Il paesaggio che si incrocia
giungendo da Ispica verso Pachino è struggente, rilievi di argille bianco/grigie
e rare macchie quasi nere, olivi e seminativi, palme che spiccano con forza
nella relativa orizzontalità del territorio e filari impettiti di cipressi.
E poi vigneti ad alberello
“impupato”.
Il vento salmastro ci
ricorda che il mare è lì vicino e Marzamemi (in arabo “marsà al hammam“ ossia
“porto delle tortore”) era un paese/tonnara senza confine fra terra e acqua.
Ogni volta che vengo e
questa luce mi abbaglia e questo sole mi prosciuga e questo vento mi percuote
mi chiedo attonito come possa la vite resistere in questi luoghi aridi e
inospitali, eppure Nero d’Avola e Grecanico sono così ben ambientate che
arrivano tardivamente a maturazione intorno a fine settembre, primi d’ottobre.
Il Dott. Angelo Paternò è
una di quelle persone del vino di grande preparazione e grande umiltà e grande
voglia di raccontarsi e raccontare il proprio territorio.
E lo fa usando strumenti eno/grammaticali
un po’ desueti, anche se in gran spolvero, una cantina con vasche in solo
cemento!
Una nuova cantina, bella,
colorata, moderna con botti interamente in cemento armato.
Per estrarre anche la più
flebile inflessione del territorio senza che venga distorto dagli strumenti di
cantina.
La distorsione arriva anche,
a suo avviso, dai lieviti secchi (e qui parte una lunga narrazione di test
compiuti con microvinificazioni quando era in Corvo) per cui non li usa neanche
per i bianchi.
Angelo Paternò |
E’ un vino bianco del caldo,
arido di Pachino.
Il colore è giallo intenso,
figlio di una leggera macerazione a
freddo sulle bucce e del fatto che qui non si chiarifica e si sgrossa solo un
po’ prima della bottiglia.
Il sapore è intenso e
mollemente adagiato su piccole deviazioni ossidative, caramellate e di erbe
aromatiche.
Rinfrescato da pizzicori
quasi tannico-linfatici e sentori di finocchietto.
La versione superiore ha
terziari così eterei e spunti verticali che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia.
Kempè
Luigi
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