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martedì 23 settembre 2014

2011 Odissea nella garganega


di Niccolò Desenzani



Disclaimer: Questo post è una marketta! Perché Francesco Maule mi ha omaggiato di quattro bottiglie di Pico dell’annata 2011 di cui i tre cru Taibane, Monte di Mezzo e Faldeo, imbottigliati a inizio agosto 2012, e l’assemblato Pico tout-court, imbottigliato a febbraio 2013.
(In realtà Francesco, con grande gentilezza e senza che fosse dovuto, ha voluto riparare a un’esperienza con una bottiglia di Pico non in ordine, sostituendosi all’enotecario che non aveva voluto fare fronte)
Ma soprattutto è una marketta perché io sono un grandissimo estimatore di questo vino e i miei giudizi tenderanno naturalmente all’enfasi positiva .

Tuttavia, perché questa storia avesse un senso ancor più compiuto, ho cercato di aprire le bottiglie in una circostanza che fosse memorabile; dalla quale, in particolare,  potesse discendere un post che desse rilievo all’esperienza “orizzontale”.
L’occasione me l’ha fornita un amico, bevitore curioso, ma non afflitto dal nostro iperassaggismo maniacale, il quale stentava a credere che i suoli fossero così caratterizzanti per il vino. Insomma esprimeva un sano scetticismo contro il nostro iperterroirismo aprioristico.
Ma da terroirista in erba non potevo non cogliere il guanto della sfida; e così coinvolgevo un altro amico anch’esso esente da ismi enoici, ma di palato finissimo, grande sensibilità e capacità descrittive.
Così, una sera di fine agosto abbiamo fatto questa orizzontale 2011 del Pico, che ho battezzato “2011 Odissea nella garganega”.
Ho scelto di partire dapprima con solo due vini. Le degu di vini simili non sono così facili come uno se le immagina e il palato va ben tarato prima che emergano le differenze. Ho puntato su due cru più “distanti”, o almeno tali io li vedevo dagli assaggi precedenti: il Taibane e il Faldeo.
Ricordavo il primo più pieno, più fruttato, appena più alcolico versus il secondo più magro, più birroso, forse un po’ più spigoloso, ma di una beva formidabile.
Va tenuto in conto che, essendo questi vini vivi, essi hanno continuato a mutare nel bicchiere durante il corso della serata, risultando a tratti più simili a tratti molto ben distinti.
Il carattere quasi fermentativo del Faldeo e qualche durezza in più ne hanno decretato un giudizio di “vino più difficile”, mentre il fratello Taibane, col suo carattere più sinuoso e la maggiore completezza ha ammaliato e si è fatto amare (notevole la sapidità). Qualcuno a tratti era estasiato.
Interessante assaggiare insieme il Monte di Mezzo, con un carattere molto più understatement rispetto ai fratelli, più classico forse, un po’ meno incisivo. Ma io non escludo che su cibi delicati e in atteggiamento disimpegnato, possa trovare la chiave della sua eccellenza.
Dopo aver assaggiato questi tre vini da affinamento preimbottigliamento breve, con la loro esplosività, la loro tensione, la loro dinamicità, l’assaggio del Pico 2010 tout court risulta più strutturato, ma forse meno fragrante. Ancora una volta però un grande vino da un grande vitigno su questi suoli.
Quattro bottiglie in perfetta salute, che dipingono quattro volti della garganega a Gambellara. Che sono fra i migliori testimoni dei vini senza nulla oltre l’uva e che incredibilmente hanno resistito all’assaggio non solo il giorno dopo, ma persino a distanza di sei giorni, al mio ritorno velico dalla Croazia (ma lì ognuno ha la propria vigna? da esplorare!).




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