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mercoledì 12 settembre 2012

Trebbiano 2002, Valentini. Di N. Desenzani


Mi ha colpito quello che risponde Josko Gravner in un’intervista alla domanda su quali vini gli piaccia bere a parte i suoi: confessa di non bere più i suoi vini vecchi filtrati e afferma che per lui il vino “oltre ad essere buono, deve contenere batteri, enzimi e lieviti”.
Ricordo che in un’altra intervista egli ammetteva di apprezzare i vini di Valentini.
Io credo proprio perché contengono batteri, enzimi e lieviti.
In una parola, perché sono vini vivi.

Per me questa vitalità è un chiodo fisso e aborro la filtratura come il Diavolo l’Acqua Santa. La mia avversione per questa pratica è tale che mi sono scaricato l’app “Torcia” dell’Iphone col preciso intento di poter guardare dentro alle bottiglie e farmi un’idea sulla consistenza della materia ivi racchiusa.
Ok potete farmi un TSO, a questo punto.


Fino a ora la mia esperienza con questo produttore leggendario  si limitava a due bottiglie di Cerasuolo 2003, un bicchiere di Trebbiano 2005, un sorso di 2008 e uno anche di Montepulciano d’Abruzzo.
Grazie a un amico che negli ultimi anni ha avuto occasione di comprarne un po’ di tutte le annate, ho potuto bere questo nettare e trovare conferma della peculiarità di questi splendidi vini vivi.
Il tappo è di ottima fattura, ma ho avuto l’impressione che fosse molto morbido e quasi friabile all’interno, come se volesse fondersi con la materia animata che teneva imprigionata.  
E il primo sbuffo al naso è nettamente solfidrico, in barba al modernismo tanto osannato. Ma basteranno pochi minuti perché questa puzzetta si dilegui completamente e lasci spazio al vino.
Goloso.
Perché io trovo che i vini di Valentini che ho assaggiato avessero proprio la golosità e la beva iperuranica come carattere primario.
Poi una miriade di suggerimenti sia al naso che in bocca: caramello e mou, erbe aromatiche (salvia e rosmarino), frutta esotica, miele, Vov… e sul palato un equilibrio sospeso fra le spezie e il burro, fra il metallo e la piuma d’oca, e imperante, fisso e incancellabile il gusto dell’uva matura e succosa.
Come ho avuto modo di dire a proposito di un Barbacarlo, il vino è così cangiante e così parlante che diventa esso stesso un commensale: così mentre si parlava ogni tanto uno di noi usciva con un commento estemporaneo su una qualità, un’emozione, una sfumatura del vino.
E un residuo carbonico si accendeva a intermittenza.
Ma non voglio star qui ad arricchire di fronzoli il racconto, perché in un certo senso tradirei lo spirito di questo vino. Che è infine franco e solo da bere.
A vasche.

37 commenti:

  1. Possiamo anche decidere di cambiare la grammatica, per esempio sostituire i condizionali con i congiuntivi, o, meglio ancora, eliminarli. Perchè di questo si tratta: quando le note solfidriche e i residui di carbonica, caramello e mou diventano pregi, vuol dire che abbiamo deciso di cambiare la grammatica del vino. Personalmente preferisco tenermi i congiuntivi. E per favore non ditemi che un vino per essere vivo deve essere sporco: conosco decine di vini pulitissimi che sono altrettanto vivi del vino qua chiosato, che - comunque - è sempre un gran bel vino. Fabio

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    1. Sono perfettamente in sintonia con te. Che questo sia un gran bel vino e che può piacere ci sta, ma quando si presentano note e sentori chiaramente riconducibili a difetti che vengono osannati come pregi mi viene da pensare che non ho mai capito nulla di vino e che i miei studi (in prima persona) e quelli di tanti altri nel campo enologico non siano serviti, non servono, e non serviranno mai a nulla! Il piacere e la godibilità del vino è altra storia...

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    2. Però noto che entrambi ci tenete a sottolineare che è o possa essere "un gran bel vino" ;-) come la mettiamo?

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    3. piacevole non vuol dire esente da difetti...

