cantine di affinamento Dipasquale (RG) |
In
tutta la provincia di Ragusa e nei comuni di Noto, Palazzolo Acreide, Rosolini
nella provincia di Siracusa si produce un formaggio antico che risulta presente
nei documenti daziari già dal millecinquecento.
Al
di là della sua ancestralità, quello che mi ha colpito da sempre è la forma,
anomala per un prodotto manuale.
Il
Ragusano Dop (un tempo chiamato Caciocavallo perché affinato a cavallo di una
trave di legno) ha la forma di parallelepipedo a base quadrata di quindici
centimetri per lato e una lunghezza di quaranta, un peso dai dieci ai
quattordici chili (circa).
Il
colore, la forma lo avvicinano ai cordoli, ai conci murari, ai gradini di
calcare giallo crema che costituiscono l’orditura tettonica delle città del
ragusano.
Una
incredibile e sorprendente continuità, contiguità fra la pietra madre calcarea
che spesso affiora sia nei terreni agricoli sia nelle cave (profonde valli
scavate da torrenti stagionali) dell’altopiano Ibleo e a sud fino alle scogliere e alle spiagge color
crema del litorale.
Raramente
ho percepito in un prodotto alimentare un legame così forte fra luoghi, natura,
agricoltura, geologia, pastorizia, città, cultura, architettura, gastronomia,
cucina popolare.
Quando
si parla, e spesso a sproposito, di terroir, bisognerebbe prima studiare questo
formaggio e il complesso coacervo di cultura, antropologia, geografia, agro
pastorizia che lo ha originato.
Ieraticamente
innaturale con quegli spigoli eppure incredibilmente mimetico, sembra un concio
di quei milioni che costituiscono i chilometri di muri a secco che squadrettano
l’altopiano Ibleo.
Un
cruciverba impresso sul suolo che, come spesso accade nei manufatti di un
tempo, univa valenze sia pratiche sia simboliche, era confine proprietario, elemento
divisorio fra coltura e coltura, fungeva da frangivento, conteneva gli animali,
accoglieva e liberava il terreno dalle pietre che emergevano ad ogni aratura.
I
prati dei Sig.i Spata sono divisi con i tradizionali muretti a secco e gli
animali, 35/40 vacche Pezzate Rosse e Brune, ruotano da l’uno a l’altro in base
a criteri di mantenimento in produzione delle praterie (che in ambienti aridi
sono ecosistemi incredibilmente fragili e indispensabili non come nel caso
dell’allevamento stabulare in cui il legame e le attenzioni per il territorio sono totalmente assenti).
Il
Ragusano è un formaggio a pasta filata stagionata, la filatura è una pratica
tipica del sud Italia e i formaggi che ne derivano hanno una pasta nettamente
più elastica, compatta, uniforme.
In
passato si esagerava con la salatura che era l’unico antisettico conosciuto,
ora che la permanenza in salamoia è nettamente inferiore le caratteristiche
organolettiche sono diventate più delicate e l’innegabile piccantezza tipica
del caglio di capretto è mitigata dalla dolcezza e grassezza della cagliata che
fa trasparire l’aromaticità del pascolo anche dopo 9, 12 mesi di affinamento.
Spesso
si fanno delle piccole forme di uno o due chili che vengono commercializzate
dopo 24 o 36 ore di salatura.
Queste
caciotte stillano siero al taglio e scrocchiano sotto i denti facendo esplodere
sentori lattei lievemente acidulati (tipici della lavorazione). Questo è il
formaggio che si consuma sopratutto in estate al punto che alcuni produttori
interrompono la produzione di Ragusano (che nel periodo estivo si chiama
Cosacavaddu e non è Dop) per dedicarsi alle caciotte.
