet.
Ci
parla delle persone che il vino lo fanno per passione e la passione in montagna
deve essere tanta per dedicarsi all’agricoltura, non esiste luogo, forse solo
il mare, in cui la fatica fisica è sempre incalcolabile e non può rientrare nei
conti economici di una azienda se poi si vuole anche venderlo il vino. Quindi a
modo loro sono persone generose che amano la loro terra e su di essa vigilano.
Per
questi motivi mi piacerebbe che tutti i produttori incontrati da Fabrizio si
fossero proclamati “naturali” perché a mio avviso sarebbe il passo ulteriore
verso una visione etica del proprio lavoro di “contadino guardiano” ma questa è
una mia fissazione.
Questo
libro rientra fra quelli che scatenano la voglia di conoscere, di espandere le
proprie esperienze insomma uno di quelli che non finiscono con l’ultima pagina
ma da lì cominciano e modificano la nostra visione del mondo, un libro
“ipertestuale”.
Da
leggere tutto d’un fiato e poi da riprendere più volte in mano e rileggere con
calma, aprendo a caso le pagine, appuntando note a margine con la curiosità che
rosica il plesso solare.
Buon
viaggio.
Kempè
Luigi
Hai trovato le parole giuste, Fabrizio è così e così è il suo libro: vero.
RispondiEliminaSai Bianca, sono venute così, spontanee, di getto.
Eliminacondivido in toto.
RispondiEliminaTi ritrovi alla fine del libro e vorresti partire a girar per cantine.
Grazie Luigi,
RispondiEliminami hai regalato un viaggio,
in posti che amo e spero di tornare a respirare presto!
Ancora mi manca. Rimedierò quanto prima!
RispondiEliminaE poi parto per la Valle! :)