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mercoledì 3 ottobre 2012

Pithos bianco 2008, COS di Giusto Occhipinti. Di N. Desenzani e Pithos bianco 2010, COS di Giusto Occhipinti. Di Luigi Fracchia



L'aspetto è da manuale dell'Orange Wine.
Al naso è cera d’api, pesche, fiori accennati; forse un po’ di gomma è l’unico segnale di macerazione evidente, insieme proprio al fatto di non essere un vino dai profumi fruttati freschi e penetranti, ma come solo accenni essicati. Un ricordo di legno lucidato. Forse un po’ di agrumi e qualche arbusto semisecco di macchia mediterranea.
Nessun rischio di scadere nelle note di tè alla pesca. In fondo una zuccherosità arcana, molto evocativa. Accattivante la delicatezza dell’alcool, appena percepibile.
In bocca devo dire che è bello tondo. Solo qualche microaccenno di tannino, acidità molto moderata, tamponata da una sapidità veramente equilibrata. Anche l’acidità volatile molto bassa e soltanto un piccolo spunto alcolico in deglutizione che mantiene la sensazione di freschezza.
Vino dissetante e senza dubbio da desiderare in accompagnamento a molti cibi.
Escluderei il pesce e i crostacei delicati, per il resto lo berrei volentieri a tutto pasto, come si soleva dire.
Grecanico 100%, macerato in anfora per svariati mesi. No legno.
Niccolò Desenzani



Pithos '10
L’ho ordinato come secondo vino a cena da Peppe Barone alla Fattoria delle Torri di Modica.
Il primo, un grillo, appena l’ho assaggiato ci ho innaffiato il limone della bellissima terrazza del ristò.
Ebbene, ordino il Pithos lo verso ed ha un colore intenso ma nitido, sharp direbbero gli anglofoni, come l’aria in un pomeriggio di maestrale.
Un naso fresco di limone in foglia e accenni di clorofilla.
Ma è la freschezza, l’assenza di  eccessi di ossidazione e di tannicità che mi ha impressionato.
Non avessi saputo del protocollo produttivo, non credo che me ne sarei accorto.
Ho pensato allora ed oggi mentre scrivo che hanno preso le misure ai vasi vinari argillosi in casa Cos con risultati sorprendenti per freschezza e semplicità.
Scorre veloce nei calici, un inno alla leggerezza, anzi all’insostenibile leggerezza della superficialità profonda.
E poi quasi a ripetermi e copiando Niccolò è un trionfo di sapido/salino (marchio di fabbrica delle sabbie calcaree* della contea di Modica), delicatezza alcolica e morigeratezza acida (sempre a braccetto con un po’ di vegetale).
Grecanico 100%, macerato in anfora per svariati mesi. No legno.
Luigi Fracchia

*Do’ Zenner, produttore di Pachino, sostiene che questo calcare essendo della zolla tettonica africana abbia una diversa influenza sulla vite e sull’uva, a me piacere crederci e sentire nei vini un chè di tropicale ed esotico.

3 commenti:

  1. Luigi, Niccolò, è bello credere a quel che dice Do' Zenner, ma il problema è che dove c'è molto calcare attivo la mineralità normalmente è minore a causa del fatto che la presenza di molto calcare nei suoli limita la sostanza organica e se non c'è sostanza organica la pianta fa molta più fatica ad assimilare i minerali. Il tono salino evidente dipende in larga misura dall'affinamento sulle bucce (6 mesi mi pare). Il tannino è misurato in quanto la lunga macerazione ha permesso alla bucce di riprendersi una parte dei tannini che in un primo tempo avevano ceduto (ma non bastava non macerarlo ? ). Il Pithos è buono anche per uno come me che le bucce nei bianchi non le vuole proprio vedere, cionondimeno. ancora una volta, mentre assaggio questo vino, e altri suoi consimili, la prima cosa che sento è la tecnica di vinificazione e non il posto di provenienza che posso intuire solo dopo che il liquido alcolico ha finito di urlarmi nelle orecchie "guarda come sono bravo, sono fatto con i lieviti indigeni e sono stato in un anfora di terracotta per 6 mesi a contatto con le mie bucce ! ". Ecco è proprio questo il punto. Un grande enologo Californiano, Ray Kaufmann, una volta mi ha detto " se in un vino la prima cosa che senti è come è stato fatto, allora c'è un problema ". a bientot

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    1. Ciao Fabio,
      Sempre puntuale e coinvolgente nei tuoi interventi.
      Comunque credo che il calcare non sia attivo altrimenti ci sarebbero problemi di clorosi con i portainnesti, sicuramente sono terreni avari con poca presenza umica condizione questa condivisa con molte aree vitivinicole di pregio dal Piemonte alla Franciacorta a Pachino.
      Pero i suoli calcarei esaltano l'aromaticita delle uve se le pratiche agronomiche tendono a preservare il consorzio microbico.
      Poi sulle macerazioni dei bianchi ci sarebbe molto da dire e parzialmente condivido le tue posizioni.

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    2. Fabio, per fortuna c'è Frakkia che è più preparato di me su questioni così tecniche! Io, dal canto mio, invito a riflettere sul possibile errore di pensiero, fallacia, contenuto nella frase di Kaufmann.
      Il fatto che io noti subito che sia un orange wine è alla stessa stregua con cui osservo, versando un Chianti, che è un vino rosso (che vuol dire macerazione etc etc). Quindi in realtà tutti i vini dicono subito qualcosa di come sono stati fatti. Tendiamo a notare di più la macerazione dei bianchi solo perché un po' più insolita.
      Da una prima analisi visiva possiamo dedurre una marea di cose su come probabilmente è stato fatto il vino. E anche se non volessimo concentrarci su quest'aspetto, esperimenti di psicologia dicono che lo faremmo inconsapevolmente.
      Comunque la 2008 è un classico macerato! La 2010 di Luigi pare invece più borderline come aspetto e caratteristiche organolettiche, quindi forse più nella direzione della traduzione diretta dell'uva in vino.
      Riformulerei la frase di Kaufmann come "se in un vino senti più il processo rispetto al terroir, allora c'è un problema", ma così suona ovvia! à+ (questa è molto francese)

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