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mercoledì 4 luglio 2012

Professionalità vs amatorialità. Commercio vs consumo


Mio malgrado un paio di settimane fa sono rimasto invischiato in una questione spinosa, degenerata in rissa sul prezzo sorgente, su cosa sia il “mondo del vino” e sul ruolo e professionalità degli enoblogger.

Ho ragionato molto a seguito di questi scontri perché sono uso ascoltare e cercare di capire i miei interlocutori.

Tutto è nato da questa definizione del mondo del vino:

““mondo del vino” è quel mondo dove pochi lavorano vendono e comprano e troppi ne chiacchierano”(cit)

In questa lapidaria affermazione rivolta a me su twitter, ho scorto molte contraddizioni tipiche della nostra epoca in cui si ragiona settorialmente, esclusivamente in termini quantitativi e di performance e di volumi di affari e di mercati e di marketing, esaltandoli e per contro si denigra ogni aspetto di elaborazione culturale e critica e si relega la parola a mero motore pubblicitario.
Una insopportabile, per me, presunta superiorità etica della ragione commerciale ed economica sulla cultura e sulla socialità.

Ho scorto pure nei discorsi scaturiti da questa polemica, una sopravvalutazione del concetto di professionalità (termine alquanto infido) visto come passpartout per erigere barriere simboliche e non, fra gli addetti ai lavori e i non addetti (che non si sa bene perché non abbiano nemmeno il diritto di parlare ed esprimere le proprie opinioni).
Questa professionalità sembrerebbe derivare dall’appartenenza degli attori al mondo del commercio del vino (sia al dettaglio sia all’ingrosso) o dall’esercizio del mestiere di sommelier, escludendo dal regno degli esperti i consumatori (incredibile questo pensiero che esclude il dialogo con il suo principale obbiettivo commerciale).
Io credo che chi vende vino sia un ottimo commerciale (se ne vende tanto) non necessariamente un esperto di vino (esperti lo si diventa studiando, assaggiando e chiunque può diventarlo, anche per passione).

Quindi il sillogismo banale fra professionalità e commercio tende ad essere una semplificazione troppo spinta.
Così come è sbagliato, per me, sottovalutare che sia i chiacchieroni del web sia i nostri lettori comprino parecchio vino e investano molte risorse economiche nella ricerca di vini e produttori, sicuramente molto di più della media dei bevitori inconsapevoli.
E questo manipolo, per esiguo che sia, è pur sempre un mercato da considerare e valutare e rispettare.



Nella definizione sopracitata di “mondo del vino”, in realtà, c’è anche un'altra contraddizione per me ancora più grave che rende poco credibili quelle affermazioni a cui fa eco anche un post:

“E’ facile parlare di “vino di qualità” incantando le folle degli ignari come pifferai magici, ma chissà se ci si è mai chiesti cosa significa qualità quando si fanno certe affermazioni.”(cit)

(A prescindere dal fatto che io, nel mio piccolo, da consumatore seriale, una idea su cosa sia per me la qualità, me la sono fatta e traspare dall’albero dei miei post e ora dal disclaimer.
A prescindere dal fatto che la qualità può essere tutt’al più un concetto intersoggettivo* e mai un dato oggettivo.)


Con l’affermazione sopracitata l’autore non si rende conto di esercitare con molta più efficacia il ruolo di “pifferaio magico” rispetto a me (ed altri blogger minori) in quanto collaboratore di Appunti di Gola, piattaforma che si fregia di avere migliaia di passaggi giornalieri ed un nutrito numero di lettori assidui.

Per cui la mia sensazione è stata che con quel post abbia esercitato una pressione così asimmetrica da rasentare la censura, il discredito, un inutile esercizio compiaciuto dello “strapotere” mediatico e della ostentata credibilità professionale.

Penso che non considerare e svilire o deridere l’opera di divulgazione (microdivulgazione asimmetrica e amatoriale per essere in linea con il pensiero dei detrattori) e di promozione commerciale (sia pure modesta ed involontaria) dei piccoli blog faccia male al mondo del vino e non porti ad altro che ad acuire le separazioni, nette e forse irriducibili, fra chi parla del vino come prodotto artigianale e contadino, dando voce a realtà piccole e intrinsecamente deboli** e le realtà più strutturate e para-industriali le quali hanno mezzi economici e potere politico e comunicativo infinitamente più grandi e pervasivi.

