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giovedì 30 ottobre 2014

GHOST-WINES (BOOTLEG SERIES, VOL. 1)

Caro diario,
è autunno.
Per la precisione è autunno da circa 5 mesi. Diciamo che Madre Natura ha deciso per il bipolarismo secco. Freddo/Caldo. Brrrrrr. Madre Natura assomiglia ad una Ragazza Cin Cin. Se non sai cosa significhi, meglio. Ignorare è potere e sanità. A volte.
Comunque. Con la stagione delle piogge 24/24 e 7/7 mi è sorta una domanda spontanea? Che cazzo combino tutto il giorno (nota 1)? Sono andato in giro. Ho visitato cantine e città. Qualche cantina e qualche città. Ho molestato viticoltori e osti, baristi ed enotecari, amici e fidanzata. Ho iniziato a sentire una certa attrazione verso la sexy-robotica voce del navigatore satellitare. Ho rotto le palle a Google digitando a manetta Vino+CittàX+Biodinamico+Naturale (opzionale). Caro diario, persino lo spam di Gmail ha smesso di propormi Cialis e ora mi ammorba di macchinari per l’imbottigliamento e/o 12 bottiglie di Chateau Stikatsi al prezzo di 11.
Sono stato a La Spezia. Che è una città strana. Lo so, strana si usa quando non sai bene che cosa dire. E’ che La Spezia sembra due città attaccate in una. Meglio, dirai. 2 is meil che uan. Comunque. C’è una La Spezia 1 ed è la parte vicina al porto con condomini imponenti e squadrati e, tutto intorno, ciminiere e cantieri navali. Al primo impatto sembra una periferia soviet, solo un po’ più degradata. Al secondo impatto uguale. Ma poi scavalli un centro discretamente bombardato dai vari Zara, Intimissimi etc e che pur mantiene un fascino austero in un mix tra viali e palazzoni e vicoli e viuzze; scavalli il centro e inizi a salire verso quella manica di colline ed esplodono le villette liberty, i giardini esplosi di verde, le palme e i fiori, i mattoni rossastri e i freghi bianchi, le cancellate decorate e le boscaglie a pochi metri. La Spezia 2 che sa di Belle Epoque e ricca borghesia.
Poi sono stato a Sarzana. Che c’ha un bellissimo Festival Della Mente e un mercato dell’antiquariato non-cheap e abbastanza chic. E c’ha pure Stefano Legnani col suo ettarino di vermentino e i suoi Ponte Di Toi e Le Loup Garou. E autore anche di quel ghost-wine che è il Tafon. Che era autore. Ora la vigna non c’è più. Venduta, espiantata, kaputt. Se ci fosse un ciccinino di mitologia nella vita, parleremo di un’Araba fenice. Risorgerai, O Tafon, altrove in altre vesti. Ma inutile dire com'è la vita. E, pragmaticamente, fanculo, è stato bello finché è stato.
Legnani tagliava il prato del suo cortile. E’ così che l’ho trovato. E abbiamo iniziato a chiacchierare. E gli ho rotto le palle peggio di inviato di Report. Ma il Legnani è gentile, tanto, e non me l’ha fatto notare. E così abbiamo parlato di:


agricoltura, associazioni, solforosa, imprenditoria agricola, banche, mutui, vermentino & trebbiano, agevolazioni fiscali, disagevolazioni in generale, Maule, vinificazione, meteo, crisi, compratori italiani vs compratori esteri, micro e macroclimi, Romagna, Emilia, terra sole vento, tosaerba, ancora imprenditoria agricola però giovanile, gastronomia, ristorazione,...


