Ogni
tanto ragiono su un concetto espresso da Maurizio Gily.
Maurizio
sosteneva in un suo intervento che i blogger parlano sempre degli stessi
produttori, per lo più introvabili nella comune distribuzione e che rappresentano
una nicchia, mentre nella realtà italiana i produttori imbottigliatori sono più
di ventimila.
In
realtà Maurizio estendeva questa sua velata critica anche alle guide le quali
recensiscono più o meno duemila trecento produttori, circa il dieci per cento
del totale.
Mi
sono sentito toccato su questo punto e dentro di me, mentendo spudoratamente,
dicevo che se non risultavano in nessun blog e in nessuna guida era perché i
vini non erano all’altezza.
Però
un dubbio mi rimaneva e rimane.
Ultimamente
ho acquistato due bottiglie, quella di cui vi parlo oggi e un Ruchè di Massimo Marengo a
Castagnole Monferrato (AT) dopo una rapida occhiata ho visto che nessuno dei
due compare in queste guide: Sloowine, Gambero Rosso, Espresso, Duemila vini;
peraltro anche Tenuta Migliavacca compare solo su Sloowine.
Ho
voluto assaggiare entrambe.
Perché
subisco sempre la fascinazione per gli eroi perdenti, per coloro che abitano il
limite dell’oblio e il mio sospetto è sempre, e spesso ne sono corroborato, che
sia il caso, il giro del vento mediatico che porta alcuni vicini alla boa del
traguardo e altri a bolinare nelle retrovie*.
Non
parlatemi di marketing, non è quello il punto.
E’
quel sottile filo che lega un passato di stenti (per tutti i contadini di
qualunque zona viticola d’Italia) alla invenzione di una tradizione che
malgrado sia inventata, spesso velleitaria e ingannevole riesce a far fissare
nella memoria del consumatore e del critico un nome e una storia (sia nel senso
prettamente storico sia nell’accezione di racconto) prima che un luogo.
E
non venitemi a dire che le tradizioni non si inventano!
Chi
volesse puntualizzare le mie asserzioni su questo tema consiglio la lettura di
Eric Hobsbawm e il suo “Invenzione della tradizione” e le decine di pagine su
questo argomento di Marco Aime.
Così
come si inventano i gusti ahimè!
Così
come si inventa cosa è giusto o sbagliato, degno e indegno!
Ma
questo è un altro discorso, o forse no?
Senza
il mito di Juliette Colbert di Maulévrier al secolo Marchesa Giulia Falletti di
Barolo e del Conte Camillo Benso di Cavour cosa sarebbe il Barolo?
Agglutiniamo
senso e narrazioni e costruiamo miti
ecco cosa facciamo tutto il giorno per superare la fatica quotidiana del
vivere.
E
a qualcuno adesso, domani chissà, la bolina diventa un lasco mentre per altri
che si trovano sulle mura sbagliate l’arrivo si allontana*.
L’Argal
lo fanno a Frossasco (TO) vicino a Pinerolo (TO), esiste persino una Doc
Pinerolese sconosciuta al 90% dei Piemontesi e al 99,9% degli Italiani.
Hanno
vigneti sui rilievi pedemontani e in alcune aree propriamente montane come i Coutandin
ma anch’io ne so poco di questa realtà e prossimamente ci farò un salto per
toccare con mano la viticoltura Occitano Valdese.
Sono
alla periferia dell’Impero coltivano varietà inflazionate o dimenticate
(Barbera e Freisa e Neretto) e le montagne alle loro spalle sono sempre state
un rifugio inaccessibile o una via di fuga dall’Italia.
L’Argal
dicevo è un blend di Barbera, Freisa e Neretto, non è per nulla un anomalia la
fusione funzionale delle prime due cultivar.
Maturazioni
carnose, alcol e acidità della Barbera si fondono con le speziature pepato
vegetali e i tannini del Freisa un mix che lascerebbe ben sperare nel lungo
affinamento.
Si
faceva un tempo anche nei vini del Monferrato Casalese (nord Monferrato) da
dove, guarda caso, proviene il Ruchè di Massimo Marengo.
Con
ciò non voglio dire che sia il miglior vino del Piemonte ma sicuramente un
posto al sole lo meriterebbe anche solo per il fatto che costa sugli otto euro
in enoteca e in tavola dura poco, a me è piaciuto parecchio.
Vi
giro gli appunti così come li avevo presi subito dopo la degustazione.
Spezie
e tannini vegetali piccanti.
Barberoso
di frutta matura e dolcezza su telaio acido.
Legni
bagnati e humus.
Terroso
e cupo.
Bonne
degustation
Luigi
*perdonate
il parallelo velistico ma rende molto bene l’idea che una rotazione anche
minima del vento avvantaggii in maniera netta e definitiva alcune imbarcazioni sancendo la sconfitta delle altre, senza che
sia veramente l’abilità dell’equipaggio a determinarne la sorte
Poscritto
Ho
una bottiglia del 2001 in cantina che voglio aprire e condividere al più presto,
l’ho comprata a Pinerolo da un enotecario che mi diceva che non riusciva a
vendere i vini del Pinerolese neanche a Pinerolo.
Così
va la vita.
