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martedì 1 aprile 2014

Rosso di Valtellina 2010, Arpepe

di Niccolò Desenzani


Non ho dubbi nel considerare l’etichetta del Rosso di Valtellina di Arpepe una delle più belle al mondo. Un rosso profondo con un accenno di cupezza che lo rende subito austero, ma ben accetto. La cornice semplice bianca, con una linea sottile ad alleggerirla. Denominazione, annata e semplice ARPEPE con lo stemma storico, ripetuto negli angoli bassi, a bilanciare il riquadro più che esibire la propria storia. Tutto rigorosamente in nero senza inutili cambi di font, ma solo la ricerca delle giuste proporzioni. E poi il disegno così essenziale e immediato: vigne di montagna. Anche qui solo nero con riquadro e i tratti irregolari dello schizzo.

Poi c’è che è un vino base. E ogni tanto vale la pena di porsi la domanda: “che cos’è un vino base?”. Domanda che umilmente e intelligentemente si poneva e poneva Claudia Donegaglia su Facebook l’altro giorno, intimorita dal compito di doverlo spiegare ex cathedra. Mi ha colpito la risposta, quasi giocosa, di Armin Kobler “è quel vino dalla cui qualità dipende la reputazione dell'azienda”. Forse potremmo invocare la celebre frase di Justice Potter Stewart sulla definizione difficile di cosa fosse la pornografia, “I Know it when I see it”, ma resto più illuminato dallo scherzo di Armin Kobler, che fa proprio al caso mio.
Se è pur vero che questo Rosso di Valtellina è tecnicamente un vino base, portando la denominazione meno restrittiva rispetto agli altri vini aziendali e il primo prezzo nella gamma, è altrettanto evidente all’assaggio quanto sia meritata la reputazione di Arpepe, specialmente negli ultimi anni.


Il base di Arpepe non è mai stato così tanto nelle mie corde. In passato indubbiamente franco e semplice e pulito, ma non di rado un po’ vinoso, un po’ statico e inespressivo. Soprattutto non di beva assassina, anzi. Quindi è stato meraviglioso aprire questo 2010, con poca aspettativa, e trovarci dentro un killer. Questo dice anche come stia lavorando l’azienda perché oltre che essere base, è anche il vino che esce prima di tutti gli altri, in anticipo di anche dieci anni rispetto alle riserve. Possiamo dunque sognare oggi come saranno i loro vini fra quattro, cinque, dieci anni e l’unica conclusione è che vorrei un vitalizio in bottiglie di Arpepe di qui a sempre.

Venendo al vino, quintessenza terragna di nebbiolo di montagna, ho trovato il perfetto equilibrio di acidità, sapore, consistenza, facilità di beva. No. Non facile, piuttosto difficile da non bere. In tutto ciò alcune note nobili di affumicatura che danno un tocco sublime al sorso e portano la mente dritta a Carema attraverso un tunnel quantistico alpino. Cortocircuito nebbiolesco.


Infine una noterella filosofica. Nel leggere le note di Sandro Sangiorgi, che a me piacciono molto, ci si riferisce non di rado a un concetto di “forma e sostanza”. Forse nella sua monografia spiega anche nel dettaglio il significato. Io non ho ancora trovato il tempo di leggerla e quindi desumo dagli esempi a cui lo applica. In questo spirito mi sento di dire che il Rosso di Valtellina 2010 di Arpepe si avvicina alla perfetta esemplificazione del concetto.

FORMA E SOSTANZA


2 commenti:

  1. Bella la definizione di "vino base come vino con il quale si gioca la reputazione aziendale" di Kobler, definizione vera solo per le realtà medio piccole non certo per le grandi che col vino base fanno cassa per i futuri investimenti e lo pensano con questa idea non con altre.

    Il Rosso base di Arpepe, anche se nasce come vino di pronta beva, ha secondo me anch'esso bisogno del suo tempo in vetro, perchè nelle annate calde ha un alcol slegato al corpo e un tannino rustico da nebbiolo di montagna, oggi il millesimo 2010 è veramente un killer nel suo stato di forma migliore, un anno fa probabilmente era solo un apprendista che poteva non lasciare il segno.
    Il fatto è che conoscendo le boccie di Arpepe a partire da Stella Retica in poi è difficile restare delusi, ma spesso si hanno aspettative troppo elevate anche per vini che dovrebbero solo dissetare...

    Claudio Tenuta

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    1. Claudio come non essere d'accordo con quello che scrivi. Ho avuto anche io l'impressione che i due anni di bottiglia abbiano giovato enormemente a questo vino. Sono anche abbastanza convinto che il fatto che si conceda così volentieri, a differenza di alcuni Arpepe più vecchi, sia un risultato cercato in vigna e cantina con un lavoro consapevole. Poi forse è complice l'annata. Ho a casa una 2011 da aprire per un confronto.

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