mercoledì 16 ottobre 2013
La Grande Colline di Hirotake Ooka. Di Niccolò
Cosa ci fa un giapponese fra le ripide colline del Saint Peray a sud del Nord della Valle del Rodano?
Titanicamente pianta barbatelle* che poi la pioggia gli spazza via, e nel frattempo mette in pratica in proprio la divina arte della vinificazione imparata in numerosi anni di apprendistato, prima nelle scuole di Bordeaux e poi a “cantina” da grandi vigneron.
Qualche vigna già ce l’ha o l'affitta o ne compra le uve, di marsanne e roussanne alla base del Saint Peray (AOC), e di altre tipiche della Valle, grenache e syrah. Ma non disdegna neppure il moscato di Amburgo, se si tratta di dissetare.
Ma io son qui a dirvi dei frutti rossi del suo lavoro, di un Saint Joseph e di una cuvée G, Grenache in purezza, e di un connubio fra i due che ormai ha conquistato le cave dell’esagono dove liberté-égalité-fraternité sono praticate attraverso la beva: Le Canon!
Il Saint-Joseph 2009, di impostazione molto classica, è sicuramente il più lavorato dei tre vini. La ricerca di un sorso profondo e balsamico, in mezzo alla speziatura del Syrah, riesce, ma rimane un po’ statico. Comunque un bel vino, che forse risente un po’ delle viti giovani e di qualche passaggio in botti leggermente più marcanti rispetto alle altre etichette.
La cuvée G 2009, ecco la Grenache. Al di là che io sia un fan del vitigno, che poi le viti siano già sui quaranta, questo è un vino per me davvero azzeccato. La leggera macerazione carbonica e probabilmente botti fortunate, portano nel bicchiere un sorso che declina la golosità del vitigno in un bellissimo connubio di acidità e sentori di cantina. Sì, muffe, per le quali ho proprio un debole. Dunque grande incisività e freschezza che spingono alla beva con quel giusto di ruvidità e a tratti qualche scossetta carbonica che dinamizza il sorso.
Le Canon Rouge 2012, il vin de soif di casa Ooka, è un connubio fra i due vitigni, vinificato con una straordinaria sensibilità e arriva nel bicchiere ancora scalciante. Un vino saporito e godurioso che persegue un’idea molto bella. L’equilibrio in movimento e la beva disimpegnata. Un gioiellino.
Tutti i vini di Ooka non vedono SO2 aggiunta e la vinificazione** è meticolosa per evitare inconvenienti. Questo lavoro si sente secondo me molto bene nel bicchiere dove la ricerca della giusta misura è percepibile. Tutti e tre i vini entrano nel corpo dando gioia e facendosi ben accogliere, questo anche grazie a gradazioni alcoliche basse, probabilmente figlie della macerazione carbonica, tuttavia utilizzata anch’essa in modo misurato.
* I terreni disboscati e piantati a vite sono nella zona AOC Cornas, appena sopra la famosa parcella Les Reynards di Thierry Allemand, di cui Ooka è stato allievo e collaboratore.
** Tutti i vini fanno cinque giorni di macerazione carbonica, cui segue un pigeage quotidiano, fatto proprio coi piedi, per dieci giorni. Il Saint Joseph poi fa due anni in barrique, mentre Le Canon fa solo vetroresina per sei mesi. La cuvée G sta in botte "quanto serve" (le parole sono di Ooka, riportate dagli amici di Jardin du Vin) e prima dell'imbottigliamento riposa anch'essa un po' di tempo in vetroresina.
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