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martedì 22 luglio 2014

C’è una nuova stella nel mondo del vino enotecnico?


Non è che mi ponga in dialettica con i vini che ritengo “industriali”, non li bevo e basta. Che faccia bene o male non saprei e neanche mi interessa saperlo. Non li bevo sino a che, messo alle strette, sono in qualche maniera costretto ad assaggiare il prodotto della “tecnica agroenologica” e mentre lo faccio, in fondo in fondo, spero che mi piaccia anche se per ora non è mai successo che sia fulminato sulla via di Damasco.

Tanto meno oggi che ho bevuto un taglio insolia e chardonnay di 11,5° vol (mi ha attirato proprio il basso contenuto di alcol, un punto a favore del vino visto che siamo in estate, momento in cui la sete aumenta il volume della bevuta con conseguenze talora nefaste), bella grafica (quella delle etichette è una mia fissa io mi faccio molto influenzare e comunque mi piacciono molto quelle innovative).
Il vino in sé era perfetto e iperprofumato sembrava figlio di un blend di rieslingsauvignontraminer con il solito dolcino d’ordinanza che rende la beva infantile e ammiccante.
Costruzione perfetta di sapori, profumi, gusti, colori.
Bevendolo come si beve una bibita, ghiacciato come la banchisa, mi chiedevo un po’ di cose:
vini così a chi o cosa servono?

Al territorio?
(Come può giovare al territorio un vino costruito negli uffici marketing)
A promuovere il consumo di vino fra i giovani ormai annichiliti dai bibitozzi?
A giustificare l’esistenza in vita di “enne” ditte che producono additivi enologici?
A giustificare i corsi di laurea in enologia che sono sempre più in posizione ancillare nei confronti dei produttori agroenochimici?
A giustificare i protocolli di cantina degli enotecnici?

Me lo dite voi a che cosa cavolo serve un vino inutile come quello che bevuto?
E non è nemmeno costato poco, diciotto euro in pizzeria!

Meglio, molto meglio un vino cattivo del contadino che un vino così insulso ed inutile, meglio acqua oppure una gassosa di qualità.
Sono stufo che vini come questo vengano paragonati a quelli artigiani, non è possibile paragonarli giocano in campionati diversi, sport diversi.
E comunque c’è una nuova stella nel firmamento enotecnico, purtroppo…

Una risposta parziale alla mia domanda l’ho trovata su Pietre Colorate n°18 nell’articolo di Andrea Segre, Memoria e souvenir, a pg 11:

“Nessun contadino, nessuna terra, nessun sapore. Le mele (vino tecnologico) anche a Triboj (ovunque nel mondo) sono cattive. Peggio sono inutili. E con loro le banane, le arance, le patate. L’unico loro valore è quello economico. L’unico sapore è quello economico. Che sapore ha l’economia?”

Luigi

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