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    4. Talvolta dimentichiamo che ciò che ora è corretto e giusto (o presunto tale o strumentalmente tale) può essere abbastanza rapidamente sostituito da ciò che non lo era e lo diventa a sua volta. Un processo di continua reinvenzione e reimpasto della piramide dei gusti accettati (più culturalmente che biologicamente perchè un cibo, un vino deve prima di tutto essere buono da pensare). Oggi, forse, la costruzione tecnica del vino sconta una "pensabilità" non più molto condivisa e, direi, che sia ora che anche Università e ahimè studenti e critici e produttori ne prendano atto e non continuino a dire che gli "altri" hanno sconvolto e forzato il panorama organolettico, perchè non più tardi di una trentina d'anni fa il putsch lo compirono loro con le loro novità tecnologiche e l'ossessione igienista, la tanto invocata pulizia olfattiva con il suo corredo di profumi riconoscibili e sciorinabili come una poesia.
      Così come nelle dinamiche sociali gli antagonisti più o meno legali di un regime politico, una volta al potere divengono loro interpreti della legalità e qualcuno altro scivola nell'illegalità.
      Così va la vita.

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    5. Mi piace più fare un'analogia con la letteratura e la critica, piuttosto che con la politica. Il governo e, più in generale, una politica del Gusto esistono fondamentalmente come conseguenza di interessi commerciali. Che al momento e in questa sede non ci riguardano. Mentre in letteratura esistono i capolavori che restano tali per sempre e ovunque.
      Io credo che un Trebbiano come questo sarebbe un gran vino in qualsiasi epoca fosse bevuto. Passata, presente e futura.
      L'idea della pulizia olfattiva con il suo corredo di profumi riconoscibili e sciorinabili come una poesia in effetti non appartiene alla mia visione del vino!

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    6. Per me non è così e non lo sarà...per fortuna! Così è la vita...

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  2. La grammatica del vino dice che spesso lievi effetti di riduzione, a differenza di quelli di ossidazione, possono essere banalmente neutralizzati con il contatto con l'ossigeno. Non filtrare il vino e esser parchi con la solforosa, dice la grammatica della vinificazione, lasciano il vino in uno stato non del tutto stabile e, in questo senso, si può parlare di vitalità (termine tecnico per indicare lieviti attivi), perché è possibile che all'interno della bottiglia avvengano ancora dei fenomeni fermentativi, con eventuale formazione di anidride carbonica e, a causa dell'ambiente ridotto, appunto la formazione di molecole come l'H2S.
    La grammatica della degustazione individua una famiglia di aromi e sapori che ricordano il caramello e la mou (panna e zucchero, se vai in Francia le puoi trovare anche a base di burro salato, molto sfiziose e grammaticalmente corrette) e comunque non rientrano nei difetti, sempre secondo le grammatiche più utilizzate.
    Infine la carbonica dal mio punto di vista non rappresenta un difetto; al contrario è un elemento che impreziosisce il sorso ed è un testimone in bocca della vitalità del vino. Ma qui, usando tutti i congiuntivi che richieda una discussione civile, ritengo che se ne possa parlare ed eventualmente rimanere in armonioso disaccordo.
    Comunque i consigli di bevute vive e senza puzze sono molto ben accetti!
    Grazie del commento.

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    1. Certo, il Trebbiano di Valentini è sempre stato un gran vino; ricordo con particolare goduria l'annata 88 la 96 e la 02 appunto. Detto questo il problema è la variabilità da bottiglia a bottiglia; non si può parlare di un prodotto - e quindi anche di un vino - se non c'è un minimo di ripetibilità...altrimenti come faccio a condividere la gioia o la delusione di un assaggio con qualcuno che vive e beve lontano da me. E' solo qua il problema dei vini di Valentini e di molti produttori soi-disant "naturali" (cosa ci sia di naturale nel vino poi me lo dovete spiegare !); ho dovuto assaggiare 2 volte l'88, 4 volte il '96 e e 2 volte la 2002 per poter dire si! è uno dei più grandi bianchi Italiani. Le altre bottiglie - quelle così così - le dimentico volentieri considerata la gioia che mi hanno dato quelle giuste... Fra l'altro le bottiglie buone che ho assaggiato non avevano note sulfuree, ma solo leggere riduzioni (pietra spaccata, erbe fresche ....) che come diceva il grande Peynaud sono alla base degli aromi fini (la mou e il caramello mi pare siano più roba da ossidazione: chi è enologo mi corregga per favore. Normalmente questo genere di note non mi eccita, anzi mi appalla assai, però vanno poi viste nell'insieme del profilo aromatico del vino...insomma è una faccenda un pò più complicata). Non ci tengo particolarmente che un vino abbia "il suo corredo di profumi riconoscibili e sciorinabili come una poesia" così come non mi pare interessante descrivere un vino solo per analogie olfattive (sà di questo, di questo e pure di quest'altro) perchè un vino non è una sommatoria di spunti olfattivi. Riguardo agli interessi commerciali, beh....uno produce per vendere o per caso Valentini e Gravner se li bevon da soli i loro vini ? Inoltre vorrei anche aggiungere che negli anni '60, quando l'enologia era veramente invadente (acidificazioni e disacidificazioni dei mosti, filtrazioni brutali, lieviti selezionati come se piovesse) i grandi vini erano grandi uguali e urlavano territorialità (provate a sentire qualche vecchio Barolo, o Borgogna o Haut Medoc) ...Scusate per il troppo scrivere , devo essere andato anche fuori tema. E comunque complimenti per il blog...quando posso vi leggo assiduamente.

