Bisognava
festeggiare, allora tiro fuori un Barolo 67, tappo, tappo, tapp, tap, ta, t
Mi
girano assai anche perché l’avevo appena acquistato, mi girano, mi girano.
Vedo
lo scaffale dei morti viventi.
Bottiglie
di Bordeaux acquistate dieci e più anni fa quando mi credevo un architetto
(vero) ed ero andato a Bordeaux al Saint
James di Bouliac.
Dormito
e pranzato nella navicella di Jean Nouvel con di fronte il vigneto (invero un
po’ finto) e la città di Bourdeaux che baluginava di luci.
Il
massimo per me, architettura di gran classe e vino, vigneti.
Il
ventre dell’architetto (beone, dunque dotato di gran ventre).
Ma
ero molto sprovveduto e gli acquisti di vino sono stati per lo più casuali, fatti
su consiglio degli enotecari.
Poi
a breve Bordeaux e i suoi vini hanno perso appeal per noi pasdaran
(squattrinati).
Per
cui non ho mai aperto neanche una di quelle bottiglie (a parte il Sainte-Croix-du-Mont).
I
morti viventi, appunto.
Allora
mi decido, tanto girare per girare, vedo se decollo o si fermano i giramenti.
Apro
senza aspettative e invece questo vino aveva cose da dire e da raccontare, sarà
l’emozione dei ricordi del viaggio e la leggera amarezza dei sogni perduti e
delle aspettative mancate, comunque sia mi è piaciuto, anche parecchio.
Era
pepato e speziatissimo, tenue di colori, con un arancia intrigante, anche
profondo ma lieve, fresco e disintossicante per i miei umori sulfurei.
Ho
cercato un po’ sul web qualche info, poi mi sono detto che era inutile, ho
bevuto un pezzo di vita, non un vino.
Consigliato
nei momenti bui.
Kempè
Luigi
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