Quest’anno
sono andato a seguire le fasi di produzione del Cosacavaddu (il fratello estivo
del Ragusano Dop)* dalla famiglia Spata a Ragusa e al di fuori di ogni retorica
mi sono emozionato ad assistere ad un rituale (la filatura) che si intuisce
antico, nobile come una danza, eseguito con mezzi poveri, pre industriali
eppure così moderni.
I
tini per la cagliata (da disciplinare) e la mastredda sono in legno di
castagno, la manuvredda in legno d’arancio, la spazzola per pulire è fatta con
la “bisa” una erbacea spontanea con cui si intrecciavano le corde per la
stagionatura del formaggio.
L’acqua
necessaria per le lavorazioni è riscaldata in una stufa alimentata con legno di
carrubo.
Contemporaneamente
alla filatura si caseifica il latte dell’ultima mungitura e si producono le
“tume” che avranno bisogno di acidificarsi per una dozzina di ore prima di
essere filate.
Gesti
lenti e misurati:
quando
la pasta filata diventa una semisfera lucida di avorio si procede alla chiusura
con gesti ancora più lenti e accurati per evitare che in fase di affinamento le
parti interne che non sono state lisciate e compattate entrino in contatto con
l’aria e si formino fermentazioni incontrollate e sacche di gas.
Lo
spurgo durerà alcuni giorni e le forme saranno girate più volte al giorno.
Immersione
in salamoia satura per un tempo che è funzione del peso della forma.
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Si
finisce con tolettatura e la lucidatura con olio extravergine.
L’incredibile
perizia del Sig. Spata e l’umiltà delle sue parole e dei suoi gesti scevri da
ogni retorica e piaggeria mi hanno toccato molto e quando a mezza voce, quasi
scusandosi della sua condizione di pastore casaro, mi ha detto che è diventato
economicamente quasi insostenibile il suo lavoro, un rigurgito acido mi ha
bloccato il respiro.
Il
formaggio viene acquistato tutto da un affinatore di Ragusa però a prezzi
praticamente di costo.
I
bovini maschi che un tempo erano venduti direttamente alle macellerie della
zona ora sono invendibili se non ci si accontenta dei prezzi iniqui praticati
dai macelli.
Tornando
a casa, salendo e scendendo fra le cave calcaree dell’altopiano, ho alzato la
musica al massimo per non pensare che l’esperienza che avevo appena vissuto
poteva essere l’ultima e sentivo l’aridità del territorio che penetrava nella
mia anima.
Luigi, un fotoracconto bello, bello, bello. Bello (in senso estetico e non solo).
RispondiEliminaD'accordo con Fabio, non solo bello ma anche competente. Belle foto a parte l'esemplare dell'ordine dei Ditteri che compare in una di esse...
RispondiEliminaIn colpevole ritardo su segnalazione di Tirebouchon aggiungo questo dato tecnico sulla lavorazione del Ragusano: latte di una sola mungitura intero e crudo, caglio di capretto, leggera acidificazione della cagliata nel siero.
RispondiEliminaSopratutto Tirebouchon ci teneva che si rimarcasse l'uso del latte crudo e non pastorizzato, lavorazione questa che preserva i profumi e le qualità nutraceutiche del formaggio, compresa la tanto temuta carica microbiologia, rigorosamente indigena.
Bon apetit
Luigi
Caglio Carino autoprodotto o acquistato? Inoltre (se non ricordo male ciò che mi disse un casaro) dopo circa 60 giorni la carica batterica si azzera
EliminaPost importante, portare l'attenzione sul mondo dei formaggi e delle loro tecniche di lavorazione è vitale. Spesso ho riscontrato anche ad alto livello nel mondo della gastronomia una "quasi" ignoranza su questo mondo, in molti ristoranti si è ancora al "vaccino o caprino?" che mi ricorda tanto il "bianco o rosso" in campo enoico di non tanto tempo fa. In campo di discussione spesso sento dire "i nostri formaggi sono migliori di quelli francesi" peccato solo si conoscano così poco :)
RispondiEliminaBel racconto, bei pensieri. Grazie
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