di Vittorio Rusinà
Luigi Fracchia
C'è una luce calda fuori dallo Scannabue, qui lo chef Paolo
Fantini ha voluto fortemente l'incontro degli Amici del Bar con Paolo e Enzo
Damosso gran torrefattori, fra i pochissimi rimasti artigianali in terra
sabauda e fornitori con un ottimo blend di arabica del suo ristorante.
C'è una luce di gioia negli occhi dei fratelli Damosso quando io e
Luigi gli diciamo che il nostro intento è dare voce all'aspetto artigianale del
caffè, a riportare l'attenzione al caffè come prodotto agricolo, a essere cassa
di risonanza per i piccoli torrefattori che in modo eroico preservano l'essenza
del caffè dall'assalto delle grandi industrie che detengono le chiavi
dell'informazione e della comunicazione.
Parlando con loro vien fuori che l'arabica è la qualità migliore
di caffè, che esistono molti terroir, cru, singole fattorie (fazende), che la
mano del torrefattore si vede nella creazione di blend di alta qualità, che
esistono pochi veri torrefattori artigianali (molti mantengono solo l'insegna
ma vendono caffè torrefatto da altri), che la dose giusta di zucchero per chi
non riesce a farne a meno è di mezza bustina, che esistono macinini da
bar che macinano solo la quantità desiderata di volta in volta, che la pulizia
delle macchine da caffè è una prerogativa essenziale.
Paolo Damosso |
Se mangiare è un atto agricolo, bere un caffè lo
è forse ancora di più.
Se la monocoltura e il latifondo sono il male, i
grandi produttori di caffè sono Satana.
Eppure il caffè, pianta spontanea del sottobosco
della foresta pluviale Etiopica, si presterebbe ad essere una coltivazione
estremamente pulita e poco invasiva come impatto ambientale.
La specie botanica è, come gli agrumi, una pianta
da ombra che ha come nicchia ecologica il sottobosco della foresta pluviale,
meglio se in altura, ed è originaria di Kafa in Etiopia.
In Etiopia si pratica ancora adesso la raccolta
dei frutti da piante che crescono spontanee nel sottobosco alla quale
affiancano le colture semiforestali e di “giardino”, la prima è fatta sui bordi
della foresta e mira ad una integrazione e implementazione del numero di piante
spontanee affiancando altre cultivar e intervenendo densificandole e migliorandone
agronomicamente le condizioni di vita, la seconda è una coltivazione in pieno
campo, in prossimità della casa del contadino, con densità di 1400/1800 piante
ettaro.
Ovviamente esistono anche le piantagioni
intensive ma come in tutte le versioni industriali dell’agricoltura è la
versione a maggior impatto ambientale e umano, i contadini diventano meri
operai senza terra e sono tenuti a livelli di remunerazione da fame.
I fratelli Damosso ci hanno ulteriormente aperto
gli occhi sugli aspetti agricoli del caffè e della sua variabilità stagionale,
motivo per cui loro sono dei fautori dei blend che permettono di compensare le
annate.
Certo è che un mercato maturo potrebbe apprezzare
le variabilità dei mono origine seguendone gli andamenti stagionali!
Il problema principe non sta solo nelle grande produzioni caffeicole, che spesso si dedicano a riverginanti green-washing "finanziando" realtà locali e inventandosi mercati quasi-solidali. E' che il caffè è una commodities, e viene quotato in borsa (N.Y.-Londra) e il prezzo lo fanno i fondi di investimento. Un caro saluto.
RispondiEliminaCerto Paolo,
Eliminain realtà anche il grano è quotato in borsa e si "scommette" sui futures legati alle produzioni agricole (soia, Mais, caffè, grano tenero, duro, riso) imponendo prezzi legati alla volatilità dei mercati azionari completamente slegati dalla realtà produttiva.
Se si ricomponessero le quantità negoziate in borsa con le quantità prodotte ci sarebbe un bilancio sicuramente superiore di quelle virtuali che generano denaro e traffici borsisitici ma qua avrei bisogno della consulenza di qualche economista...