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    2. Grazie per l'intervento condivisibile in toto.
      Per ciò che dici sui vini degli anni sessanta, sino ai settanta ricordo un brano dell'intervento di Giacosa di quest'anno a Pollenzo (credo) in cui ha detto che sino a quegli anni gli arrivava dai conferitori della materia prima eccezionale con bucce spesse inattaccabili dalle muffe e dei mosti con parametri da campioni dopo, per effetto dei nuovi trattamenti in vigneto, la qualità è scemata di molto portandolo anche a modificare le vinificazioni.
      Credo che questo possa essere una risposta seppur parziale alla tua affermazione, è probabile che in quegli anni una materia prima di così alta qualità sia riuscita a farsi manipolare senza perdere troppo o nulla delle sue caratteristiche.

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    3. Il tuo commento è più che benvenuto, per nulla fuori tema e direi che appiana parecchio la controversia di stamattina!
      Avevo sentito anch'io di questa teoria di Peynaud, con la quale sono in completo accordo e che io stesso ho in qualche modo scoperto parlando di rarefazione. Perché il ridotto (di cui si dice sia responsabile proprio la tanto vituperata H2S) è il classico aroma che, quando non è irreversibile, ed è appunto rarefatto, combinandosi con l'ossigeno fa emergere alcuni fra gli aromi più gourmand che ci siano nel vino. Ed è un tipico residuo/sottoprodotto dell'attività fermentativa e in questo senso io lo vedo anch'esso come testimone di vitalità.
      Comunque alla fine Valentini e Gravner vendono bene pur costando un mezz'occhio della testa e con tutti questi problemi!
      La ripetibilità delle bottiglie, mi sto convincendo sempre più che rientri in una scelta produttiva e stilistica. Rendere omogeneo il vino nei recipienti della cantina credo che richiederebbe una procedura abbastanza invasiva. Soprattutto considerando che la stessa massa messa in recipienti all'apparenza identici nelle stesse condizioni, dà origine talvolta a grandi differenze fra i vini. E persino all'interno dello stesso recipiente possono esserci grandi differenze. Per arrivare all'eccesso pensa che una volta ho bevuto un Barbacarlo '89 con @tirebouchon da una bottiglia tenuta a lungo in verticale e il primo bicchiere era limpido e etereo il secondo torbido e quasi più terroso: due o più vini nella stessa bottiglia!
      Ecco che sto imparando ad accettare la variabilità. Anche a Citrico Rinaldi viene imputata la stessa cosa, e di nuovo parliamo di vini straordinari!
      Sui vini vecchi ogni tanto ne scriviamo anche qui.(http://gliamicidelbar.blogspot.it/2012/08/occhio-ai-vini-vecchi-di-n-desenzani.html)

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    4. Mi sembrava di aver letto che Valentini su consiglio di Masciarelli avesse adottato come prassi la riunificazione della massa prima dell'imbottigliamento.

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  3. #iobevosenzafiltro #iobevoindigeno
    Il vino che diventa commensale mi piace assai.

