E’
un po’ che non scrivo di agricoltura e ciò mi rattrista perché la definizione
che ha dato tempo fa Vittorio Rusinà di #blogagricolo mi piaceva molto.
A
rattristarmi in realtà è la durezza di pietra contro cui si scontrano le mie
(non solo mie) parole profuse sull’argomento.
Solo
polemiche e scarsa volontà di comprendere l’alterità dei pensieri, solo scontro
fra muri impermeabili.
Senza
voler fare lo psicologo da quattro soldi, leggo nella cieca difesa dello status
quo, la paura di vedere le fondamenta su cui sono basate le nostre vite
crollare miseramente e con esse tutto ciò che pensiamo di aver costruito.
Costruire
appunto! Abbiamo costruito troppo ed è questo il concetto fondamentale.
Ed
è quel larvato dubbio di essere stati troppo avidi di terra, di tecnica, di
innovazione per l’innovazione senza canalizzarla verso obiettivi e finalità ampiamente
condivise che adesso ci frena dall’ammettere che abbiamo devastato il pianeta con
comportamenti di rapina.
Quando
studente approcciavo la storia dell’architettura e dell’urbanistica era chiara
l’assurdità dei processi espansivi della città che nati alla fine
dell’ottocento continuano ancora oggi incessanti e ciechi.
In
passato le città si costruivano e ricostruivano su se stesse, spesso all’interno
di cerchie murarie rigide cercando di limitare la propria impronta sul suolo.
La
terra era un bene prezioso che non veniva dilapidato, tutt’al più si ampliavano
i terreni agricoli in base alle espansioni demografiche e alle mutate richieste
di generi alimentari.
Il
vero land grabbing di cui ormai non si parla più è proprio questo, perpetrato
giornalmente dall’edilizia con l’avvallo delle amministrazioni comunali che
monetizzano e fanno cassa con “gli oneri di urbanizzazione” e dallo Stato che
con le infrastrutture pensa di amplificare la crescita industriale.
Ma
la crescita esponenziale e infinita non è compatibile con un mondo finito.
La
cementificazione dei terreni si scontra con le necessità del comparto agricolo
di produrre cibo.
Anche
se ormai la delocalizzazione dell’agricoltura è un dato di fatto, indotta dall’impossibilità
del lavoro agricolo di generare reddito sufficiente al sostentamento dei
contadini.
La
mia speranza, che so benissimo impossibile da vedere realizzata, di studente e
di ex-architetto era ed è che il processo di espansione finisca e si cominci a
demolire il cemento, l’asfalto che hanno coperto il territorio e si operi un
riciclo del patrimonio abitativo, industriale di qualità già esistente.
#blogagricolo nasce dall'esigenza di dar spazio ai contadini che sono il motore della gastonomia italiana (cit.) ma che restano sconosciuti ai più, dal momento che i media tradizionali e anche la maggior parte dei food-blog danno rilievo agli chef e alle ricette piuttosto che dar voce a chi sostiene la gastronomia italiana, a chi produce nei campi. A chi trasforma la materia prima e sponsorizza la produzione di informazione, tranne rari casi, poco importa chi c'è dietro ai cereali che compra e trasforma, ai chicchi di caffè, ai pomodori. Io spero che sempre più blogger come te Luigi si impegnino a dar voce ai contadini, al loro vitale contributo alla gastronomia italiana.
RispondiEliminaImportante il tuo sottolineare che il land grabbing è anche qui a casa nostra, il cemento che ruba terra all'agricoltura, alla produzione di cibo.
Ormai non possiamo più dire che sia la campagna ad andare in città (intensa cone emigrazione di forza lavoro) da parecchie decine d'anni c'è un progressivo ma inarrestabile processo di colonizzazione della campagna per effetto della espansione a macchia d'olio della città.
EliminaA questi fenomeni si sommano la "vendita" di terra da parte dei comuni minori, quelli satelliti delle aree metropolitane (terra che con gli strumenti urbanistici cambia ex-lege da suolo agricolo in abitativo/terziario/industriale).
E poi le infrastrutture, ecomostri dalla dubbia utilità e dalla certa ed esplosiva invasività sul territorio.