Il ruchè di Marengo l'ho bevuto domenica scorsa. acquistato in GDO a poco più di € 7. (2010-13,5°). mi pare però di ricordare si chiamasse Edoardo M. attendo tua foto per riscontro etichetta (ahimè io non più documenti, solo un ricordo rotondo)
RispondiEliminaMarengo fa due Ruche uno base etichetta bianca e una selezione et nera.
EliminaIo ho assaggiato la selezione e merita.
Mi sono preso un abbaglio, Luigi. Il ruchè bevuto domenica era di Enrico Morando. Dopo i 50 la memoria fa brutti scherzi. Proverò la selezione da te proposta. Buona giornata
RispondiEliminacome disse una volta Angelo Gaja, probabilmente mutuandolo da qualcun'altro, la tradizione è un innovazione ben riuscita. Grazie Luigi per la bella digressione: ora mi toccherà leggere Hobsbawm...
RispondiElimina"Maurizio sosteneva in un suo intervento che i blogger parlano sempre degli stessi produttori, per lo più introvabili nella comune distribuzione e che rappresentano una nicchia"
RispondiElimina"Così come si inventano i gusti ahimè! Così come si inventa cosa è giusto o sbagliato, degno e indegno! Ma questo è un altro discorso, o forse no? Senza il mito di Juliette Colbert di Maulévrier al secolo Marchesa Giulia Falletti di Barolo e del Conte Camillo Benso di Cavour cosa sarebbe il Barolo? Agglutiniamo senso e narrazioni e costruiamo miti ecco cosa facciamo tutto il giorno per superare la fatica quotidiana del vivere."
Direi che in questo post ti sei superato in quanto a saggezza. Oggi tutti a bere Collecapretta, ieri Calcabrina e domani chissà, non rendendo giustizia ai produttori e trattando il vino alla stessa stregua di come un fashion addict tratta l'ultima collezione di Dolce e Gabbana.
Lo stesso vale per i gusti, ieri tutti a elogiare la barrique con i suoi toni fumè e vaniglia e oggi va di moda la puzza ;-)
Senza contare la mitizzazione di questo o quel vignaiolo come se fosse l'unico a saper fare il vino.
Mentre di vignaioli in gamba e di territori interessanti ce ne sono tanti e molti da scoprire, altri dimenticati (penso alla zona di Carema che paga per non avere produttori naturali o biodinamici).
Seguirti è sempre un piacere
Roberto,
Eliminaforse ti è sfuggito o Io non mi sono spiegato bene ma ciò che sostengo è abissalmente lontano dalla moda.
Solo faccio rimarcare che le "tradizioni" sono elementi dinamici e manipolabili anzi la loro invenzione è l'attività preferita di noi umani sempre alla ricerca di paternità.
E poi come puoi dire che Collecapretta sia solo un prodotto fashion? Il sig Mattioli è contadino e vignaiolo tanto se non più dei produttori di Carema.
Luigi, ben lungi da me scrivere che tu abbia mai detto che ci sono dei vini di moda. Ma spesso le mode le fanno le persone. Tantomeno ho detto che Mattioli è un modaiolo.
EliminaQuello che sto dicendo è che ci sono prodotti e/o produttori che ad un certo momento (dopo che nessuno se li filava per anni) sbucano fuori perché qualcuno se ne ricorda o li "scopre". Da li in poi (ovviamente se il vino rientra nel trend del momento) sei un pirla se non lo bevi o se non lo conosci o se nnon ti piace. Collecapretta è uno di quei casi, da un certo momento è apparso su internet e tutti a bere il suo vino... ma fino a un mese prima?
Stai sereno Robi non sei un pirla se non lo bevi, io l'ho bevuto perchè mi fido molto del parere di Jacopo, tutto lì, altri lo conoscevano da tempo (Vittorio e Davide e altri ancora) questa marea è montata sino a diventare visibile e rompere qualche schema, invadere qualche spazio prima a lei negato, tutto lì non ci vedo lo zampino del diavolo e non sento puzza di zolfo (a parte un po' di riduzione;)).
Eliminanon so se può consolare o meno... io Marengo lo conosco...non é il mio vicino di casa.. ma ho conosciuto e apprezzato i suoi vini... 4.5euro per una godibilissima barbera, 7euro per il suo ruchè senza compromessi...
RispondiEliminasicuramente le guide tendono a premiare i soliti noti... una piccola fetta al cospetto dei numerosi produttori che abbiamo in Italia.. qualcuno forse non é abbastanza bravo da meritarsi su una guida... ma qualcuno sicuramente meriterebbe maggior attenzione... Ma é così per tutto... pensa solo a quante centinaia di gruppi musicali ci sono in giro, che sfoderano dell'incredibile r'n'r nei più sudici scantinati di periferie o nelle più improbabili feste della salamella... e noi quanti ne conosciamo?? Giusto una trentina, quelli che ritroviamo nelle riviste o che sono distribuiti nei negozi di dischi...
Il bello del web é anche questo... il piacere di raccontare anche le realtà meno conosciute...siano essi vignaioli o gruppi musicali.
Io nel mio piccolo non mi pongo limiti... scrivo di tutti... ho avuto la fortuna di incontrare Marengo e scoprire i suoi vini... e ne ho voluto parlare nel mio piccolo blog.
http://simodivino.blogspot.it/2012/09/ruche-di-castagnole-monferrato-2010.html
http://simodivino.blogspot.it/2011/10/barbera-dasti-2009-docg-az-agr-massimo.html