Fra le caratteristiche dei vini che potremmo dire grandi, sicuramente giocano un ruolo fondamentale la riconoscibilità e l’espressività. Ma talvolta ciò che definitivamente suggella il capolavoro è l’eleganza.
Ciò che trovo interessante delle prime due qualità è che per definizione esse sono in parte contrapposte.
Infatti un estremo della riconoscibilità è l’omologazione. Così chiunque riconoscerebbe la Coca Cola in mezzo a tutte le bibite. Viceversa l’espressività al limite porta a isolare un singolo caso con tutte le sue peculiarità. Ma potrebbe anche virare verso l’eccessiva stranezza, l’anomalia, il difetto macroscopico.
E’ un principio che crea dinamismo quello di stare fra due parziali opposti.
E’ un principio morfologico.
E’ un principio matematico.
Le combinazioni, le sfumature fra le due qualità sono quasi infinite.
La riconoscibilità in questo quadro è spesso ottenuta grazie a condizioni particolari delle vigne insieme a processi e ambienti di vinificazione sui generis. L’eccezionalità del luogo e lo stile del produttore.
Se pensiamo al Trebbiano di Valentini, è facile indovinarlo alla cieca, quasi soltanto infilando il naso nella bottiglia. E’ trebbiano, ma con caratteristiche peculiari, e in cantina il processo, che vede l’uso di grandi e vecchi legni e l’imbottigliamento precoce, marcano uno stile fatto di sentori golosi di torrefazione combinati a esiti fermentativi in bottiglia, puzzette che dinamicamente scoprono profumi e piccoli refoli carbonici che mantengono il liquido vivo e ben conservabile. E ogni anno è differente.
Se pensiamo a Montevertine, ecco che c’è tutta la tensione del blend chiantigiano, ma anche uno stile balsamico tra il piccante e il mentolato come a raffinare la golosità della materia sottostante.
Infine, e qui casca l’asino, il Barolo Brunate Le Coste di Giuseppe Rinaldi. Qui per me c’è sempre qualcosa che sfugge. E’ un vino che le poche volte che l’ho bevuto mi ha sempre messo addosso una fregola, una sete compulsiva, che forse solo il nebbiolo… Una materia dunque di estremo equilibrio. Golosa, ma mai eccessiva. Facile, ma piena di suggerimenti. Multicolore, ma mai sgargiante. Intensa, ma non così tanto. Jacopo Cossater quando parla di questo splendido vino, trae spunto dall'annata 2005
In fondo credo che i due concetti abbiano in comune più di quanto appaia di primo acchito. Perché l’eleganza è proprio la via di mezzo resa speciale. Rifiuto dell’eccesso e dell’appiattimento, stupisce attraverso l’articolazione fine delle componenti, senza mai scadere nel ruffiano. Stile e materia prima.
Ma l’eleganza, mi piace pensare, è anche la capacità di trasmettere il capolavoro, di renderlo comprensibile, di permettere a tutti di toccare la bellezza. L’eleganza è coinvolgente, dà sempre qualcosa a chiunque posi la propria attenzione. Regala un’emozione, senza chiedere nulla in cambio.
L’eleganza è generosa.
Nota: ho introdotto posticce correzioni (cancellato e sottolineato) e il link al post di Jacopo Cossater perché l'avevo citato a memoria in modo impreciso. Infatti la generosità si riferiva proprio all'annata 2005, non al vino in generale. Siccome quella è l'annata che conosco meglio, avendone acquistate due bottiglie l'anno scorso grazie a un premio donato da Vinix, ho sovrapposto le mie impressioni a quelle di Jacopo e ho commesso un errore nel generalizzare.
Son convinto che la Bellezza e la Cultura ci salveranno dall'omologazione e dal pensiero unico (se di pensiero si tratta). Un buon strumento educativo l'eleganza e un'ottima predisposizione d'animo l'oblatività.
RispondiEliminaGrazie Paolo, mi hai fatto scoprire una bella parola nuova!
EliminaRileggendo questo post, che come d'abitudine è scritto d'impeto, come per lasciare la freschezza di un flusso di coscienza... mi rendo conto che forse merita una precisazione il concetto dei parziali opposti. In particolare quando parlo di ricerca estrema di espressività, intendo dire che può portare a risultati che nascondono l'origine dell'artefatto, il vino. Classici esempi sono la volatile, l'ossidazione, o la macerazione prolungata nei bianchi. Sono strumenti a disposizione del vignaiolo per aumentare l'espressività del vino, ma è facile esagerare e rendere vitigno, origine e stile irriconoscibili. In questo senso dicevo che le soluzioni più interessanti sono gli equilibri che stanno fra queste due forme di esagerazione.
RispondiEliminanic, ormai commenti a nota le tue stesse parole, sei il De Sanctis di te stesso. nessuno può fermarti ormai, con o senza oblatività.
EliminaSì in effetti è un bell'azzardo, ma anche postmoderno ;-) Tks
EliminaPare proprio destino di questo post che venga sovrastato dal proprio apparato critico!
Eliminati colpevolizzi, giudichi e condanni ex se. ti stimo e, almeno io, ti assolvo con formula piena! :))
EliminaL'eleganza non è una qualità esteriore, bensì una manifestazione dell'anima che si rende visibile al mondo (cit.).
RispondiEliminaL'eleganza forse è davvero la massima espressione di un vino, quella sua intimità più remota con caratteri unici. E riuscirla a esprimere significa manifestare tutto sè stesso, un punto culmine.
E non vale solo per il vino.