Il
Funambolo
splendeva
tutto camminando sulla sua fune, sotto la luna,
con
una superba destrezza che dissimulava il rischio e la
fatica, e perfino il travaglio dell’arte.
E
i suoi movimenti, quasi oscillasse su due lievissime
ali,
e
quel timore in noi: ”cade, non cade”, ”cade, non cade”,
diventava
un canto immenso, invulnerabile, profondo
che
colmava di fiducia la notte intera, e il tempo tutto fino
al futuro più remoto.
Che
colmava di gioia perfino il sonno di quanti già dormivano
sotto
le verande di legno, sui balconi, sulle terrazze o distesi sull’erba.
Ghianni
Ritsos,
Atene,
Kàlamos, Karlòvasi,
15.I.82-15.VI.82
la danza del tempo, pericolosa, immobile, aggraziata, sparisce appena te ne accorgi come in un sogno.
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