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    1. Anche a me, ieri sera prima di aprire il Vermentinu corso del 99 che era il nostro quarto commensale, ho innaffiato il plumbaco con un bianco tutto acido e zucchero e profumi di thè alla pesca.
      Così va la vita

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    2. Vabbè, forse a questo punto conviene estirparlo il povero plumbaco anzichè torturarlo continuamente.... ;)

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  4. adesso, senza alcuna vena polemica, "la piuma d'oca" come descrittivo non ci sembra un po' azzardato?! e questo me lo permetto perché seguo saltuariamente questo bel blog.... :)

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  5. ;-) diciamo che io sono favorevole alla sinestesia, quando possa aiutare a rendere l'idea. In questo caso volevo che si capisse che il vino riusciva a tenere insieme aspetti precisi, taglienti con aspetti piu lisci e sontuosi e mi sono immaginato sia la sensazione tattile dell'accarezzare un piumino, sia l'immagine di una lama appoggiata su un cuscino di piuma. Non ho partecipato, ma dev'esser stata una serata interessante http://enocratia.wordpress.com/tag/tattile/
    Ovviamente grazie per leggerci, ancorché saltuariamente ;-)

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    1. grazie per la cordiale e simpatica replica, seppur risibile, ma sorridente... :)

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  6. Ho avuto esperienze contrstanti con Valentini, la prima fu terribile, un Trebbiano '97 decisamente imbevibile, contestai la bottiglia e l'oste che è anche un amico si arrampicò sugli specchi per dimostrare che quelli che io consideravo difetti erano invece caratteristiche normali nei vini di valentini. Passarono alcuni anni in cui mi tenni ben alla larga poi assaggiai casualmente un bicchiere di Cerasuolo 2000 da Trimani e rimasi letteralmente folgorato. Approfittai quindi di una splendida verticale di Trebbiano organizzata da un ristoratore di zona (Il Lido di Deiva Marina che ha una monumentale carta a prezzi onestissimi) e da allora sono diventato un Valentiniano convinto. Non sono un amante delle "puzze" ma se queste svaniscono dopo pochi minuti lasciando nel bicchiere un vino così straordinario ben vengano.

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  7. Mi sorprendo sempre di come per voi il bere sia un fatto prevalentemente intellettuale a dispetto della ricerca di vini naif :-)

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  8. Premettendo che non ho mai bevuto Valentini, leggere questi post mi entusiasma e mi crea grandi aspettative, ma anche un pò di soggezione verso i suoi vini. In cantina ho 3 Trebbiani (2000,2004,2009) e un paio Montepulciano (1995 e 2006) ma non mi attento ad aprirli perchè temo al momento di non essere in grado ora di capirne veramente la grandezza. Inoltre prima vorrei provare altri "similari" (tipo Emidio Pepe) per poi valutare (in crescendo penso) le differenze dello stesso vitigno nella stessa regione. Anche se la tentazione di stapparli è fortissima.

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    1. Hai un vero tesoro nella tua cantina! La retorica del esser "in grado" di cogliere il bello e il buono non mi ha mai convinto. Piuttosto aprine una (vecchia) quando sarai ispirato, tranquillo e avrai tempo e attenzione da dedicarle. Poi ce la racconti. E come dice qualcuno ricordiamoci che è "solo" vino ;-)

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    2. Spesso i miei dubbi e incertezze enoiche soverchiano di gran lunga le conoscenze acquisite, e tanto basta per mettermi in una situazione di insicurezza e (un pò) soggezione. Ma forse hai ragione, è "solo" vino e merita un approccio più "rilassato". Quindi in questa mia condizione borderline credo che la tua risposta sia stata sufficientemente convincente per rimuovere le resistenze alla stappatura :). E seguirò il tuo consiglio partendo da una vecchia.

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  9. Dice N.Desenzani: " aborro la filtratura come il Diavolo l’Acqua Santa ". In effetti la parola filtro mi fa venire in mente la parola censura, il fraintendere, l'interpretare a propri fini. Ma mi ricorda anche la selezione, il separare grano da loglio.

