Non è che mi ponga in
dialettica con i vini che ritengo “industriali”, non li bevo e basta. Che faccia
bene o male non saprei e neanche mi interessa saperlo. Non li bevo sino a che,
messo alle strette, sono in qualche maniera costretto ad assaggiare il prodotto
della “tecnica agroenologica” e mentre lo faccio, in fondo in fondo, spero che mi
piaccia anche se per ora non è mai successo che sia fulminato sulla via di Damasco.
Tanto meno oggi che ho
bevuto un taglio insolia e chardonnay di 11,5° vol (mi ha attirato proprio il
basso contenuto di alcol, un punto a favore del vino visto che siamo in estate,
momento in cui la sete aumenta il volume della bevuta con conseguenze talora
nefaste), bella grafica (quella delle etichette è una mia fissa io mi faccio
molto influenzare e comunque mi piacciono molto quelle innovative).
Il vino in sé era perfetto e
iperprofumato sembrava figlio di un blend di rieslingsauvignontraminer con il
solito dolcino d’ordinanza che rende la beva infantile e ammiccante.
Costruzione perfetta di
sapori, profumi, gusti, colori.
Bevendolo come si beve una
bibita, ghiacciato come la banchisa, mi chiedevo un po’ di cose:
vini così a chi o cosa
servono?
Al territorio?
(Come può giovare al
territorio un vino costruito negli uffici marketing)
A promuovere il consumo di
vino fra i giovani ormai annichiliti dai bibitozzi?
A giustificare l’esistenza
in vita di “enne” ditte che producono additivi enologici?
A giustificare i corsi di
laurea in enologia che sono sempre più in posizione ancillare nei confronti dei
produttori agroenochimici?
A giustificare i protocolli
di cantina degli enotecnici?
Me lo dite voi a che cosa
cavolo serve un vino inutile come quello che bevuto?
E non è nemmeno costato
poco, diciotto euro in pizzeria!
Meglio, molto meglio un vino
cattivo del contadino che un vino così insulso ed inutile, meglio acqua oppure
una gassosa di qualità.
Sono stufo che vini come
questo vengano paragonati a quelli artigiani, non è possibile paragonarli
giocano in campionati diversi, sport diversi.
E comunque c’è una nuova
stella nel firmamento enotecnico, purtroppo…
Una risposta parziale alla
mia domanda l’ho trovata su Pietre Colorate n°18 nell’articolo di Andrea Segre,
Memoria e souvenir, a pg 11:
“Nessun contadino, nessuna
terra, nessun sapore. Le mele (vino tecnologico) anche a Triboj (ovunque nel
mondo) sono cattive. Peggio sono inutili. E con loro le banane, le arance, le
patate. L’unico loro valore è quello economico. L’unico sapore è quello
economico. Che sapore ha l’economia?”
Luigi
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