Premetto che sono sempre stato (e continuo ad esserlo) un
forte sostenitore della coltivazione dei vitigni autoctoni a
dispetto degli inflazionati internazionali.
Però leggendo qua e là, ascoltando diverse campane, presto o tardi (in genere tardi, sono un po' lungo io....) mi pongo dei quesiti. E quasi sempre non riesco a darmi una risposta convincente e univoca.
La ricerca dell'idioma "autoctono" in rete mi porta sulle pagine di Wikipedia dove vien dato il seguente significato: "una specie che si è originata ed evoluta nel luogo in cui si trova".
Se dovessimo attenerci alla lettera a questo significato forse il 99% dei vitigni sarebbe alloctono. Credo siano rari quelli che si sono effettivamente originati nello stesso luogo in cui vengono coltivati. Forse (forse) quelli innestati. Molti vengono acquistati nei vivai (Rauscedo docet) e se vogliamo andare ancora più a ritroso possiamo pignolamente ribattere che la vite fu importata in Italia da Greci & C.
Quindi pensiamo ad esempio al Syrah in Toscana o allo Chardonnay in Sicilia. Ormai da molti anni sono coltivati in queste regioni. Secondo voi questi 2 vitigni non sono andati incontro, col passare del tempo, a continue quanto minime mutazioni genetiche dovute all'ambiente, al tipo di coltivazione etc... tanto da divenire un nuovo clone totalmente diverso da quello originario che in questi territori era arrivato da chissà dove?
Cioè se io nasco in Emilia-Romagna e mi trasferisco da pargolo in Sicilia forse ad una certa età mi sarò ambientato in quel territorio in modo tale da aver fatto mie usanze e tradizioni, da essere considerato siciliano a tutti gli effetti.
La parola autoctono nella mia mente diviene così una nebulosa senza precisi confini e contribuisce ad aumentare la confusione e a disgregare eventuali effimere certezze del mondo enoico.
Ciò non toglie che, a mio parere, il connubio territorio-vitigno ha un suo preciso "incastro", non può sottostare solo a barbare leggi di mercato. Non ogni matrimonio funziona.
Però leggendo qua e là, ascoltando diverse campane, presto o tardi (in genere tardi, sono un po' lungo io....) mi pongo dei quesiti. E quasi sempre non riesco a darmi una risposta convincente e univoca.
La ricerca dell'idioma "autoctono" in rete mi porta sulle pagine di Wikipedia dove vien dato il seguente significato: "una specie che si è originata ed evoluta nel luogo in cui si trova".
Se dovessimo attenerci alla lettera a questo significato forse il 99% dei vitigni sarebbe alloctono. Credo siano rari quelli che si sono effettivamente originati nello stesso luogo in cui vengono coltivati. Forse (forse) quelli innestati. Molti vengono acquistati nei vivai (Rauscedo docet) e se vogliamo andare ancora più a ritroso possiamo pignolamente ribattere che la vite fu importata in Italia da Greci & C.
Quindi pensiamo ad esempio al Syrah in Toscana o allo Chardonnay in Sicilia. Ormai da molti anni sono coltivati in queste regioni. Secondo voi questi 2 vitigni non sono andati incontro, col passare del tempo, a continue quanto minime mutazioni genetiche dovute all'ambiente, al tipo di coltivazione etc... tanto da divenire un nuovo clone totalmente diverso da quello originario che in questi territori era arrivato da chissà dove?
Cioè se io nasco in Emilia-Romagna e mi trasferisco da pargolo in Sicilia forse ad una certa età mi sarò ambientato in quel territorio in modo tale da aver fatto mie usanze e tradizioni, da essere considerato siciliano a tutti gli effetti.
La parola autoctono nella mia mente diviene così una nebulosa senza precisi confini e contribuisce ad aumentare la confusione e a disgregare eventuali effimere certezze del mondo enoico.
Ciò non toglie che, a mio parere, il connubio territorio-vitigno ha un suo preciso "incastro", non può sottostare solo a barbare leggi di mercato. Non ogni matrimonio funziona.
Cari Amici,
RispondiEliminaecco il mio minuscolo contributo ad un argomento così interessante ma allo stesso tempo volubile ed impossibile da definire.