    Facciamo un esempio: immaginiamo di avere una vigna di Friulano nei Colli Orientali, estati sempre calde, acidità sotto i piedi. Ma l'acidità in un vino è come il ritmo nella musica; provate a pensare a una sinfonia di Mozart o di Beethoven senza ritmo , o a un brano di Otis Redding senza ritmo: non si riesce. Allora che faccio: inibisco la malolattica così da tenermi quella tacca in più di acidità che da' tensione e dinamica al vino, ma soprattutto che veicola territorio. Ma se inibisco la malolattica devo microfiltrare all'imbottigiamento per togliere eventuali batteri che se attaccassero il malico in bottiglia farebbero disastri. Microfiltrare significa usare filtri da < 0,5 micron (filtri con buchi di mezzo millesimo di millimetro, non so se mi spiego). Certo, questo è un intervento tecnologico molto invadente, ma è nulla confronto all'effetto che avrei lasciando svolgere "naturalmente" la fermentazione malolattica. Anche N. Joly inibisce la fml, quando non è certo di avere sufficiente acidità per fare parlare il suo territorio. Cito alcuni vini fatti con questo metodo giusto per farmi capire: tutti i bianchi di Miani, tutti i bianchi di Ronco del Gnemiz, quasi tutti i bianchi di Cantina Terlano, Pallagrello Bianco di Selvanova, Fiano di Ciro Picariello, i Fiano di Sabino Loffredo (Pietra Cupa). Non vorrete mica versare nel plumbaco questi vini. E giusto per chiarire il Pallagrello Bianco di Selvanova è sempre un pò torbido anche se è microfiltrato (quindi la torcia dell'aifon non ci dice granché)

    E a Luigi dico di aspettare un attimo a dare del conformista a un adoratore del metodo scientifico o a un amante dei vini puliti, perché oggi il conformismo nel vino mi pare stia dall'altra parte. Riguardo al metodo scientifico mi pare sia l'unica cosa che ci abbia portato conoscenza, anzi se oggi ci possiamo permettere il lusso di fare gli olistici è proprio perché abbiamo avuto Galileo e l'illuminismo.

    Brindo alla vostra salute e a tutti quelli che amano il vino, la musica, la letteratura e la matematica.

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    1. Premesso che aborrire è uno dei verbi che esprime il massimo livello di soggettività, è indubbio che alcuni tipi di vinificazione non siano possibili senza filtrare (nei riesling è spesso/sempre necessario per evitare, al minimo, rifermentazioni). Leggere la tua lista mi ha lasciato abbastanza freddo fino a quando non sono arrivato a Picariello. Lì ho vacillato, perché ho amato molto il 2008 e sono convinto che fosse non filtrato. Credo che resterò almeno nel dubbio fino a quando non sentirò da Ciro Picariello stesso la verità!
      L'argomento acidità non mi convince del tutto, primo perché per me non è necessariamente la caratteristica che apprezzo di più nei bianchi, secondo perché se uno beve chardonnay, chenin blanc, aligoté, sauvignon francesi non filtrati, nel 99,9% dei casi si confronta con livelli di acidità mediamente sferzanti. E se mi ritrovo con un Friulano con acidità sotto i piedi, o ho fatto male i calcoli o è proprio il terroir che sta parlando (che comprende anche il clima).
      Infine, è vero che la torcia Iphone non è poi il massimo per i miei scopi, ma per i rossi che tipicamente hanno vetri molto scuri è spesso l'unico modo per farsi un'idea. E secondo me l'autopsia (in senso letterale, erodotiano, cioè verificare con i propri occhi) è comunque lo strumento più diretto e intellettualmente onesto che possiamo usare, conoscendone i limiti, ovviamente.
      Comunque mi unisco al brindisi finale, e aggiungo quelli che sanno discutere in modo garbato (e tale giudico il tuo commento).
      Grazie.

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    2. Fabio, non intendevo nel mio post discettare di filosofia della scienza ma solamente affrontare con ironia la delusione di bevute molto deludenti.
      Ti ringrazio per gli interventi molto stimolanti.

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  10. Grazie a te Niccolò. Non è frequente sul web, anzi direi raro, poter parlare di vino in termini così franchi e nello stesso tempo garbati. Mi piace soprattutto il fatto che qui si parla a ragion veduta e con una conoscenza della materia anche sul piano tecnico - proprio di produzione - che è abbastanza raro trovare fra gli appassionati (io sono un appassionato ma sono anche un operatore del settore). Per quanto riguarda Ciro Picariello non ne sono certo anch'io (fra l'altro non lo conosco personalmente); in quel momento avevo in mente Raffaele Troisi (Vadiaperti) che sicuramente inibisce la FML per lo meno sul Fiano (il Greco ha talmente tanta acidità che si può anche fargli svolgere il malico). Detto questo il Fiano 2010 di Ciro ( probabilmente il miglior Bianco del Sud che ho assaggiato ) mi sembra ancora con il malico, e in generale mi dicono che in Irpinia negli ultimi anni la tendenza è non fare la FML proprio per conservare dinamica e freschezza. Dopo di chè mi devi spiegare come fai a rimanere freddo di fronte a un Friulano di Miani....l'ultima volta che l'ho assaggiato (Buri 2009) sono caduto per terra..o a una vecchia annata di Chardonnay o di Sauvignon del Gnemiz. Poi se si parla di filtrazione sui Rossi, mi unisco a te; se il vino rimane sufficientemente a lungo nelle botti non c'è veramente bisogno di filtrare. A bientot.