Poi ognuno nel proprio blog e nella propria coscienza è a casa sua per cui io continuerò a parlare di vini di nicchia e di agricoltura contadina perché non voglio che la nicchia diventi loculo e perché, sarò romantico, è ciò che mi piace fare.


*valutazioni soggettive e personali che possono diventare più o meno largamente condivise senza avere valore oggettivo.

**Deboli ma numericamente rilevanti dai dati desunti qua si parla di 21.600 aziende agricole che vendono direttamente il vino.


Poscritto
Sono conscio del fatto che questo mio post, secondo il rutilante mondo del web, giunga fuori tempo massimo però a Terroir Vino ho parlato con un piccolo produttore che, malgrado produca vini di qualità, in un luogo vocato ed eroico, con ottimi prezzi, non riesce a rientrare nelle logiche di mercato e quindi stia valutando di chiudere l’azienda.
Le sue parole e la sua amarezza mi hanno segnato profondamente e mi hanno dato la forza di terminare lo scritto, perché il mercato non è un dato oggettivo, naturale o un totem al quale inchinarsi ma una invenzione/convenzione umana perfettibile, modificabile, sostituibile perché volenti o nolenti dietro ai numeri ci sono le persone, i luoghi e la loro esistenza se questo ancora ha un valore.

29 commenti:

  1. Da microproduttore so che ogni anno a conti fatti penso di chiudere, e se non avessi un minimo di "spalle larghe" credo l'avrei gia' fatto. D'altra parte credo fermamente che il gusto e quindi il consumo si educhino, anche se certo con un lavoro di lungo respiro, e che non sia necessario possedere una vigna o lavorare materialmente la terra per avere chiare le idee sul cosiddetto mondo del vino. Credo che qualsiasi nostro intervento nel mondo a qualunque livello sia culturale, o meglio politico nella maniera piu' ampia e profonda possibile. Le chiacchiere ci sono in ogni campo, e la dicotomia tra il buono (vini bio e naturali) e il cattivo (vini commerciali) mi sembra profondamente falsa, fermo restand che c'e' spazio per tutti, purche' si abbiano chiari i propri obiettivi, vini in qualche modo di nicchia e vini commerciali, entrambi buoni e sani a prezzi possibili. E avere chiari gli obiettivi significa appunto che dietro ci sono persone e non strategie di marketing e artifici di bilancio

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  2. Il punto, secondo me, più importante che viene illuminato dal tuo post (e che anche Giampiero Nadali aveva messo in evidenza a Terroir Vino) è la Sconsiderazione (permettetemi la licenza poetica) che c'è verso il cliente finale. A sentir parlare certe persone sembra quasi che la filiera del vino si fermi all'enotecario o al ristoratore e che quelle bottiglie, una volta acquistate da questi soggetti, magicamente svaniscano in un limbo e si dissolvano naturalmente per far spazio a quelle che successivamente verranno acquistate.
    Altro errore fondamentale che traspare da molti post sul "mondo del vino" (esiste davvero un "mondo del vino"? uno solo? è un po' come dire "le donne", "i gatti", "i Tedeschi" etc etc) è quello di identificare un solo mercato, un unicum in grado di assorbire tutta la produzione di vino mondiale. Così non è, il mercato è fatto di nicchie, più o meno ampie, e la stessa suddivisione del mercato in fasce orizzontali (bassa, media, alta, top) sono vetuste. Basta prendere qualsiasi libro che spieghi il marketing per rendersene conto.
    Ogni prodotto ha il suo mercato, quindi non essendoci un "mercato" non c'è nemmeno UN "mondo del vino". i sono invece molti mercati e molti mondi del vino dove ognuno può trovare la sua collocazione e ognuno può dire la sua. Nel mondo del commercio (perché di commercio sempre si tratta sia che i vini siano di piccoli produttori o di "industriali") tutti hanno voce in capitolo ma il consumatore ha più voce (e NON il professionista).
    Continuare a sminuire il mercato degli appassionati che vanno a comprare solo certe tipologie di vino e "meglio se acquistate direttamente dalle mani del produttore" (cit.). Si continua a sminuirlo anche citando "Frescobaldi e Antinori, Santa Margherita e le Cantine Riunite di Reggio Emilia" lasciando fuori aziende come CAVIRO che è il primo (PRIMO) produttore ed esportatore Italiano di vino e che produce il vino in assoluto più bevuto (visto che ha "la capacità di produrre vini con un certo unanime grado di piacevolezza, controllando la filiera produttiva senza mistificazioni, seguendo pratiche di vinificazione che garantiscano che siano il più possibile tecnicamente stabili, microbiologicamente puri e corrispondenti alle attese gustative ed economiche del mercato" sempre cit.).
    Poi ci sono un paio di cose fastidiose che continuo a leggere: una è "qualità" senza specificare di che qualità si tratta; buona? cattiva? pessima? ottima? media? La parola "qualità" NON qualifica!
    La seconda è "educare" in particolare nell'accezione "dobbiamo educare"; dobbiamo semplicemente comunicare e portare il nostro esempio. La pretesa di educare qualcuno suppone che ci si ponga "al di sopra" e mai "alla pari".