Il sesso degli angeli, ecco, a mio avviso, l'occulta, reale, semiotica della parola in indagine.
Il mondo è tondo. Seppur possa apparire un'ovvietà, scavando (nemmeno poi così in profondità) ci si accorge di sittante impossibili definizioni impropriamente utilizzate.
La tua tesi è invece semplice, nitida ed armonica. Ha un senso facilmente percepibile ma in maniera altrettanto filologica si rifà a radici profonde.
Quindi affermerei senza timore alcuno che - ad un livello appena inferiore dell'effimera mondanità in cui quotidianamente "annaspiamo" - la parola "autoctono" non esiste.
Come non esiste "atomo", e nemmeno "individuo". E molte parole ancora.
Oppure tutto esiste, e non potrei che soccombere ad un oceano di parole a supporto di una tesi opposta a quella che ho (hai) esposto.
Evviva i "bastardi". Evviva ciò che è senza spigoli. Evviva le tossine, i germi, i virus, i migranti (siano persone, animali, piante o altro).
Più forti o più morti. Chissà?!
Certo che davanti ad un buon bicchiere di vino (possibilmente rosso) ci si spogli e si diventi più autoctoni nell'Anima.
Licenziatemi la "derapata" OT. :)
Per scusarmi:
"Morto il cuore, lo spirito esanime, ed ecco,
un sentore di vino nel vento, e son vivo."
Shams od-din Mohammad Hâfez (1320-1390),
daniele
Se continuiamo con il paragone umano, gli uomini si sono sviluppati in civiltà perchè sono emigrati, hanno cambiato pelle, ma allo stesso tempo sono legati alle loro radici. Dovunque sia l'individuo ricorda le proprie radici ed ha la capacità di innestarle in nuovi territori. Per questo non parlerei proprio di bastardi, ma di capacità di fa convivere aspetti diversi. E come se uno Syrah in Toscana mantenesse proprietà sue originarie acquisendone anche di nuove. Ma siccome non capisco quasi nulla di vini ... ;)
RispondiEliminamarco
Grazie Andrea per aver scritto questo bell'articolo che mi ha permesso di riflettere e scriverne uno tutto mio sul concetto di autoctono, or ora pubblicato nel mio blog (tutti i riferimenti al tuo e al sito sono stati assolti :-) ). A proposito di autoctono a me son venuti in mente altri aggettivi simili come: originario, nativo, indigeno...indigeno non è male riferito a un vitigno!, insomma ho cercato di chiarirmi un po' le idee...mi piacerebbe sapere che ne pensi!
RispondiEliminaCiao Maria Cristina,
Eliminasono felice che Andrea ti abbia stimolato delle riflessioni sul tema dell'autoctonia però un assaggino dei tuoi pensieri lo potevi postare anche qua su questo blog.
Anche se nella furia ti sei dimenticata di linkare il tuo di blog ;), così va la vita.
Ctonio è riferito alla terra, ctonie erano delle divinità Greche.
RispondiEliminaMi piace molto questo riferimento alla terra e all'appartenenza ad essa, forse la risposta a tante domande sta in questa appartenenza appunto, essere nella terra e dalla terra farsi plasmare.
Perchè la terra è ricorsiva e al suo interno contiene tutto (fossili marini all'interno di rocce sedimentarie), perchè la terra è discontinua e quindi altamente variabile e trascina tutto e tutti in questa mutazione.
Bello Luigi, ma proprio.
EliminaGrazie.
interessante l'articolo di andrea, ma alla fine anche il "mercato" in una dimensione più dilatata (nel tempo) può produrre un vino autoctono nel senso di evoluzione. se consideriamo l'essere autoctono in modo molto stringente, non andiamo da nessuna parte. quindi lo spunto serve secondo me non a creare una nuova categoria di vini, autoctoni vs non autoctoni, ma a capire se un vitigno riesce ad esprimersi in un dato territorio. se guardiamo troppo ad "autoctono" il rischio è proprio che il concetto possa in qualche modo scontrarsi con terroir.. pensiamo al syrah..
RispondiElimina