uomini dietro i terroir
Tortona (AL) era una uscita dell’autostrada per
il mare, le colline intorno mi incuriosivano ma ero distratto dall’idea di
tuffarmi in acqua e rosolarmi al sole.
Crescendo mi dicevo che sembravano posti
bellissimi e che avrei voluto fermarmici, un giorno, con calma.
Molti anni dopo nel 2010 all’Alessandria Top Wine
incontrai Daniele Ricci e mi innamorai dei suoi vini tortonesi.
Ma il destino è strano e non era tempo che
approfondissi la mia conoscenza col vigneron e il suo territorio.
Sono passati altri tre anni e i vini di Ricci
erano ben custoditi nella memoria ma non facevano scattare alcuna volontà di
muovermi verso di loro.
Poi qualche relè cerebrale ha dato l’imput e con
Rosario Levatino a bordo della sua Arca di Noè a metano (siamo o no etici?)
siamo andati a Tortona e poi su sino a Costa Vescovato.
E il paesaggio è bello e struggente come si
intuisce dall’autostrada, colline dolci di marne bianche calcaree lottano con
gli appennini che spingono e si innalzano con pendenze vertiginose e cime
innevate.
Un paesaggio con tendenze “cosmiche”.
Una terra di confine, poco antropizzata, con
cenni arcaici, molto più vicina alla Lombardia, alla Liguria, all’Emilia che non
al resto del Piemonte.
Lontana, vicina, montana, collinare, protomarina.
Il silenzio che c’è, la marginalità che si
percepisce colloca queste terre un po’ fuori dal mondo enoico.
I geografi e gli antropologhi ci segnalano che le
terre di confine, ibridate e invase da genti diverse nel corso dei secoli sono
le più ricche, le più vive, le più complesse.
E’ terra di dolcetto ma questo vitigno ha perso
appeal persino in terre più mediatiche.
E’ terra di barbera ma di barbera è pieno il
Piemonte viticolo.
E il dolcetto che fanno è elegante ma lo stanno
togliendo (non si vende più).
E la barbera che fanno è elegante, saranno le
marne, ma deve lottare, sconfitta in partenza, con quelle dei vicini (lontani)
più blasonati.
Le premesse per questo territorio non erano
esaltanti sino a che un vignaiolo caleidoscopico come Walter Massa ha riscoperto
e “inventato” il Timorasso.
Dopo di che bisognava inventare i Timorasso-boys.
Perché non è uva facile e non c’era una
tradizione locale che avesse generato dei protocolli di vinificazione, non
c’era affinità, sensibilità acquisite
negli anni da cantinieri scafati, abituati a maneggiare questo vino.
Walter tuonò, tuonò finchè piovve e molti vigneron
e molti enoappassionati lo seguirono nella fuga che stava tirando, un Coppi in
salsa al Timorasso.
Bevvi i vini di Walter, sinchè il direttore di
banca me lo sconsigliò. Walter ora è un mito e lui cura con pervicacia la sua
permanenza nell’olimpo con una sorta di “ubiquità da fiera”, puntellata da una
mediaticità autopromozionale senza uguali.
Devo dire che i suoi vini mi piacquero ma
raramente sognai. Evidentemente ci va del tempo per prendere le misure alle
novità e se c’è fretta di inventare una eno-icona forse si corrono dei rischi.
Il rischio è stato quello di trattare con
tecnicismi le uve per evitare di perdersi in lunghe sperimentazioni che
potevano portare in bui cul de sac.
Premesso tutto ciò non voglio dire che i
timorasso di Daniele siano i migliori ma di sicuro si legge nei suoi vini una
ricerca intima e complessa senza scorciatoie commerciali.
E i suoi
vini sono un po’ l’opposto di ciò che si fa in zona con il timorasso: leggere
macerazioni, zero solfiti, vinificazione con lieviti di cantina, zero
filtrazioni, zero chiarifiche, temperature di fermentazione piuttosto incontrollate,
legni grandi di acacia e il suo vino non ci stordisce con l’idrocarburo
monocorde che rimane lì come fosse di cristallo, immobile e alla fine
stancante, le dolcezze sono meno glicerinose e l’alcol meno bruciante.
Scrissi qualche settimana fa che Daniele è un anarchico
del timorasso e devo dire che non ho parole migliori per descrivere il suo
distacco e il suo understatement intriso di dubbi e di eticità e di amore per
il suo territorio e per il suo lavoro. Un alchimista schivo con i piedi per
terra e la testa nel cosmo.
Passa tutta la vita la in acciaio poi finisce in bottiglia
Forse, vista l’annata calda, ha un attacco più
caldo di caramello e agrumi canditi anche se mantiene freschezza e bevibilità
rispetto agli altri assaggi.
Una delicata traccia di mineralità fumè lo
pervade.
San Leto etichetta verde 2009
Da uve vendemmiate a perfetta maturazione.
Dopo una breve macerazione sulle bucce, fermenta in
acciaio e poi migra nella botte di acacia (il legno di acacia, più neutro del
rovere lo ha selezionato Daniele dopo un viaggio in Friuli) per 12 mesi.
