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martedì 25 febbraio 2014

Pauillac AOC, Chateau Pichon-Longueville, Baron de Pichon Longueville 1998

di Daniele Tincati


Finalmente mi sono deciso ad aprirla.
Ce n’è voluto di tempo ad autoconvincermi, e non del tutto.
Ed anche ora, a bottiglia terminata, non sono ancora del tutto convinto.
Dopo 15 anni, di cui almeno 12 in bottiglia, non è ancora pronto, o per lo meno non lo da a vedere.
Mi spiego meglio.
Decido di aprire una bottiglia che gravita nella mia cantina da circa 5 anni.
Chateau Baron Pichon-Longueville 1998.
E pensare che ci sono pure stato, durante un memorabile viaggio in pullman organizzato dal mitico Giovanni Derba.
Visita alla cantina, degustazione, e poi cena nel castello, una figata.
Ma questa sarebbe un’altra storia.
Estraggo la bottiglia dalla cantina alla mattina, e stappo.
Tappo non particolarmente lungo, ma perfetto.
Nel tardo pomeriggio scaraffo nel decanter per la sera.
Bel deposito di fondo.
L’assaggio è del tutto regolare, un pò chiuso ma regolare.
Cena con un bel pezzo di agnello al forno con patate, la morte sua.
Ma il vino non collabora.
Non ha digerito il fatto che qualcuno abbia cercato di stanarlo dalla sua fortezza.
Arroccato fino alla fine.
Anche il giorno successivo niente, non c’è verso di smuoverlo.
Per la cronaca il vino non era poi così male.
Granato denso, con riflessi rubino.
Tanta materia, ma agile ed elegante.
Gli archetti tardano a partire, larghi, alcuni lenti, altri veloci.
Archi a sesto acuto di vetrata di una cattedrale gotica.
Naso scuro, denso ed intenso di ginepro, chiodi di garofano ed altre spezie.
Piccola concessione a cassis sotto spirito e note balsamiche di legno di cedro.
Bocca secca e morbida.
L’alcool non si sente.
Acidità di rincalzo, che allunga il sorso svanite le morbidezze.
Sapidità non invadente.
Tannino finissimo, fuso alla perfezione nella materia, setoso.
Lunghissimo in bocca, interminabile, con ritorni di legno di sandalo ed incenso.
Il punto è: quanto tempo dovevo ancora attendere ?

2 commenti:

  1. Pauillac è uno di quei posti in cui una volta nella vita bisogna andare, la Gironda scorre in un letto di sabbie, gonfia e un pochino inquietante, i vigneti bassissimi e lucenti come ragnatele affondano le radici nei ciottoli, il vento che arriva dall'Atlantico soffia incessante e salmastro e porta l'eco di onde alte come palazzi che si sono infrante pochi chilometri prima sulle dune sabbiose che dalla punta del Medoc scendono sino ad Arcachon e ancora più giu sino a Capbreton, sembra di avere i piedi nell'acqua e la testa nel sole.
    Ad Arcachon bisogna andare per vedere la trama di pali storti e scuri degli allevamenti degli ostricoltori e per passeggiare sulla spiaggia immensa e selvaggia di Cap Ferret.

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  2. Io purtroppo non mi sono spinto così avanti. Il breve tempo a disposizione è stato impiegato, con millimetrica precisione, alla scoperta dei vini e produttori della zona, grandi e piccoli, rispettando una tabella di marcia da sbarco in Normandia.
    Il generale Derba è un maestro in questo senso, conoscendo a menadito i posti e i tempi necessari per la visita.
    Ogni millisecondo è sfruttato alla fine.
    Alla sera sei cotto e stracotto e, al ritorno, ci vuole una settimana di ferie per riprendersi.
    Ma ne vale la pena.
    Concordo che bisogna andare almeno una volta.
    Prima o poi ti racconterò la visita di Cognac e l'esperienza da Camus ;)

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