Il Parmigiano Reggiano è uno dei migliori (con un pizzico di partigianeria potrei dire IL migliore) formaggi italiani. Ma mentre sulle tavole spopola e crea consensi unanimi, all'origine non sempre ha una fama impeccabile.
Tutti o quasi conoscono il metodo di produzione ma in pochi forse sono a conoscenza delle spossanti condizioni di vita delle vacche in stalla, tenendo anche presente che oggi sono decisamente migliorate rispetto ad un passato non troppo remoto. Un tempo la stabulazione era fissa, con la vacca legata alla "posta" (prima groppa-groppa poi testa-testa) che le permetteva due soli movimenti: sdraiarsi e alzarsi. Ora le stalle sono quasi tutte a stabulazione libera, il che significa una zona di passeggio, una zona di riposo, una zona di alimentazione con mangime "a rilascio controllato" (ciascuna bovina ha al collo una sorta di collare che interagisce con la mangiatoia attraverso un sistema computerizzato di modo che il macchinario riconosca univocamente l'animale e gli conferisca la quantità di mangime pre-programmata) e una zona di mungitura (automatica ça va sans dire).
La razza maggiormente presente nelle stalle da Parmigiano Reggiano è la Frisona che rispecchia al meglio le esigenze di mercato dell'uomo in quanto produce quantità di latte ben superiori a tutte le altre razze. In realtà ultimamente si stanno riscoprendo anche categorie autoctone un tempo abbandonate come la Bianca Modenese o la Rossa Reggiana.
E' doveroso dire che il disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano NON VIETA la somministrazione di mangime OGM alle bovine (a meno che non si lavori in regime biologico dove gli Ogm sono preclusi) e da parole di vari casari "...praticamente tutti i mangimi contengono soia Ogm".
Momento importante della catena produttiva è la prima fecondazione: si cerca di coprire (fecondare) la manza il prima possibile per il semplice fatto che finché non partorisce non produce latte e per l'azienda è puramente un costo (mangia e non produce). Ma se si anticipa troppo la fecondazione e l'animale non ha ancora terminato la sua fase di crescita, se ne arresta lo sviluppo, e una bovina poco sviluppata darà meno latte, in proporzione mangerà più mangime (più costoso) rispetto al fieno (perché lo stomaco rimane ridotto e il fieno è un alimento che fa volume) e in futuro potrà avere problemi di parto. La tendenza quindi è quella di coprire l'animale intorno ai 15-20 mesi di vita. Dopo il parto la manza diventa vacca.
La fecondazione al giorno d'oggi è esclusivamente artificiale. Mantenere un toro è costoso (mangia e non produce latte) e le vacche, stanche e sfiancate dalle superproduzioni, difficilmente sopporterebbero una fecondazione naturale. Anche se bisogna ricordare che la percentuale di riuscita dell'attecchimento dell'ovulo sarebbe maggiore proprio in quest'ultimo caso. Può succedere infatti che la fecondazione non vada a buon fine, e dopo un paio di prove fallite la vacca viene inesorabilmente destinata al macello.
Ma la fecondazione artificiale presenta troppi vantaggi dal punto di vista commerciale. L'uomo ha ormai il totale controllo sulle nascite: può effettuare il miglioramento genetico incrociando semi di toro dai genomi migliori e ovuli di vacche dall'alta produzione lattifera, e attraverso il seme "sessato" può anche predeterminare il sesso del nascituro (con una certezza >95%).
Altra tecnica particolarmente utilizzata è quella dell' embrio-transfert per la riproduzione genomica di una vacca di grande pregio ed elevata produttività. Vengono somministrati ormoni all'animale per indurre un'iperovulazione, dopodiché si effettua la fecondazione artificiale e passati 7gg si prelevano gli ovuli fecondati che, congelati, si potranno poi impiantare in altre bovine al momento opportuno. Il trasferimento degli ovuli in vacche diverse è fondamentale in quanto da parti gemellari si concepirebbero, in genere, un maschio e una femmina, e nel 90% dei casi la femmina risulterebbe sterile (quindi pressoché inutile dal punto di vista economico) visto che il maschio già da feto produce una serie ormoni che provocano squilibri nella sorella. Il costo dell’embrio-transfert si aggira intorno ai 300 euro.
Il vitello appena nato, viene scolostrato artificialmente (appositamente per non farlo attaccare alla mammella) mungendo il colostro dalla vacca e somministrandolo poi al nascituro attraverso un secchio annesso di una tettarella. La vacca appena partorito produce il colostro, un liquido giallastro fondamentale per il piccolo nelle prime ore di vita perché ricco di vitamine e perché gli conferisce quegli anticorpi necessari contro le infezioni, ed ha anche effetto lassativo per espellere il meconio (materiale presente nell'intestino del feto che potrebbe altrimenti causare occlusione intestinale). Dopo scolostrato il vitello verrà nutrito solo con latte in polvere (più economico di quello materno) e viene quindi separato immediatamente dalla madre, infatti in caso di allattamento naturale la bovina potrebbe poi avere problemi ad attaccarsi alla mungitrice automatica.
