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giovedì 24 luglio 2014

Che noia: ancora a parlare di solforosa?

di Niccolò Desenzani


Di vino naturale (VN) e solforosa (SO2) sembra che sia stato detto tutto. Ormai in molti hanno scelto un'inattaccabile definizione del primo, “autorizzando” in deroga l’utilizzo della seconda. Così possono spaccare il mondo nelle famigerate due categorie e la vita ti sorride, e tutto sembra chiaro e cristallino.
Io per professione di vita dubito. E le frontiere troppo ben delineate mi raggelano il sangue e mi viene voglia di berci sopra fino a quando si confondano di nuovo i confini delle categorie, fino a quando puoi di nuovo sentirti a disagio perché non ci sono appigli. Si vive forse peggio, senza certezze, ma se un giorno dovesse passare una brezza di verità spero sempre di essere fra quelli che se ne accorgono e ne traggano piacevole refrigerio.
Così sulla questione VN e SO2 non ho ancora delle categorie definitive. E questo mi è servito forse a percepire un piccolo alito di vento, un sussuro.
Sono sempre più convinto che la deroga sulla SO2 sia uno dei fattori che più fanno la differenza. Mi spiego. Bisogna secondo me ammettere che fra utilizzare la solforosa e poi eventuali altri additivi c’è in realtà un continuum. Per carità anche io penso che fare un buon vino con solo la solforosa e senza alcun altro ausilio enologico porti a risultati più interessanti*, ma fare i puri e demonizzare gli additivi e poi mettere la deroga su SO2 ha il sapore dell’ipocrisia.

Come si vede, la solforosa è inestricabilmente legata alla eventuale definizione di vino naturale. Ciò spiega fra le altre cose come l’ignoranza porti alla stortura del “naturale = NO SO2”, per l’appunto una stortura logica e de facto.


vino naturale ⇍ No SO2                                                        vino naturale ⇒ No SO2 ?


Se invece la SO2 viene definitivamente tolta dalla vinificazione, al pari di qualunque altra sostanza oltre il grappolo di uva, ecco che secondo me le cose cambiano davvero in modo “catastrofico”. Nel senso che si apre la porta all’ignoto profondo.
Uniche bussole per il vinaiolo restano la tradizione e la scienza. Al pari di un moderno timoniere che possa solo usare il vento e nulla più per raggiungere la propria destinazione, ma disponga di strumentazioni e di conoscenze estremamente sofisticate.
Attenzione, non ho detto che ci vogliano necessariamente tradizione e scienza; magari uno fa il vino buono pure a istinto o ad cazzum, ma oggettivamente l’unico tipo di conoscenza organizzata sulla quale si possa contare mi sembra di quei due tipi.
La mia esperienza dice chiaramente che senza solforosa persino il winemaker più esperto mette in bottiglia una sostanza della quale non conosce quali saranno le evoluzioni.
Eccetto che per vini il cui processo miri a una forma particolarmente stabile, come i passiti o certi vini ossidativi, o che si intervenga con processi termici o meccanici molto invasivi (pastorizzazioni, filtraggi…) il sistema biologico che si infila nella bottiglia, senza aggiunte di alcun tipo, è per sua natura dinamico, perché pieno di organismi viventi con una attività metabolica.
La mia impressione è che se la variabilità degli stati di un vino messo in bottiglia con l’aggiunta di solforosa può essere comunque relativamente elevata, il suo potenziale di stati quando venga imbottigliato (mettiamo l’anno successivo alla vendemmia) senza alcuna aggiunta in alcuna fase della vinificazione, è incredibilmente più grande, molto più imprevedibile e con una variabilità molto più rapida nel tempo.
Se la variabilità fosse l’unico esito io non ci vedrei il problema, ché i vini che cambiano da bottiglia a bottiglia, da un momento all’altro e mentre li bevi sono per me materia di piacere più che di disappunto. Inoltre avremmo l’esatta antitesi della serialità industriale.
Ma c’è un problema.
Fra gli esiti del vino NO SO2 c’è anche l’appiattimento verso un sapore unico spiacevole, conseguenza probabile di derive batteriche la cui natura a me ancora sfugge, ma peraltro ancora non ho trovato qualcuno che mi sappia spiegare perché succedano e come evitarle senza SO2.
Se dunque il mestiere del vignaiolo “naturale” in cantina è di base quello di trasformare l’uva in vino evitando che degradi verso altre forme, utilizzando solo accorgimenti che mimano processi naturali, e senza aggiungere alcuna sostanza, io credo che il passo ancora da compiere sia la comprensione delle dinamiche batteriche e dei loro equilibri.

*questo è un passaggio sudato: a favore della deroga sull'uso della solforosa sicuramente possiamo portare il fatto che sia di base solo un antisettico e antiossidante e agisca più per prevenzione che per correzione. Quindi non vi è correzione diretta del gusto, ma prevenzione rispetto a certe possibili derive problematiche. Tuttavia anche così ragionando apriamo la porta a nutrienti e a qualunque aggiunta che il vinificatore ritenga possa contribuire positivamente alla salute del mosto e del futuro vino. Fate vobis.

6 commenti:

  1. "Per carità anche io penso che fare un buon vino con solo la solforosa e senza alcun altro ausilio enologico porti a risultati più interessanti*, ma fare i puri e demonizzare gli additivi e poi mettere la deroga su SO2 ha il sapore dell’ipocrisia."
    Più che ipocrisia c'è un po' di "cinismo commerciale" che macchia la purezza. Un comprensibile gesto di salvaguardia del valore del proprio prodotto.
    Però...