    Concludendo faccio sempre più fatica a capire queste diatribe tra carta e web, critici e bloggers, naturali e industriali, professionisti e amatori.
    Domandatevi a che servono prima di scrivere il prossimo post: al "mondo del vino" forse?

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    1. Pienamente d'accordo, mi lasci senza parole, per il momento.

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    2. Ben scritto Rob! Complimenti!
      Dopo aver letto questo (giustificatissimo) sfogo del buon Fracchia, mi sento molto più felice di essere un semplice "Mario" del vino.
      Apparentemente noi, quelli che vivono in quel limbo di cui tu e Nadali parlate, abbiamo dopotutto una vita molto più semplice. Forse è per quello che siamo ignorati?
      Il fegato ce lo roviniamo in un altro modo: bevendo, non litigandoci.
      Ginni Lovato

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    3. Benvenuto Gianni,
      sono contento che un sig. "Mario" (nello specifico un "Gianni") si esprima, perchè il fatto che i consumatori non incidano sui commerciali e sui produttori con le loro impressioni è il male endemico del mondo del vino italiano.
      I toni ultimamente si sono alzati al punto da screditare le opinioni del consumatore indicato come soggetto incompetente e chiacchierone e al di fuori del mondo del vino e questo lo ritengo intollerabile. Perchè come dico nel post, senza i tuoi soldi, miei, quelli di Roberto e di tutti i lettori non esisterebbe un mercato.

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  3. Quando il Wine Blogger parla di atmosfera, è ora di prenderlo sul serio. Aprite la finestra e fategli prendere il volo. (Vilfredo Pareto)

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    1. L'importante è che dalla finestra prenda il volo e non faccia la fine di Pinelli.... (tanto per stare in tema di anarchici)

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  4. Caro Luigi,

    in questi mesi mi pare si sia tornati più volte sul tema professonisti vs/ non professionisti, grandi aziende / piccole aziende, commercio / consumo. Sono tutte tematiche interessanti e degne di riflessione che alle volte però mi sembrano più uno strumento per catalizzare l'attenzione che una reale esigenza di confronto. La frase di Andrea Gori su twitter che hai riportato non la condivido per i toni e perché sono convinto che tutti ma proprio tutti possano dire la loro con la conseguenza di poter essere contraddetti, smentiti o confortati nelle loro tesi ed opinioni.

    Al post di Chiara ho lasciato un commento oggi, così come a quello di Maurizio Gily, che per non tediarvi non riporto qui ma che so potrete agilmente ripescare.

    Mi colpisce che a lanciare questa crociata a favore dei non pro, sia proprio tu che in un commento di qualche giorno fa hai scritto (copio e incollo):

    "Sono ventiquattro anni che dedico molte delle mie risorse economiche al vino e al cibo, quindi di diritto e con forza ribadisco che io “lavoro” nel (forse “pro”) settore e ritengo doverosa e salutare per il “mondo del vino” ascoltare i miei dubbi e le mie perplessità".

    Mi sento di condividere quanto hai scritto per cui, a maggior ragione, mi chiedo, dove sta il problema, chi ti impedisce di esprimere i tuoi dubbi e le tue perplessità, basta un tweet di gori a farti percepire come minacciata la tua libertà di esprimerti? Ti esorto a battertene il belino, come diciamo qui a Genova, a curarti un po' meno di quello che dicono gli altri e a seguire con tenacia il tuo percorso, sempre aperto ad ascoltare chi ti si (contrap)pone con modi gentili e costruttivi.


    Ciao, Fil.

