CAPITOLO UNICO
Cosa cerchiamo in un vino?
Immaginate un Robert Zimmerman un po'
alticcio durante un concerto che, come un novello De Andrè, storpia
involontariamente il testo di una sua canzone e lascia
uscire dal microfono un "like
a Cantillon".
Ecco, queste poche parole descriverebbero perfettamente questo vino della Savoia da uve jacquere.
Vino che farebbe drizzare i capelli e torcere le budella ai fedelissimi dell'enologia accademica.
Ecco, queste poche parole descriverebbero perfettamente questo vino della Savoia da uve jacquere.
Vino che farebbe drizzare i capelli e torcere le budella ai fedelissimi dell'enologia accademica.
In controluce la bottiglia rivela una torbidità tale che per un istante ho
temuto che dal collo ne uscisse Nessie.
Naso delicato di camomilla e miele, e una punta acetica.
L’alta acidità è corroborata da una volatile forse vicino ai limiti di guardia, che si palesa maggiormente in bocca predominando quasi univocamente la sensazione gustativa e ricordando proprio quelle birre acide a cui accennavo prima, le lambic.
L'alcol è camaleontico, gioca a nascondino. E vince. Io ce l'ho messa tutta ma quei 10.5° dichiarati dall'etichetta proprio non sono riuscito a trovarli.
Il bicchiere della staffa, quello in cui converge e si accumula concentrazione di estratto e la torbidità più fitta, porta con sé note di arancia amara e menta, e una maggior carnosità in bocca
Ed ecco sul finale il dilemma, quelle fatidiche domande che tutti noi enoappassionati inconsciamente ci facciamo e che ci creano sempre aspettative mentali prima dell'assaggio.
Cosa ci aspettiamo da un vino? Cosa vogliamo trovare nel calice?
Credo che un vino debba essere espressione del territorio, dell'annata, del vitigno e in questa fattispecie, seppur non conosco bene né il jacquere né il territorio della Savoia, qualche dubbio mi nasce.
Però la prova del 9 in bocca l'ha superata: dissetante come pochi, al mio palato la soddisfazione è arrivata.
Per cui, seppur non collimi esattamente con la mia idea di vino, sarei bugiardo a dire che non lo riberrei.
Naso delicato di camomilla e miele, e una punta acetica.
L’alta acidità è corroborata da una volatile forse vicino ai limiti di guardia, che si palesa maggiormente in bocca predominando quasi univocamente la sensazione gustativa e ricordando proprio quelle birre acide a cui accennavo prima, le lambic.
L'alcol è camaleontico, gioca a nascondino. E vince. Io ce l'ho messa tutta ma quei 10.5° dichiarati dall'etichetta proprio non sono riuscito a trovarli.
Il bicchiere della staffa, quello in cui converge e si accumula concentrazione di estratto e la torbidità più fitta, porta con sé note di arancia amara e menta, e una maggior carnosità in bocca
Ed ecco sul finale il dilemma, quelle fatidiche domande che tutti noi enoappassionati inconsciamente ci facciamo e che ci creano sempre aspettative mentali prima dell'assaggio.
Cosa ci aspettiamo da un vino? Cosa vogliamo trovare nel calice?
Credo che un vino debba essere espressione del territorio, dell'annata, del vitigno e in questa fattispecie, seppur non conosco bene né il jacquere né il territorio della Savoia, qualche dubbio mi nasce.
Però la prova del 9 in bocca l'ha superata: dissetante come pochi, al mio palato la soddisfazione è arrivata.
Per cui, seppur non collimi esattamente con la mia idea di vino, sarei bugiardo a dire che non lo riberrei.
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