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mercoledì 1 agosto 2012

Salvate le foreste!




Di Quercus Petraea*.
Veloce e ipersoggettiva dissertazione sull’uso delle barrique.
Pochi giorni fa ho assaggiato un Grignolino del Monferrato Casalese affinato in tonneau nuovi, millesimo 2007.
Ieri ho assaggiato un Cerasuolo di Vittoria affinato in tonneau nuovi, millesimo 2008.
Devo dire che comparati con i vini base non passati in legno non mi sono piaciuti.
Non per una mia pregiudiziale avversione al legno di piccole dimensioni.
Ma per la perdita di espressività dei vini.
Mi spiego meglio:
il grignolino ha una delicatezza aromatica e una tipicità spiccata e leggero amarognolo e dei tannini vegetali molto saporiti e una acidità vivace e un colore scarico.
Nel Cerasuolo di Vittoria c’è il frappato, anch’esso ha aromaticità personalissima e delicata e lieve speziatura e tannini anomali vegetali e molto espressivi e leggero amarognolo e sapidità e acidità e colore scarico.
Entrambe i vini hanno una beva glu glu.
Ebbene, nelle versioni in doppia barrique.
Nulla di ciò sembrava essere rimasto, il palato era spezzato in due dalla potenza dei tannini esogeni che correvano al fianco di sensazioni vanigliate e resinose in completa dissociazione.
Bevibilità complicata, pesante.
E che dire del naso affranto dal potente apporto della quercus petraea e delle sue tostature.
Nelle intenzioni dei produttori c’è la volontà di produrre vini longevi.
Da questo la loro intenzione di rinforzare una materia apparentemente fragile e caduca.
Il risultato è stata una transunstanziazione dei vini che si sono tramutati in qualcosa di estremamente diverso dall’originale perdendone l’eleganza briosa, sfaccettata e leggera (leggera non banale).
Avendo voglia di aspettare ancora qualche anno lo scarico dei sentori legnosi, avrebbe smorzato l’impatto olfattivo, però ci saremmo comunque persi l’aerea espressività dei vini base.

Per qualcuno sembra essere insostenibile la leggerezza dell’uva.
Forse siamo lontani dalla botticella filosofale.
E pensare che, diminuendo l’uso di legni nuovi,  ci sarebbe la componente etica della riduzione della deforestazione* e dell’impronta carbonica di ogni bottiglia prodotta.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Produttori (o lettori sensibili ai limiti operativi della critica enologica) che leggerete il post, voglio rimarcare che con questo mio scritto mi guardo bene dal consigliarvi, insegnarvi alcunchè.
Ah! e sono sempre disposto a cambiare idea nel caso avessi sbagliato.


*lo so che le foreste Francesi seguono cicli agronomici di produzione di legno di quercia e non abbattono più di quanto sia rigenerato dalla foresta stessa, però tutte queste sono attività ad alto consumo di risorse non rinnovabili.

1 commento:

  1. Mi permetto una lunga autocitazione del 2004/2005 a proposito di vini in barrique. Mi scuso sin d'ora per il tono faceto, ma credo di essere in topic. Grazie per l'ospitalità.


    care memorie : nei primi anni ottanta si vantava l’amico manager (volvo, bi-tri- mw), e nei secondi si blandiscono i buoni avvocati (si passa a mezzi di trasporto intercontinentali); nei primi anni novanta un commercialista non manca mai (scooter), e a fine secolo tiene banco il personal guru (teletrasporto); oggi chi non frequenta un sommelier ? (tutti a piedi con la patente a punti).
    Io sì: e all’ora del drink “duro”, insidioso come una nevralgia, salta fuori l’argomento barrique , piccola botte di legno da 225 litri :
“ ah...io...bevo solo vini barricati...” (e le canotte le compra solo a porto cervo) “...sentore di barrique...” (solitamente mistico, riconosce proprietà, meglio se non presenti, ovunque)
“ uhm...(con soddisfazione estetica/estatica)...vino barricato...” (con profondo rimpianto di non esser tutti - pardon, lui almeno - ad Ascot).
Nella vita del nostro film (ancor più che nel film della nostra vita) cerchiamo sempre l’inquadratura migliore, quella luce che fa, il senso (globale) di appartenenza esclusiva che ci faccia sentire meno soli, potendola condividere, sempre molto esclusivamente, con l’intero consorzio umano.
Per dire: non ce l’ho con la barrique. Non solo io.
Inserto domenicale de “ Il sole 24 ore ”, 14 marzo 2004, dalla rubrica “ A me mi piace” di Davide Paolini :
“... dell’azienda Le Torrette di Terzo d’Acqui, nella sua originale etichetta di Barbera Vigne vecchie, disegnata da Paola Marchesi, si legge : non allevato in barrique “ ( sottolineatura mia).
Il giorno prima, su “Tuttolibri”, Paolo Massobrio parla - in senso tutt’altro che benevolo - di vini “ iperbarricati ” (ibidem).r
In http://www.vinit.it/press/modules.php?name=News&file=article&sid=1841 trovate un articolo datato 22 maggio 2003 “ Barrique, mito da sfatare.La legnosa”, che in prodigiosa sintesi vi spiega il perchè del successo del vino in barrique : l’omologazione del gusto.
Certo, se il vino è buono essere affinato in barrique gli offre un vantaggio differenziale; il dubbio rimane sui vini mediocri, che pur non diventando ottimi, possono “ forzare “ il gusto del bevitore : e in questo il barricatore assomiglia
tanto a certi produttori/taroccatori discografici che ti spalmano la stessa melassa sui diversi artisti di genere (vedi alla voce hip - hop, black music e mainstream pop, tanto per scegliere le prime tre che mi vengono in mente), o a certe pre-cotte e pre-digerite scelte editoriali che nella wunderkammer del marketing vengono fatte risuonare come novità.
    Credo di averla spuntata sull’amico “sommelier”, che in un lampo di lucidità superalcolica mi cala un carico da 11: il barbera affinato in barrique da Fabrizio Iuli, Montaldo di Cerrina (AL).
Già, il sommelier è un amico più stabile del manager, riconvertitore anche del chewing-gum di cui è fatta la sua anima, più affidabile dell’uomo di legge un giorno in Soccorso Rosso un altro nella Commissione Giustizia in quota F.I., non mira alla cassa da esportare alle Cayman ne è un integralista da conversione full- immersion : il sommelier “tasta”.
Dicevamo...” Il drink deve il nome al conte Camillo Negroni, abituale frequentatore del Bar Casoni di Firenze, oggi Bar Giacosa. Nel 1922 il conte aveva suggerito al barman Fosco Scarselli di aggiungere al vermouth rosso e al Campari un’eguale parte di gin “.

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