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    1. Ciao Filippo,
      non è solo una questione personale, dà fastidio essere esposti al pubblico ludibrio, però fatti due conti me ne frego.
      Quello che mi sembra di percepire è un clima oppressivo , unito alla difesa di rendite di posizione e l'innalzamento di barriere fra esperti e non esperti e un grande disinteresse per il consumatore e le sue opinioni, per cui ho deciso, dopo un un po' di ragionamenti, di dire la mia.
      Tranquillo! comunque sia me ne batto la Ciolla.
      Luigi

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    2. enrico togni viticoltore di montagna4 luglio 2012 alle ore 17:43

      Filippo, quanto dici è sacro santo, purtroppo però si è arrivati ad un punto che se un vino è buono, non lo è in quanto tale ma se qualcuno di importante ne ha parlato bene.
      Credo che Luigi si riferisca anche a questo, lui è uno che si sbatte alla ricerca di cose nuove, persone nuove, mentre i "santoni", i cd. "professionisti", se ne stanno per lo più in panciolle ad assaggiare i grandi nomi, le grandi denominazioni, non hanno più cutiosità e soprattutto non hanno l'umpltà di accostarsi al lavoro degli altri con refernza e rispetto.
      Ovviamente la mia è una generalizzazione sui generis, c'è molta gente preparata che il suo lavoro lo fa bene!

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    3. Enrico,

      ma a cosa ti riferisci in particolare? Ad un critico enogastronomico della vecchia guardia? Alle guide? No perchè io ho una visuale del tutto diversa qui di fronte a me, mi pare che le guide abbiano perso molto dell'appeal di qualche lustro fa, mi pare che i critici enogastronomici - privati dell'esclusiva nella valutazione o quanto meno nell'espressione di opinioni - abbiano dovuto confrontarsi con la rete, mi pare che moltissime nuove persone (più e meno competenti) abbiano oggi la possibilità di raccontare a gran voce le proprie esperienze e di condividere i propri assaggi con mille modi che fino a una decina di anni fa (ma anche 5) erano impensabili.

      Ora in questo quadro io fatico molto a vedere una sorta di muro, di ostacolo all'emersione per i vini buoni per colpa della critica, dei soloni, francamente mi sembra una esagerazione ed una cosa che non riflette proprio lo stato attuale - di crisi - in cui la critica tradizionale versa. I soloni sono derisi da tutti, sia nuovi che vecchi, come fa un ragazzo giovane e in gamba come te a preoccuparsi dei soloni, ma pensa al vino e gira, fallo assaggiare più che puoi. Fregatene dei soloni!

      Se vogliamo parlare di persone più e meno influenti invece sono pienamente d'accordo ma queste sempre ci sono state e sempre ci saranno al netto della bontà o meno dei vini. Non so, io vedo tutto molto più in positivo di quanto lo vediate voi, mi sembra che ci sia un bel fermento, un sacco di nuove proposte, di nuovi volti, una bella freschezza, tanti stimoli. Certo, anche tante inutili diatribe ma dove sta questo fantomatico ostacolo all'emersione.

      Chi lavora bene e si sbatte a farsi conoscere (almeno un minimo), alla lunga emerge e raccoglie le soddisfazioni che merita.


      Ciao, Fil.

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    4. enrico togni vitivoltore di montagna4 luglio 2012 alle ore 18:34

      Caro Flippo,
      purtroppo io non la vedo come te.
      Le guide, oggi demmonizzate in alcuni casi a ragione per questioni che travalicano il mondo del vino, io le vedo come un punto di riferimento.
      Sono un mezzo, realizzato da persone competenti, che hanno avuto un formazione professionale, e che bisogna saper usare.
      Se le si leggono solo per sapere chi ha preso i tre bicchieri, o la chiocciola, etc. allora le si usa male.
      il problema di internet e del web sono i "pifferai magici", quelli che sanno usare le parole, che sono spigliati, che hanno carisma e sanno attirare l'attenzione degli altri, ma che poi di agricolture (perchè quando si parla di vino si parla di agricoltura, o almeno lo si dovrebbe fare), non ne sanno niente!
      A volte rabbrividisco quando parlo con gente che si ritiene ed è ritenuta professionista nel mondo del vino, e poi non ha i concetti minimi di fisiologia della vite, parla di vitigni e terroir e poi non sa che differenza c'è tra un terreno acido ed uno basico!
      Io giro, faccio assaggiare, ma credimi che alla fine sono sempre più deluso, perchè di soldi ne escono tanti, ne entrano sempre meno, tempo ne ho poco e quel poco lo sottraggo alla famiglia.
      So di saper fare il mio lavoro, mentre vedo gente che ne sa meno di me, ma ha la faccia come il culo!