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  11. Sono rimasto freddo solo perché non li ho mai bevuti! A questo punto dovrò cercare di rimediare. A bientot.

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  12. sono molto curioso del Cinsault La Sorga. Secondo te dove posso trovarlo ?

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  13. Io ho chiesto a un amico che va regolarmente a Parigi di comprarmi alcune bottiglie (Cave des Papilles). Un sito di e-commerce secondo me notevole è http://www.vins-etonnants.com/ dove si trovano davvero delle chicche. Ma andrebbe fatto un gruppo d'acquisto! Purtroppo non è facile trovare vini francesi qui e a prezzi ragionevoli.

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  14. Interessante leggervi. Condivido quel che dice Fabio, ma devo puntualizzare che la filtrazione sterile come conseguenza della filtrazione malolattica bloccata non è un dogma. Se i valori del vino, alcol, acidità, PH e solforosa molecolare lo permettono è assolutamente possibile non filtrare sterile. Miani e Ronco del Gnemiz ne sono due esempi e in questo devo contraddire Fabio. Aggiungo poi che, a mio parere, puzzette, rifermentazioni, torbidità e ossidazioni varie sono comunque effetti devianti da ogni senso del terroir. Una certa pulizia aromatica deve essere letta anche come espressione pura di un sito e delle peculiarità del frutto da esso derivante.Mi sento di dire che vi è un po' troppo di oscurantismo relativamente alla tecnica ed all'enologia; stiamo passando dall'eccesso di interventismo alla celebrazione dell'impreciso e rustico.

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    1. Interessante commento, peccato che sia anonimo ;-)
      Confermo sulla malo e aggiungo che esistono anche Champagne non filtrati che non l'hanno fatta e sono stabili. Farei dei distinguo fra "puzzette, rifermentazioni, torbidità e ossidazioni": nessuna di queste caratteristiche chimico-fisico-organolettico è di per sè un difetto. Certo possono diventarlo e omologare il vino quando siano troppo caratterizzanti a dispetto della palette aromatica complessiva. Non posso quindi che concordare sulla frase dopo e sulla pulizia aromatica. Anche se sappiamo quanto poi diventi soggettiva la quantificazione di questo aspetto.
      L'oscurantismo è termine forse un po' forte da usare, anche se forse qualche neoenofighetto potrebbe esserne accusabile!
      Il discorso sul ridotto interventismo, il rispetto della biodiversità e della ricchezza microbiologica dei terreni e molte delle questioni che cerchiamo di sfiorare su questo blog sono tutti ragionamenti che non si oppongono al progresso e a un approccio illuminista. Al contrario sono un modo differente di concepirlo, senza cadere invece nel vero e proprio oscurantismo di certa retorica tecnicista che, per esempio, solo pochi anni fa diceva che non era possibile fare vino senza SO2 aggiunta o che se non metti i lieviti in busta perdi il raccolto o che il fondo del vino è cancerogeno o... in generale le affermazioni pseudoscientifiche che mascherano interessi di altra natura e incutono paure e timori ingiustificati.
      Buona giornata. E a presto.

