Mai dire Gamay!
E’ un vino, come tutti quelli in macerazione semi-carbonica, antropico
in cui la tecnica di produzione è indissolubilmente legata al risultato che si
vuole ottenere.
E questo è un bene o un male?
Mah!
Forse è solo l’esempio più chiarificante del fatto che il
vino è tecnica.
E di questa tecnica Marcel Lapierre con Jules Chauvet e
Jacques Néauport sono stati i teorizzatori e i realizzatori più accaniti*.
Negli anni settanta hanno sviluppato e perfezionato la
macerazione semi-carbonica e la produzione di vini a zero solfiti aggiunti,
traghettando questa tecnica (con parecchie modifiche ai protocolli standard)
dai prodotti di consumo banale ai vini di pregio anche da invecchiamento**.
Nel Beaujolais e nelle Ardeche (ma un po’ in tutta la
Francia) ci sono produttori che producono tutti i loro vini, rossi e bianchi
con macerazione carbonica (sui solfiti qualcuno ha fatto dei passi indietro), è
quasi un credo, una religione enologica laica.
La domanda standard (spesso di chi usa badilate di enzimi,
tannini liquidi, rotomaceratori, termovinificazione, lieviti secchi, gomma
arabica, bentonite, filtri a diatomee, pvpp, etc etc) è quella sul fatto, abbastanza
incontrovertibile, che è una tecnica un po’ omologante.
Un po’ omologante.
Un po’ come ogni tecnica che modifica e altera per
raggiungere un obiettivo e il vino, lo sappiamo tutti, non è l’unico stato di
quiete che può raggiungere un mosto, anzi è quello più innaturale che ci sia in
natura.
Spesso mi capita di assaggiare batterie di vini di uno stesso
produttore che hanno un “aria di famiglia”, non è dunque anche questa una omologazione?
Il terroir come ne esce?
Esce dalla bottiglia il terroir che interessa al vigneron e
non un generico, oggettivo quanto misterioso e imprendibile “terroir del luogo”.
E il vigneron compie una traduzione a mezzo delle sue tecniche
e della sua sensibilità del flebile e inintelligibile racconto che esce dalla
terra.
(Mi accorgo che questo discorso apre la via all’accettazione
di tutte le tecniche, comprese quelle a me più invise, con la scusa di operare
una maieutica enologica)
In verità mentre bevevo a garganella questo Regniè non
pensavo a tutte queste implicazioni cervellotiche, perché il vino speziato e
pungente e floreale, correva veloce nel gargarozzo.
Il suo colore pallido e i profumi intensi e il corpo agile e
fresco annullavano ogni pensiero.
Bonne degù
cucù
Kempè
Luigi
*in realtà la loro macerazione carbonica era decisamente “naturale”
rispetto a quella standard che utilizzava e utilizza termovinificazione,
inoculi, enzimi, chaptalisation, etc
**interessante il capitolo “I santi” a pg93 e sgg in “Vino
(al) naturale” di Alice Feiring, Slow Food editore
Amo le macerazioni carboniche del Beaujolais, per me conferiscono bevibilità e slancio.
RispondiEliminaIo voto sì.