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mercoledì 28 settembre 2011

_il_territorio_èmorto_viva_ilterritorio




“…Pur senza capire il significato, avevo in bocca solo la parola “territorio” – ma oggi so che “il territorio” esiste solo in funzione del mito dell’infanzia e che, se ci inventiamo il mondo delle tradizioni radicate nella terra e l’identità di una regione, lo facciamo solo per rendere concreti e oggettivi gli anni magici e irrimediabilmente passati che precedono l’orrore di diventare adulti. Solo la forsennata volontà di far perdurare un mondo scomparso a dispetto dello scorrere del tempo può spiegare come sia possibile credere nell’esistenza di un “territorio”: è tutta una vita scomparsa, un aggregato di sapori, odori e profumi disparati che si sedimenta nei riti ancestrali, nelle pietanze locali, crogioli di una memoria illusoria che vuole trasformare la sabbia in oro e il tempo in eternità. Al contrario, la grande cucina non esiste senza evoluzione, erosione e oblio. La cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall’ossessione di chi non vuol morire…”
Muriel Barbery,
Estasi Culinarie, e/o editore, Roma 2010.





 “Viaggiare, come raccontare - come vivere - è tralasciare. Un mero caso porta a una riva e perde un’altra.”
 “i luoghi sono gomitoli del tempo che si è avvolto su se stesso. Scrivere è sdipanare questi fili, disfare come Penelope il tessuto della Storia”
Claudio Magris,
Microcosmi.






Nullus locus sine Genio.
Il territorio, il tempo esistono non solo in quanto tali fisicamente ma anche e soprattutto come luoghi  esperibili, perennemente reinterpretati, modificati, dimenticati dal fluire inarrestabile della vita.
Il cambiamento, dunque, e il continuo inventarsi delle tradizioni, ogni volta superate e integrate dalle nuove, non la staticità sono la cifra del radicamento territoriale, dell’essere nel mondo.
La continuità un tempo era assicurata dalla presenza rassicurante dei geni dei luoghi, un affollato esercito di dei e semidei che popolavano il nostro mondo e le nostre case.
Forse oggi lo strappo che percepiamo è quello dovuto alla eccessiva brutalità e velocità dei cambiamenti non commisurata con la nostra capacità di metabolizzazione e la completa perdita di mistica e trascendenza dei luoghi oramai ridotti a entità economiche, misurabili, quantificabili e saccheggiabili.
Abbiamo ucciso i Daimon, i Lari, le Ninfe, le Fate, i Geni.
Il territorio è morto.



E la tradizione assistita dalle novelle scienze non lo riporteranno in vita.
Al massimo con fare da tassidermisti lo imbalsameranno e museificheranno.
E ci muoveremo al suo interno come attori scalcinati in un teatro parrocchiale.

Luigi

4 commenti:

  1. "Il cambiamento, dunque, e il continuo inventarsi delle tradizioni, ogni volta superate e integrate dalle nuove, non la staticità sono la cifra del radicamento territoriale, dell’essere nel mondo."

    Questo passaggio contiene la semplice verità.

    Pamela

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  2. Eh... ho voluto riflettere un pò prima di rispondere a questo post, perché in parte sono d'accordo, in parte no. Se parliamo di territorio con una vena un pò retorica, una malinconia del passato, è normale che poi questo si trasformi in reliquia. Ma il territorio è ancora palpitante, altrimenti non andremmo a cercarlo, quasi furiosamente, nei sapori e nei saperi della terra. L'errore è nella banalizzazione secondo me, o nell'averlo consegnato a logiche economiche che non sanno nè tutelarne la memoria nè valorizzarne il presente.Una ricerca su campo fatta bene non potrà che portare alla luce un territorio vivo, perchè quotidiano, organico...coerente dal punti di vista culturale e colturale. Non dico che sia facile, ma è questa la sfida che va colta.

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  3. @Lucia,
    è stata volutamente una provocazione la mia.
    Però l'istinto museale e il concetto di mantenimento dello status quo sono difetti difficili da eradicare da cervello dell'uomo del III° millenio e un territorio, delle genti non possono vivere in un museo, devono vivere in un ambiente vivo e vitale che permetta loro di vivere una vita vera e non una per procura, riflessa negli occhi dei turisti che li guardano dai pulman durante le visite guidate.
    Quindi il territorio deve dare reddito, opportunità di lavoro, di svago, di relazione, deve essere embricato con la società civile e non relegato a margine, venerato come reliquia e sovvenzionato da danari sempre più scarsi e insicuri.

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