Faccio
sempre un po’ fatica a parlare di ristoranti, di menù, di entrate, di piatti di
resistenza, di dolci.
Anche
in questo caso il blocco da “ristorazione” mi irrigidisce le dita, mi svuota
come tabula rasa i pensieri e fisso, stordito dal vento secco della montagna,
lo schermo del portatile.
Ebbene
vi parlerò di memorie del passato che del presente non riesco.
Biovey
era un ristorante alla partenza della seggiovia dello Jafferau a Bardonecchia
(TO) a due passi dall’imbocco del tunnel del Frejus, un po’ fuori dal centro
abitato del paese.
Era
in legno, come una Stube, piccolo con una cucina ancor più piccola ma la sala
era molto accogliente e Paolo Romano (cuoco) e Iole Goria (in sala) erano anche
loro molto ospitali e la sensazione era quella di una locanda aperta verso la
finis terrae.
Si
cenava ovattati col soffitto ligneo che gravava sulla testa, piccole tendine
con ricami occitani alla finestre, si beveva bene (meglio che in tanti ristò
torinesi) e si finiva a parlare amabilmente con Paolo e Iole di cucina e
materie prime, è stato Paolo a segnalarci il mercato di Briancon e a parlarci
di Marie eccelsa produttrice di caprini.
Una
persona, Paolo, perennemente alla ricerca, sempre umilmente teso a migliorarsi
mai contento dei risultati ottenuti.
Però
come chi abita la Finis terrae deve sempre fare i conti con la marginalità e la
difficoltà della propria condizione di chi abita il limite.
Infatti
dopo alcuni anni arriva la decisione di trasferirsi a Bardonecchia, nel centro,
di una periferia ma pur sempre più vicino a qualcosa che assomigli a un cuore
pulsante.
Rilevano
una pensione la Myosotis, meno affascinante del vecchio Biovey ma che dà
qualche chance economica in più.
Alterne
vicende (mie) mi hanno allontanato un po’ dal nuovo Biovey sino ad oggi,
attirato dagli aperitivi gourmet che hanno organizzato (in realtà era un po’ di
anni che li facevano, inizialmente con l’appoggio del Comune in luoghi storici
del paese).
La prima cena è stata catartica e ne siamo usciti felici per il ritrovato amico e per le bontà che abbiamo mangiato.
La prima cena è stata catartica e ne siamo usciti felici per il ritrovato amico e per le bontà che abbiamo mangiato.
amouse bouche: giardiniera |
amouse bouche: sushi di cervo e uovo di quaglia |
salmerino e code di scampi |
Con
la generosa curiosità di cui Paolo è portatore sano abbiamo anche collaborato a
due aperitivi, io mescevo i vini e lui deliziava con ostriche, lumache, pizze e
finger food, la gente mangiava, i bambini giocavano nel giardino.
Scene
da un film di Scola.
lasagnetta di polenta e baccalà |
cannelloni di ricotta e ortiche |
In
pace con il mondo rutilante che sembrava lontano anche se una coda del
Leviatano cementoso e asfaltico raggiunge questi lariceti e buca le montagne
per raggiungere più in fretta, sempre più in fretta Frejus e la Francia.
Abbiamo
mangiato praticamente tutti i suoi piatti, alcuni molto buoni, altri un po’
meno (ma cosa sarebbe la luce senza il buio), abbiamo ben bevuto anche se la
carta andrebbe rimpolpata con vini che interpretino meglio l’essenza di Biovey:
disincato, umiltà, ricerca, silenzio, una leggera rassegnazione (che solo chi
abita i confini può provare) e venti gelidi.
Durante un aperitivo a base di pizza ho poi conosciuto Franco Ugetti, il quale ha collaborato con Paolo in queste occasioni, pasticcere storico di Bardonecchia estroverso, istrionico, ricercatore instancabile e con lui abbiamo parlato di pasta madre, di impasti, di farine di burri e di come abbiano sperimentato, liberi da preconcetti e pressioni, una via montana/piemontese alla pizza.
Durante un aperitivo a base di pizza ho poi conosciuto Franco Ugetti, il quale ha collaborato con Paolo in queste occasioni, pasticcere storico di Bardonecchia estroverso, istrionico, ricercatore instancabile e con lui abbiamo parlato di pasta madre, di impasti, di farine di burri e di come abbiano sperimentato, liberi da preconcetti e pressioni, una via montana/piemontese alla pizza.
Il
risultato è stato esaltante, piccole foglie morbide e burrose ricoperte di
Bagna Cauda e peperoni, carne salada e toma d’alpeggio hanno allietato le
nostre fauci fameliche mentre il Bramafam andava in ombra e ci ricordava i
tempi eroici della montagna militarizzata e delle prime scalate degli Inglesi
in terra Savoia.
L’ospitalità
in terre aspre è sempre un dovere morale.
Luigi
Bel racconto montanaro: asciutto, aspro ed essenziale.. alla Rigoni Stern quando descrive i boschi, la frugalità del cibo di montagna. ..E fa davvero venire l'acqulina in bocca e la voglia di fare una gita verso Bardonecchia ..
RispondiEliminaNon registro nessun "bocco da ristorazione" ma un magnifico e curatissimo reportage, talmente vivido da suscitarmi la voglia di partire.
RispondiEliminaSubisco il fascino della stube, ma credo che anche il centro di Bardonecchia regali scorci suggestivi...
Già segnata la visita ad Ugetti!