Come si sa per produrre il Parmigiano Reggiano (e tutti gli altri formaggi) viene utilizzato il caglio, enzimi che vengono estratti dall'abomaso del vitello (per il Parmigiano non è possibile usare altre tipologie di caglio) e per fare ciò è necessario uccidere l'animale. Oggi in realtà pare sia anche possibile prelevare il caglio evitando tale barbara procedura con una metodologia simile alla gastroscopia. Non so poi quanti allevamenti optino per questa seconda soluzione.
Nel finale spezzo una piccola lancia a favore di questo formaggio nella "disfida" col Grana: le vacche da Parmigiano Reggiano non possono essere alimentate con insilati a causa della possibile presenza di batteri Clostridium che potrebbero causare rigonfiamenti tardivi alle forme di formaggio. Questo tipo di alimento, più economico di fieno e mangimi, è invece ammesso nel Grana Padano in quanto in caldaia viene poi aggiunto un antibatterico (oggi il lisozima un tempo la formaldeide finché non si è scoperto essere probabilmente cancerogena).
Questa è la procedura adottata nella grande maggioranza delle stalle (non tutte, alcune più vivibili esistono) e la ricerca in questo ambito è sempre indirizzata verso un unico obiettivo che è quello di aumentare sempre più la produzione di latte. Le vacche grandi lattifere (nell'ambiente chiamate "campionesse") arrivano a produrre fino a 50-60 litri al giorno e vengono portate alle fiere come trofei da esposizione, senza preoccuparsi che proprio a causa di questa elevata produzione le mammelle diventano molto pesanti e provocano seri danni agli arti posteriori, sono infatti frequenti i casi di zoppie.
A questi ritmi la vita media delle vacche si aggira intorno ai 4/5 anni.
Un bel articolo al quale aggiungo un paio di note:
RispondiEliminaIl caglio è prodotto con abomasi provenienti in gran parte dall'estero (Nuova Zelanda in primis).
Vengono anche utilizzati fermenti lattici selezionati in grado di conferire aromi specifici.
Tra le razze si sta reintroducendo la vacca bruna.
Si anche la Bruna è una razza che stanno reintroducendo nelle stalle, anche in quelle da Parmigiano Reggiano. In genere negli allevamenti di collina e montagna per via della sua maggior rusticità.
EliminaBeh molto interessante e specchio fedele della nostra società abbagliata dal denaro e dimentica dei ritmi naturali.
RispondiEliminaComunque da tempo guardo con sospetto tutti i formaggi ottenuti da animali stabulati per due motivi:
-l'innaturalità della vita condotta in stalla, praticamente ferme, talvolta legate alle mangiatoie.
-il fieno anche se di ottima qualità non è un alimento sufficiente per produrre grandi formaggi di territorio ( perchè spesso viene acquistato fuori dal territorio del caseificio) perchè non ha tutte quelle componenti termolabili del fresco che con il processo di essicazione si perdono ad es.: la vitamina A e i Carotenoidi (responsabili del colore giallo dei formaggi estivi d'alpeggio). Si perdono inoltre le sfumature stagionali dei formaggi ottenuti (al Nord quelli di Maggio giugno e luglio sono i più pregiati a sud quelli di dicembre gennaio febbraio).
Altra anomalia è l'uso di mangimi che sono per lo più composti da soia e mais, semi ad alto contenuto di grassi e proteine, poco compatibili con la struttura digestiva dei ruminanti che hanno sviluppato un sistema efficentissimo di demolizione delle fibre ma decisamente poco efficiente a digerire "concentrati glucido-proteici". Questa intollerabilità fisica ai semi porta spesso a grossi problemi di salute.
I mangimi sono necessari per produzioni particolarmente spinte come quelle industriali. Per produrre grandi quantità di latte la vacca deve avere un notevole apporto nutritivo. I fieni hanno basso valore nutritivo in rispetto al volume (viceversa i mangimi), e proprio a causa dell'elevato volume le bovine riescono ad ingerirne solo un determinato quantitativo. Per questo poi è necessario integrare con mangimi per arrivare all'apporto nutritivo di cui abbisogna l'animale.
EliminaPerò grandi quantità di proteine e amidi creano problemi gravi di fermentazioni ai ruminanti e le infezioni/infiammazioni intestinali vanno poi curate con antibiotici. Una spirale demoniaca.
EliminaForse basterebbe non spingere la produttività alle soglie(?) dello sfruttamento di modo che la quantità di mangimi si possa sempre più ridurre.