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  15. A me pare che una rifermentazione sia invece un difetto così come un'ossidazione se presente in un vino di età relativamente giovane. Se invece ossidare e "rifermentare" sono una precisa scelta del produttore allora entriamo nel merito della soggettività del gusto e riscriviamo, come detto da qualcuno, la grammatica del vino. Esagerazioni da tecnocrati a parte ritengo che la sfida stia proprio nel riuscire a portare in bottiglia il senso del posto e dell'origine senza scivolare in rusticità e "sporcizie enologiche". Il vino non accade, il vino si fa e le scelte tecniche in cantina devono poter restituire il frutto più integro possibile disponendolo alla più armoniosa delle evoluzioni. In questi ultimi anni critica e appassionati hanno spesso confuso vini naturali con vini imprecisi sia aromaticamente che al palato così come hanno confuso biodinamica con vini privi (quasi del tutto) di interventi enologici. L'assioma che si è creato è profondamente fuorviante, manca di ogni fondamento, risponde più alla ricerca del diverso e dello strano.
    Quindi ben vengano le attenzioni alla biodiversità e alla ricostruzione (perchè di questo si tratta) dell'attività di suoli ormai depauperati da chimica, macchine etc., ma questo risveglio della coscienza dovrebbe tradursi in vini sempre più puri e precisi, privi di enologia egocentrica o vintage e fatti di armonia, equilibrio, estrazioni raffinate, uso dei recipienti accurato e non trendy - prima l'acciaio perché è comodo, poi la barrique perché i francesi ci fanno i grandi vini, poi il tonneau perchè così sa meno di legno, quindi la botte grande perché è la tradizione, poi la vasca di cemento perchè mio padre le ha buttate via insieme alla cucina economica per comprarsi la cucina americana e l'acciaio ma sono molto meglio perché un po' traspirano..., infine le anfore che sono la storia del vino e anche i flinstones ci fanno il vino...il prossimo passo saranno le vasche da bagno. Tutto questo nell'arco di una ventina di vendemmie, neanche il tempo di capire come funziona un recipiente con buona pace dello spirito scientifico e in gloria all'ispirazione che ha fatto dei produttori di vino degli artisti anziché dei sapienti artigiani quali dovrebbero essere. Buona giornata anche a Lei e a Voi tutti.

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    1. Anonimo perché resti anonimo?
      Secondo me fai troppo di tutt'erba un fascio.
      Una cosa saggissima dicono gli autori nell'introduzione alla Guida dell'Espresso: giudicare caso per caso.
      Valentini lasciava la carbonica per scelta, credo.
      Ho bevuto l'altra sera una Barbera del '71 di un contadino (artigiano sapiente) che era elegante, equilibrata, armonica, raffinata e aveva ancora un bel residuo di CO2.
      Esistono vini con stile ossidativo; voluto.
      Ho bevuto vini eccezionali fatti in tutti i materiali e recipienti che citi e anche vini di m...
      La CO2 è un evenienza della vinificazione, quindi esiste da quando esiste il vino, ed è solo recentissima la bollatura del residuo come difetto inaccettabile.
      E' la grammatica del vino che prevede la CO2 e sono i critici e gli enologi degli ultimi 30-40 anni che, se mai, hanno tentato di riscriverla!
      E terrei presente questo ragionamento per molte delle evenienze della trasformazione dell'uva in vino.
      Grazie comunque ancora per il commento.

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  16. ...sarà pur come dici, tuttavia non mi è mai capitato di bere un vecchio Bordeaux con la carbonica mentre mi è più volte capitato di trovare bottiglie di Quintarelli o Valentini, tanto per fare di ogni erba un fascio, con residui di carbonica che poco avevano a che fare con una scelta (ne sono sicuro, poiché interrogati negavano l'intenzione ) frutto di zuccheri rifermentati in bottiglia con corredo di puzzette di risulta che secondo gli autori erano destinate a sparire con paziente areazione nel bicchiere.
    Quanto al fatto che esistano vini con stile ossidativo voluto ne sono più che informato salvo il fatto che li trovo senza terra, ma come detto, questo attiene alla sfera personale del gusto.
    La CO2 è un residuo di fermentazione. Quindi, a fermentazione terminata, tende a dissolversi e può facilmente essere eliminata con i travasi, a meno che anche questi non siano da stigmatizzare...
    Un saluto




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    1. Dicevo: valutiamo caso per caso. Non penso che né Quintarelli né Valentini fossero carenti di tecnica...
      Comunque lunedì prossimo parteciperò a una verticale di Trebbiano di Valentini (93, 99, 03, 07, ??), e spero davvero che non ci siano bottiglie imbevibili, come ho letto in giro talvolta capita.
      In tal caso forse tornerò talmente incaXXXto che ti darò ragione al 100% ;-)
      La barbera che cito sopra era talmente perfetta nella sua evoluzione, che il residuo carbonico nulla toglieva a un giudizio complessivo entusiasta, se lunedì beccherò bottiglie che rimangono puzzolenti anche dopo paziente attesa, sicuramente le giudicherò male.
      A presto.

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  17. Ha buon gusto, senza alcun dubbio. Scelte eccellenti!

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