Giallo squillante e vivace si apre con intensità
e con continui mutamenti che portano i profumi dall’idrocarburo delicato e
minerale all’affumicato e resinoso, agli agrumi confit, una leggera amaritudine
e sapidità lo pervade e lo vivifica, si allarga in toni maturi ma pizzicati
dalla freschezza, molto ricco e cangiante, di mutevolezza nel bicchiere.
San Leto etichetta blu 2010
Dal vigneto più vecchio, da uve vendemmiate
surmature.
Dopo una breve macerazione sulle bucce, fermenta in
acciaio e poi migra nella botte di acacia per 12 mesi.
Il giallo vira verso toni più caldi e aranciati e
l’impatto si amplifica leggermente di più sui toni maturi e ricorda certi vini
alsaziani sebbene non così opulento, mineralità salata e di idrocarburi in
sottotraccia, alterna pompelmo e arancia a sentori di rosmarino, officinali.
Rimane fresco e pizzicante e nel bicchiere muta
in continuo senza perdere colpi, per molto tempo.
Il timorasso anomalo figlio di una macerazione
trimestrale a cappello sommerso in botte di acacia, seguito con attenzione
affinchè l’acetica non spari a livelli fotonici.
È giallo arancio, velato e sbuffante di pompelmo
amaro, di resina ma si sente il vitigno (a mio parere) che spinge sotto con
refoli di idrocarburi, rosmarino, citron confit, caramello salato.
Leggermente urticante, con un velo tannico che
stimola la salivazione e induce alla beva.
Come gli altri due non smette nel tempo di
complessificarsi e cambiare nel bicchiere.
La sensazione è di avere a che fare con rossi travestiti
da bianchi tanta è la materia che galleggia nel bicchiere.
Rispetto 2012
Sauvignon che affina per 4 mesi in botti di acacia.
C’è tanta materia e si sente che scalpita, nessun
eccesso vegetale, molta potenza fresco/salata l’unico problema era la
riduzione, Daniele sostiene che è stato un problema tecnico che nell’annata
2013 ha risolto, un eccesso di confidenza con un vitigno che non è il timorasso
e che ha bisogno di cure diverse.
Attendo con impazienza il 2013 ma qualche
bottiglia di 2012 per monitorare l’evoluzione la prenderei.
Castellania 2005 (barbera)
Affinata 24 mesi in barrique usate.
Ho trovato molta eleganza e anche molte
differenze dalle barbera che ho degustato sin qui, quasi una via di mezzo tra l’acidità
fruttosa di quelle astigiane e la setosa decadenza di quelle di Alba.
Terrosa e minerale e tannica, con cenni residuali
di frutta acidulata.
Toccherà fare un #barbera4.
El Matt (il matto) 2010 (bonarda)
Solo acciaio
Da bere a litri, terrosa e vivificata da un
tannino “ignorante” a sua volta addolcito da fruttosità mature, consumo
compulsivo.
Precisazione doverosa, mi è sfuggito dalla narrazione il fatto che Daniele coltiva in biologico da molto tempo, ha smesso di usare sistemici e altre molecole sconosciute che non siano rame e zolfo di miniera per scelta etica prima che salutistica.
RispondiEliminaDa qualche anno con il figlio ha cominciato a produrre e trasformare il mais ottofile e alcuni altri cereali.
Territorio meraviglioso e ancora troppo sottovalutato il tortonese. Non conoscevo i vini di Ricci, che cercherò di assaggiare appena possibile, ma se si rimane a Costa Vescovato non si può non puntare su Andrea Tirelli!
RispondiEliminaValerio
Valerio,
Eliminali vicino ci sono anche Valli Unite e il birraio bio Gedeone e non molto lontano un altro birrificio mito del panorama italiano: Montegioco.
Grazie delle info ;-) A Valli Unite sono stato. Tante belle persone e vini buoni (alcuni anche molto buoni), ma Tirelli per me è un grandissimo.
EliminaValerio
manca l'elso [croatina densa e inconfondiibile].
RispondiEliminadaniele è una gran bella persona, chiacchierare con lui è come prendersi una vacanza.
e i suoi vini sono buonissimi.
Nicola,
Eliminasolo la nostra vergogna di avergli fatto aprire già 8 bottiglie ci ha fatto fermare davanti all'Elso 2006 riserva!
Non sai quanto ce ne siamo pentiti della nostra residuale quanto inopportuna ritrosia.
a tutto c'è rimedio, luigi. sono sicuro che se passi a trovarlo allo stand a verona ci sarà anche l'elso.
EliminaSolo per la cronaca: non solo vino ma anche ottimo cibo all'Agriturismo San Leto. Assaggiato anche il pane fatto con le loro farine. Very good!!
RispondiEliminaUna delle più belle sorprese di questo inizio 2014 i timorasso di Daniele Ricci, non vedo l'ora di assaggiare i suoi rossi e di andare a trovarlo in cantina.
RispondiElimina