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    5. Io non demonizzo le guide, figuriamoci, sono uno strumento valido ed alcune (poche) anche in ascesa. Dico solo che il loro ruolo nel successo di un'azienda è stato incredibilmente ridimensionato negli ultimi 10 anni. Quello che non vedo è un cartello con su scritto, "alt, via, sciò" da parte della critica nei confronti di chi fa bene.

      Il merito - ed il bello - della rete, è stato quello di aprire migliaia di rivoli in cui infilarsi per poter emergere. Questo ha portato con sé anche qualche grattacapo e qualche sòla ma dimmi tu un posto dove la sòla non sia in agguato.

      Per fortuna i commenti sono ormai aperti e liberi quasi ovunque e nel caso non lo fossero la rete ti consente di scrivere che il tale ha scritto o detto una cazzata quando e dove vuoi, con una certa agilità. Ma non sono questi che dettano al mercato dove andare, dai.

      Capisco la tua frustrazione ma credo che l'unica via sia quella di divulgare per quello che puoi fare la tua parte al meglio che puoi, anche e soprattutto con i tuoi vini e per il resto, non ti curar di lor ma guarda e passa.


      Fil.

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    6. Vabbè faccio outing, è stato il discorso di Enrico a Terroir vino che mi ha spinto a pubblicare questo post, perchè la funzione di chi è "professionista" dovrebbe essere quella di valorizzare il lavoro di vignaioli appassionati come Enrico. Invece ricadere nella questione sterile su cosa sia il mercato (visto come entità suprema) allontana dai luoghi e dalla realtà e fa ricadere tutto nella centrifuga dei prodotti equipollenti e quindi deterritorializzati e se si ragiona solamente con i numeri non si può godere appieno dell'unicità dei vini, ad esempio di quelli di Enrico.

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    7. E' proprio vini come quelli che produce Enrico Togni che bisogna scovare, che bisogna valorizzare, che bisogna supportare; io così ho fatto e così continuerò a fare, alla ricerca non della perfezione (errore che commisi nel passato) ma dell'unicità.
      I commenti di Enrico sono uno spunto importante su cui riflettere.

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    8. Cosa posso dirti Luigi, ognuno di noi fa la sua parte e la fa come può, al meglio che può. Noi abbiamo ricevuto la campionatura di Enrico, abbiamo assaggiato e recensito i vini e lo abbiamo selezionato per terroirvino. E' una piccola attività in un mare di cose che si possono fare, me ne rendo conto, ma è qualcosa di concreto. Tante aziende che vogliono venire ogni anno a terroirvino restano a casa e s'incazzano pure perchè non sono selezionate. E' un modo di lavorare, potrei riempire le sale volendo.

      Ma se Enrico ha problemi commerciali o di ritorno sugli investimenti, non lo vedrei come un problema relativo ai soloni della critica ma un tantino più complesso e sfaccettato. Il bravo Giovanni Arcari che lo assiste lato comunicazione o progettualità di comunicazione, secondo me sta facendo un ottimo lavoro ma ha alcune aziende che vanno come treni - la bolla tira più che mai - e che magari si collocano più facilmente.

      Ci sono alcuni aspetti innegabili, avere un pezzo di terra in Franciacorta o alle Cinque Terre oggi non è come averlo nell'entroterra della Val di Vara o in Val Camonica, certo. Ma prendete per dire gente come Walter Massa. Ha dato la vita in un posto discretamente sfigato lato denominazione (per usare le parole di Enrico) e ha riqualificato con la sua opera ormai ventennale, le sorti del timorasso e di un intero territorio.

      E' difficile, me ne rendo conto. E' molto più facile parlare che zappare la terra (l'ho fatto) o condirsi la bruschetta piuttosto che raccogliere le olive (l'ho fatto). Capisco la fatica e il lavoro che c'è dietro e i costi ma non possiamo dare tutte le colpe ai soloni dai, non è serio.


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    9. Fil, io non addosso colpe a nessuno, faccio solo notare che la concezione di mercato derivata dalle teorie economiche è una forzatura, si piegano i luoghi e l'unicità dei prodotti a favore dell'aderenza a "teorie" e "strategie di mercato" che non si legano ne derivano per nulla dalle dinamiche territoriali ma rispondono a orizzonti deterritorializzati.
      E, sbaglierò, ma credo molto poco nella spinta propulsiva dell'agroindustria, perchè deve rendere conto agli azionisti che raramente sono nel territorio e lo rappresentano.