EliminaUna parte (non tutto) dei nostri consumi dovrebbe seriamente rivalutare le produzioni autoctoni, queste credo livellerebbero aulcuni picchi anomali e monotematici nei consumi e di conseguenza in alcune iper-produzioni.
RispondiElimina"costringendo" a produzioni più "naturali" ed una economia locale meglio distribuita.
È giusto. Il modello corretto dovrebbe essere locale, a km limitato per una serie pressoché infinita di ragioni. Purtroppo il Parmigiano è prodotto eccellente e apprezzato ovunque, e quindi le produzioni devono esser di conseguenza. Da questo punto di vista è difficile uscirne.
EliminaÈ una macchina da soldi e le mucche ne fanno le spese.
D'altronde è anche una parte importante dell'economia che dà lavoro e forse tiene viva una parte di territorio che altrimenti sarebbe depredata da altri tipi di allevamento e/o di coltura.
L'unica speranza forse è proprio che funzionino dei paletti a delimitare le pratiche lecite da quelle meno e che questi paletti diventino sempre più stringenti dando in cambio valore aggiunto da spendere per sostenere l'eccellenza del prodotto nel mondo.
L'unica cosa che sapevo, una conoscenza recente che però mi ha leggermente sconvolto, è la presenza di ogm nei mangimi utilizzati per l'allevamento di vacche da latte destinate alla produzione di Parmigiano Reggiano, uno dei nostri migliori formaggi con un disciplinare rigido (non oso immaginare cosa succede altrove....).
RispondiEliminaTranne alcune prese di posizione di Greenpeace in un non recente passato non ricordo sollevazioni da parte di istituzioni contrarie agli ogm quali Slowfood e simili sul fatto che mangimi ogm siano permessi nel disciplinare del Parmigiano Reggiano e di altri formaggi, se qualcuno può darmi indicazioni diverse ne sarò lieto.
Sulla questione "benessere animale" si apre un orizzonte che non immaginavo, qui il lavoro si fa arduo, i nostri sistemi di allevamento industriale sono ben lontani dal tenerne conto, ma prima o poi dovranno fare i conti con il cambiamento di valori etici in corso.
Stamani ho discusso dei questo con mia moglie e alcuni amici che mi contestavano il fatto che "ormai è tutto così, tutti gli animali sono allevati con mangimi ogm, non solo le vacche da latte, ma anche i bovini da carne, i suini, i polli e le galline ovaiole...il bio costa molto di più...e poi cosa puoi fare tu da solo?!"
Ecco il punto è che io non sono solo, sempre più persone stanno prendendo coscienza di certe cose, percepiscono la realtà al di là della pubblicità devastante e stanno di conseguenza adattando stile di vita e di consumi...io non solo, c'è Andrea con me, c'è Luigi e molti altri.
Stamani ho comprato parmigiano reggiano bio per me e convenzionale per altri amici, ma forse la prossima volta la quota bio aumenterà, piano piano aumenterà.
Ci sono! ;)
EliminaPresente pure io! :)
EliminaOcchio che anche qui la bioindustria è in agguato!
EliminaNon siamo poi così pochi, ci sono anch'io. Ottimo post di Andrea, è necessario far girare le informazioni il più possibile.
EliminaSull'argomento avevamo pubblicato anche questo post http://gliamicidelbar.blogspot.it/2012/10/la-campagna-che-ci-azzecca-con-i.html vita difficile per gli allevatori tradizionali che non stabulano e non usano la fecondazione artificiale.
RispondiEliminaBell'articolo. Complimenti. Secondo me è uno dei prodotti da smitizzare, proprio per cosa ci sta dietro. Ho passato i miei primi quarant'anni bevendo un litro di latte al giorno preso direttamente in stalla, dai vicini di casa. Poi ho detto basta (lo so, c'ho messo un po' troppo, ma meglio tardi che mai) perchè non è possibile che le condizioni degli allevamenti non siano migliorate in parallelo al miglioramento delle nostre vite.
RispondiEliminaInteressanti i commenti all'articolo. Tutti volti al raggiungimento del proprio benessere fisico. Ricerca del "bio" ecc... però, c'è un però "Dopo scolostrato il vitello verrà nutrito solo con latte in polvere (più economico di quello materno) e viene quindi separato immediatamente dalla madre, infatti in caso di allattamento naturale la bovina potrebbe poi avere problemi ad attaccarsi alla mungitrice automatica." E chissenefrega se quella MADRE soffrirà quando le strapperanno il figlio. E chissenefrega se lo cercherà per giorni, inutilmente. E di quel che prova il figlio, sbattuto lontano dalla MADRE che dire? No, grazie a questa terribile ingiustizia mi rifiuto di partecipare.
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