Alla voce “Ristorazione” ci siamo bloccati un attimo. “Dove vado a mangiare-per-lo-più-bere stasera?”, ho chiesto. Il Legnani ha accennato un paio di posti. Tutti invitanti. Ma il più invitante di tutti era questo. Il Botteghino. La descrizione suonava una cosa del tipo “molto informale, una specie di pub con robe semplici ma davvero gustose, chessò, affettati e formaggi, schiacciata da urlo, torte salate che se squagliano in bocca. E una carta di vini da urlo. A prezzi imbattibili”.
Il Botteghino è sull’Aurelia a qualche chilometro da Sarzana al numero 312. Da fuori sembra davvero un pub. Anche da dentro. Scuro e semplice. Solo che al posto di vaghe insegne sull’Irish Pride e posteroni della Guinness, ha una parete da wunderkammer dei vini. E da lì in poi ho iniziato a rompere le palle a Gabriele, il titolare. Ho rotto le palle a troppa gente questa estate. Che ci posso fare, il mio karma rimedierà.
Caro diaro, ci sono tornato altre volte, poi, al Botteghino. Per uno spuntino, per bere. per parlare.  Mi sentivo come un cercatore che trovava pepite ad ogni manata. Certo, se l’emozione fosse oro, quest’estate sarei diventato milionario. Ma ti voglio raccontare di un vino. Forse non il più buono. Ma è stato come un raggio di sole che ha colpito una massa di pensieri  facendoli rotolare giù. Una valanga emotiva e concettuale.
Ascolta.



IMG-20140819-WA0002~2.jpgArbois Trousseau Cuvée Des Geologues 2008 di Lucien Aviet.
Per un po’ lo ha avuto Caves De Pyrene. E lo assaggiai qualche anno fa ad una degustazione. Non era questa cuvée. Ma lo stile era quello e pensai. "Ehi, mi piace il tuo stile." Poi l'oblio. La scomparsa dai (miei) radar. 
Gabriele se lo va a prendere direttamente alla fonte. Gabriele, odio et amo per quello che fai. E rezpect, yo.  
Da che parte si inizia a pigliare questo vino? Io la piglio alla larga. Dal momento generale. Da quello che percepisco del momento generale. Si discute tanto abbastanza di una tendenza contemporanea che-in-realtà-è-più-un-ritorno-all’antico. I vini leggeri. Sottili. Delicati. Vini che indurrebbero alla beva. Vini che si contrappongono ai super-estratti grevi e pesanti. Che ballano (quando va bene) come cigni contro gli altri che pogano forsennati. E da queste parti la Francia ci sguazza. La Loira delle meraviglie. E la Jura. 1850 ha vitati a Savagnin, a Poulsard. E un 5% a Trousseau. Che è più difficile da far maturare. Richiede esposizioni soleggiate. E che, pensa, in Portogallo si chiama Bastardo ed entra nel blend del Porto. E che qui, in Jura, si coltiva quasi solo attorno ad Arbois.  
La Cuvée Des Geologues è un vero Ghost-Wine. Nel senso di introvabile e di spettrale. Talmente delicato ed etereo che potrebbe scomparire in un attimo. Nel percorso densità acqua → latte qui siamo più dalle parti della prima. Una non-densità spugnosa che potrebbe scivolarti dalla mano bocca quasi impalpabilmente. Sembrerebbe una specie di parte degli angeli, una bolla alcolica che l’aria trangugia & divora spedendola nel paradiso dei vini sottili. Il naso porta a larghezze olfattive pinoneggianti. Frutti rossi, fragola e mirtillo. Pepatura e spezie. In un profilo disteso, senza strappi, in progressione. E la bocca dove riempie, si allarga, il frutto dolce si mischia a tannini polverosi e poi una vena acidula sembra far sparire tutto. Sembra. Perché un sapore rimane. Un sapore che sembra essersi impresso nella mente. Come carta fotografica in sviluppo. Appare piano piano un’immagine. Un’immagine sfuocata di un paesaggio. Che la sfuocatura rende affascinante. Dove le figure appaiono fantasmi. Fantasmi che vengono da te solo per parlare. Sapori che restano con te senza disturbare, senza alzare la voce. Un vino che si definisce per indefinizioni.  Ma che punta tutto diretto alla beva, ad un equilibrio sottrattivo che vuole essere ascoltato. Io questa cartolina/fotografia la porto ancora con me. Non vedo l’ora di tornarci.


Caro diario, per il momento basta così. Ho come l’impressione di avere rotto le palle anche a te. Ma ci sentiamo presto. Devo ancora dirti di quella volta…

Nota 1: diario mio, io so che tu sai che io so, in effetti, di non essere tipo da spiaggiarsi e impanarsi e abbrustolirsi al sole-e-mare per cui (sempre più in effetti) quella roba delle temperature miti e della pioggia non è che abbia cambiato di molto le mie abitudini estive. In poche parole, le cose che ho fatto le avrei fatte comunque.
E questa immagine è come una webcam piazzatami in faccia 24 ore al giorno.
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