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    10. Fine certa! Esclamò Sally precipitando verso quel muro di detriti deformati dalla velocità di detonazione. "Orizzonti deterritorializzati" lambiti da bagliori fotonici erano tutto ciò che rimaneva dell'ultimo campo di luce impresso sulle nostre retine di silice estrusa. Appresso, un apocalittico nulla immanente. E i nostri ricordi.

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  5. Le foto che hai scelto per il post esprimono perfettamente il senso profondo del tuo post, rappresentano un modo "diverso" di guardare alla realtà che ci circonda, uno sguardo che finalmente è condiviso da più persone sulle piattaforme, uno sguardo che non si può ostacolare a costo di apparire fuoritempomassimo.

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    1. Vittorio, perdonami ma esattamente chi è che ostacola cosa?
      Perché io ancora non l'ho capito.

      Fil.

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  6. enrico togni viticoltore di montagna4 luglio 2012 alle ore 19:12

    @Filippo,
    ti ripsondo con un aneddoto:
    a cena con produttori e blogger, bottiglia delle valle d'aosta (io sono valdostano d'adozione ormai), buona ma sempre quella.
    Io faccio presente che in valle c'è altro, mi si risponde che è l'unica che si trova in commercio.
    Io mi chiedo, ma se lavori con internet e nel mondo del vino, che difficoltà hai a contattare via mail un produttore che ti interessa e chiedere dove puoi trovare il suo vino nella tua zona, o farti spedire pagando(perchè babbo natale non esiste!)una campionatura!?
    persino mio padre che ha 70 anni lo fa!
    questa è superficialità!

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    1. Il fatto Enrico è che l'unico modo per combattere questa superficialità è fare formazione, girare, stringere mani, spiegare, sbattersi in un modo incredibile. Non c'è altro modo davvero. Una cosa che può aiutare è cercare di non farlo da soli e allora provare a mettersi insieme, 2-3-5 aziendine della tua zona e provare a girare insieme, a fare sistema, a far conoscere quello che fate, magari alternandovi nei compiti e nelle incombenze, l'unione fa la forza e da anche una mano.

      Mi piacerebbe sapere che tipo di riscontro hai avuto a genova, come pubblico intendo. Erano tutti superficiali o hai trovato qualcuno che meritasse la tua attenzione? Ci vorranno anni ma oggi è già meno peggio di ieri e domani sarà meglio di oggi.

      Be positive!


      Fil.

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  7. enrico togni viticoltore di montagna6 luglio 2012 alle ore 13:08

    A genova alla fine sono venuti solo amici, vedi Luigi Fracchia, Simone Morosi, che a loro volta hanno portato alcuni amici, per il resto deserto allo stato puro, qualche collega che è venuto ad assaggiare perchè curiosos e basta.
    La manifestazione è bella e ben orgnaizzata,ma probabilmentge non fa per me.
    Mi rendo sempre più conto di essere troppo per chi non capisce di vino, e sono troppo poco per chi pensa di capirne e ti snobba!
    Cmq ripeto che la manifestazione è bella e ho avuto ccasione di conoscere ed assaggiare persone e cose interessanti.

    ciao

    Enrico

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    1. Mi dispiace che tu abbia avuto il deserto con le migliaia di persone presenti in sala ma è anche la prima volta che vieni e la manifestazione (qualsiasi) va costruita piano piano, fissando appuntamenti, intrecciando relazioni e soprattutto non demordendo immediatamente se le cose non vanno subito come sperato. Una volta in più, la comunicazione è essenziale. Per esperienza ti posso dire che coloro che hanno investito tempo nel "preparare", chi viene da 2-3 anni, chi si sbatte a girare anche agli eventi degli altri, anche quando in teoria non ha alcun tornaconto diretto, alla fine raccoglie. E' questione di dare prima di ricevere che nella vita paga sempre.

      In ogni caso, il mio più grande in bocca al lupo!


      Fil

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  8. enrico togni viticoltore di montagna7 luglio 2012 alle ore 11:13

    Ciao Filippo,

    quanto dici è ststo fatto, ripeto che evidentemente non c'è interesse, non è un problema , è necessario prenderne atto e agire di conseguenza.
    Permettimi però di confermare la mia tristezza quando sento dire che la comunicazione è importante, per me è importante quello che uno fa, come lo fa e dove lo fa, e non solo come dice di farlo!