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  2. Più che di "cinismo commerciale" parlerei di "ciniscmo scientifico". Produrre vini senza solforosa non è impossibile, ma sappiamo tutti che il risultato sarà un vino ad "alta variabilità" che, francamente, non mi sembra l'optimum per un produttore che vuole essere orgoglioso del suo lavoro.
    Gli enologi cercano da tempo delle alternative alla solforosa, ma queste possone essere solo di tipo tecnologico-scientifico e quindi il discorso della "purezza" va a farsi benedire. Cito per esempio il Wine Research Team di Riccardo Cotarella, che seguendo un protocollo di vinificazione molto rigido riesce a produrre vini senza solforosa nel Sannio, presso la cooperativa La Guardiense (i cui prodotti base sono reperibili anche nella GDO). Ma tutto questo mi pare inaccessibile alle migliaia di cantine medio-piccole che cercano di sopravvivere su un mercato già in crisi come quello del vino.
    Pertanto ritengo che l'abbandono della solforosa in enologia sia allo stato delle cose un azzardo che anche i produttori "naturali" più puri (tipo Maule) affronteranno un poco alla volta.
    Ricordo di un produttore francese di beaujolais che produceva lo stesso vino con tre livelli di solforosa a seconda del mercato di destinazione: nulla per la propria cantina privata, bassa per il mercato locale e regionale, un po' più alta per il mercato nazionale ed internazionale. Questo perchè consapevole delle troppe variabili alle quali è soggetto un vino che deve essere commercializzato (e qui luigi fracchia ha ragione).
    Io stesso, per gioco, ho provato a vinificare delle uve provenienti dalla stessa vigna in due maniere differenti: in un caso non ho mai utilizzato solforosa, nell'altro ne ho sempre utilizzata la metà, o anche meno, della quantità minima prevista dai manuali di enologia. I vini sono sempre stati differenti fin dai mosti ed i vini imbottigliati, benchè riconducibili ad una matrice comune, potrebbero essere scambiati per due diversi.
    Quindi lunga vita alla solforosa, se, in assenza di alternative, continuerà a garantirci la bevibilità dei vini.
    P.S. Dimenticavo di dirvi che al contadino proprietario della vigna è piaciuto di più il vino senza solforosa!
    Luis

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  3. Bel post, letto e riletto.
    Mi spiace per quella polemichetta abbastanza inutile su effebì, probabilmente si legge "quel" che si vuol leggere.
    Saluti
    Massimo D'Alma

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  4. sì, bel post..sensato, misurato e per nulla ideologico..

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  5. Mi pare un post estremamente condivisibile, giustamente distaccato e decisamente obiettivo.
    Se si vuole commercializzare il vino seriamente non è possibile affidarsi al destino o addossare comunque tutto il rischio sul consumatore, va senza dire.

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  6. é chiaro che pensare di produrre tutti i vini senza so2 è una follia, ma nulla vieta, che con uve di qualità eccelsa e con un protocollo di produzione particolare si possano ottenere degli ottimi vini anche senza il suo uso.
    L'annosa diattriba non avrebbe ragione di esistere con una legislazione più attenta alla salute del consumatore, Tenuto conto del fatto oggettivo che la so2 non sono vitamine per il corpo umano, sarebbe giusto, corretto, ed auspicabile che la norma imponga non la scritta CONTIENE SOLFITI di almeno 2 mm di altezza in etichetta, ma obbligasse a dichiarare le quantità impiegate in tutti e ripeto tutti i prodotti alimentari su cui è consentita.
    A questo punto il consumatore avrebbe la certezza di quanto ne assume, e potrebbe scieglere l'emicrania che preferisce, e in ogni caso non rischiare di supera la dose massima giornaliera , mentre oggi questo gli è impedito..
    Del resto i produttori di vino convenzionale dicono sempre di usarne pochissima, lo stesso non risulta quando si va nei laboratori di analisi.
    Mi è capitato diversi produttori che dicono di avere so2 totali in bottiglia a livelli molto prossimi a quelli che la bibliografia indica come la quantità normalmente prodotta naturalmente dai lieviti. SARA VERO????????????? Se cosi fosse, la legislazione non vieta assolutamente di dichiarare la quantità di so2 in etichetta................
    Inoltre nessuna sostanza ò tossica in quanto tale, ma lo diventa in base alla dose assunta.
    Del resto fa molto effetto sul consumatore parlare di biologico, che ha un regolamento a dir poco castrante in campo, e con dubbi sulla possibilità di arrivare alla vendemmia in aree soggette alla peronospora ( con quei pochi kg di rame metallo ad ettaro), che utilizza solo zolfo (che ormai proviene dal processo di lavorazione del petrolio), che vieta un concime fogliare come il fosfito di potassio, che induce una resitenza alla peronospera.
    Del resto le analisi dei residui di antiparassitari, non consentono di individuare le quantità totali usate in campo, per cui........... e inoltre il rame è un metallo pesante che si deposita sul terreno,
    Questo accanimento previsto per la coltivazione della vite. non si ritrova in cantina, infatti dal 2012 il regolamento UE (quindi legge da applicare in tutti gli stati membri) del vino biologico consente lo 80% della SO2 di un vino convenzionale,con possibilità in annate particolari di arrivare alla stessa dose.
    Ma la so2 non è considerato un prodotto allergenico e tossico????????????
    Concudendo si parla sempre di ridurre le quantità di so2, ma se non si rende obbligatorio indicare la quantità usata, questo non sarà una priorità del produttore.

    Antonio Fancello Vino.antoniofancello@tiscali.it


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