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giovedì 9 ottobre 2014

Pastoreccie 2011 "Vieillissement prolongé", Mariotti Bindi

di Niccolò Desenzani




Chi legge questo blog ormai sa che amo i vini di Mariotti Bindi. Dal primo assaggio del vermentinu Pastoreccie 2009, che mi colpì per la nitida e naturista bellezza, lo considero fra i migliori interpreti del vitigno. Ho parlato delle scelte di minimo intervento, della ricerca di integralità e di purezza che portano Mariotti Bindi a non usare il legno e a lavorare accuratamente con le fecce fini, fino all’imbottigliar una materia ancora velata, ricca, spessa e vitale, pur mantenendo il vino in una cornice di correttezza enologica impeccabile.
Per un po’ di anni ho “studiato” e cercato i vini fatti in cemento, affascinato dalle caratteristiche di questo materiale nel quale prendono corpo vini molto interessanti per struttura e nuance aromatiche.
Evidentemente il fascino del cemento colpisce anche alcuni vignaioli, che negli ultimi anni possono scegliere fra prodotti laterizi e ceramici (vedi commenti) per l’enologia di grande qualità nei materiali e nella costruzione.
Fra questi spiccano i vasi vinari creati da Nomblot e di indubbio interesse la neonata attività di Luca Risso col suo Clayver.
Così succede che Mariotti Bindi abbia deciso di sperimentare quello che lui chiama “vieillissement prolongé” (affinamento/invecchiamento prolungato) su una selezione del suo vermentino dalla vigna Pastoreccie (che purtroppo credo abbia dovuto restituire al proprietario Orenga de Gafferoy, da cui l’aveva avuta in prestito), mettendo una parte del vino 2011 a riposare in un uovo di cemento.
È una scelta che mi ha lasciato perplesso, dapprima. Perché il ricordo del vermentinu di Nicholas è legato a una freschezza che trova la sua ratio più nell’equilibrio salino e gourmand che nell’acidità. Che non è mai fiacca, ma di certo non sostiene il sorso. Quindi sapendo che il cemento, come la terracotta, tendono a tamponare ulteriormente l’acidità, si rischiava la deriva verso una grassezza senza speranza di redenzione.
Invece è stata una sorpresa scoprire come anche in cemento il vino abbia trovato un proprio equilibrio, fatto di purezza e di lisciezza, di salmastro e fruttato, e comunque ancora un sostegno acido non trascurabile. L’impressione è di bere un nettare (esiste la categoria dei vini-nettare), che lascia la bocca fresca e i denti lisci.
E nonostante questo carattere souple e quasi 14 gradi alcolici, tale è l’equilibrio che il vino va giù glu glu e la bottiglia dura purtroppo poco.

2 commenti:

  1. Molto interessante! Solo per precisione però i nostri Clayver non sono in cemento ma in ceramica.
    Luca

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    1. Grazie Luca per la puntualizzazione. In effetti ero convinto che laterizio fosse termine generico. E' molto importante la differenza fra questi tipi di materiali, ma possiamo dire che da un punto di vista enologico stanno entrambi a una certa distanza sia dal legno che dall'acciaio pur avendo teoricamente, in misure diverse, la capacità di microossigenare naturalmente. Comunque credo che l'interesse sia molto nelle proprietà di bassa conducibilità sia elettrica che termica e forse nella facilità di studiare forme che in qualche modo favoriscano moti spontanei all'interno della massa. Poi c'è il riferimento alle anfore che oggi hanno un gran potere evocativo, oltre ad essere per alcune vinificazioni ancora dei contenitori molto funzionali.

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