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    1. Credo che il tuo problema sia derivante dallo scarso appeal della denominazione in cui ricadi e dal fatto che produci Barbera e Nebbiolo in un luogo mediaticamente poco conosciuto per cui la fatica che già fanno denominazioni figlie di quei vitigni nel tuo caso si amplificano.
      Pensavo, da blogger arrogante, che il tam tam sul web (il mio post sui tuoi vini è stabilmente nei primi 15 più letti e quello di Morichetti e altri) ti avesse regalato un po' di quella visibilità che meriti.
      Invece, come dice Pietro Vergano del Consorzio, il nostro è un microcosmo anche se a noi pare enorme, è dura ammetterlo ma probabilmente è la verità.

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  9. caro enrico,
    nonostante che io appartenga (per fortuna, non per merito) ad una denominazione abbastanza ricercata a livello nazionale, conosco molto bene le situazioni alle manifestazioni di cui parli sopra.
    all'inizio del mio lavoro (ho cominciato a vinificare nel 2006) erano più frequenti, adesso meno, ma capita lo stesso ogni tanto che ti senti, nonostante tutti gli sforzi a tutti livelli (produzione e promozione) non considerato.
    ne ho parlato indettaglio quì:
    http://www.kobler-margreid.com/blog/2011/12/15/web-2steter-tropfen-hoelt-den-stein/
    gli anni d'oro per i produttori di vino e soprattutto quelli piccoli sono finiti almeno per ora e chi si è fatto un nome negli anni d'oro, cioè i novanta, ancora oggi viaggia bene. per gli altri è difficile, adesso che ogni ristoratore riduce la carta dei vini e l'interesse per la cultura enoica diminuisce invece di crescere. se riesci ad entrare su una cara dei vini è perchè il ristoratore ha cancellato un altro, triste ma pur sempre realtà.
    quando ho cominciato mi hanno detto di non guardare il bilancio per cinque anni, al momento direi per dieci. se uno trova la costellazione felice di media e rivenditori (sono loro a fare i numeri di cui un'azienda ha bisogno) a cui sembri essere indispensabile, allora può andare bene anche prima. al momento c'è solo da sperare che altri abbiano le spalle meno larghe e cedino, perchè affinchè c'è troppo vino in giro le cose non miglioreranno.
    questo, caro collega enrico, non ti aiuterà, ma ti fa vedere che non sei solo in questa situazione, tieni duro anche te!

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    1. enrico togni viticoltore di montagna11 luglio 2012 alle ore 09:43

      Caro Armin,
      anzitutto grazie mille, grazie delle tue parole.
      Sono conscio di quello che dici, il bilancio ormai non so nemmeno dove stia, forse dal commercialista, boh!
      Il fatto è che la gente dovrebbe cominciare a capire che fare vino è un lavoro che richiede professionalità, e non un hobby dove investire i soldi che ti avanzano.
      soprattutto la gente dovrebbe capire che un buon vino viene fatto con buona uva e sane e oneste pratiche di cantina, ridurre il tutto al mero ed ultimo assaggio senza conoscere e visitare la realtà è minimizzare tutto il contesto.
      sono d'accordo con te sul fatto che oggi ci sia troppo vino, comiciamo col seganre le gambe e chi, pur avendo le spalle larghe, il vino lo fa in laboratorio e non in vigna e cantina.

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    2. Grazie Armin e grazie ad Enrico per il livello della discussione, sempre alto e mai polemico.
      Scusate se sarò breve, ma gli impegni lavorativi incalzano.
      Dunque: è da un po' che mi trovo, come Enrico, in disaccordo profondo sulla visione "purosensazionista" del vino, io ritengo che se non si capiscono una serie di pratiche agricole e di cantina e di legami (che devono esserci) con i luoghi di produzione e con le cultivar che da esso discendono (certo con flessibilità, d'altronde il Merlot di Enrico è il vino che più mi piace della sua produzione) alla fine parliamo di liquidi idroalcolici e non di vini di territorio e io quelli vorrei bere, figli della terra, del contandino/viticultore, del cantiniere e non i possibili surrogati di laboratorio (che nn posso escludere che un giorno si possano fare partendo da tutto fuorchè l'uva e siano pure buoni)perchè allora si tratterebbe di bevande deterritorializzate e merceologicamente equipollenti tra loro.

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