Alice Feiring, Alessandro Mecca e Gil Grigliatti |
Qualche
giorno fa mi sono preso del tempo per andare a sentire la presentazione del
libro “Vino (al) naturale” di Alice Feiring edito da Slow Food.
Evidentemente
il mio concetto di tempo non era in linea con quello ufficiale e sono arrivato
giusto in tempo per unirmi all’applauso finale e per salutare gli amici
presenti.
Poco
importava, tanto dopo saremmo andati a cena con l’autrice e già mi pregustavo
la mia copia dedicata e autografata dall’autrice.
Tornato
a casa ho letto d’un fiato il libro e devo dire che non è proprio un libro
indimenticabile.
Però,
e qui sta il potenziale evocativo della parola e della stampa, malgrado i
contenuti siano tutt’altro che densi alcune cose e persone citate qua e la nel
libro hanno intessuto connessioni molto stimolanti con i miei pensieri.
1)
E’ tanto tempo che Enrico Togni si oppone alla viticultura degli industriali
vista come una seconda attività, come investimento di denari altrove
guadagnati, ecco, io mi univo al coro, forse per conformismo ma non capivo fino
in fondo le problematiche legate alla riduzione della viticultura a processi
normalizzati e affidati a dipendenti (bravi anche bravissimi ma che non sono
coinvolti emotivamente) sino a che nei primi capitoli del libro la Feiring non
parla per sommi capi della viticoltura Californiana e a quel punto ho capito,
almeno penso.
La
separazione fra viticoltura e produzione del vino in California è la norma e
entrambe le fasi sono strettamente organizzate come imprese industriali a sé
stanti, senza cedimenti emozionali o culturali.
C’è
chi coltiva l’uva e lo fa con i minori sprechi possibili, c’è chi la vinifica
minimizzando gli sprechi e le variabili cercando di ottenere un prodotto
commerciabile.
Nessuna
paranoia sul terroir, nessuna paranoia sul rapporto fra allevamento dell’uva e
sua vinificazione, le eventuali mancanze o eccessi dei mosti sono risolte per
via chimico enologica e non agronomica.
La
distanza fra produttore e terra è abissale, tutto si risolve con protocolli
comportamentali ottimizzati e standardizzati, ecco ora ho capito ciò che Enrico
intende!
Lui
aborre la specializzazione e la industrializzazione dell’atto agricolo che porta esclusivamente
alla banalizzazione commerciale della terra e dei suoi prodotti.
2)
Giaceva da alcuni giorni una intervista della Revue du Vin su Pacalet
omaggiatami da Giorgio Grigliatti.
Ho
cominciato a leggerla mentre, quasi contemporaneamente, leggevo il succitato
libro di Alice Feiring.
Scopro
nell’articolo della Revue che Pacalet è nipote di Marcel Lapierre (Beaujolais)
e ha conosciuto tutti i personaggi che negli anni ottanta hanno
innescato il movimento del vino naturale da Chauvet a Néuport passando da
Overnoy.
In
parallelo Alice Feiring raccontava nel suo libro le sue esperienze con le
persone e i vini di questi stessi
vigneron amici/parenti di Pacalet affiancati da intellettuali come Guy
Debord e Alain Braik che hanno dedicato la loro vita al vino “libero” e
“naturale” e ne sono pure morti, ahimè!
Molto
interessante l’argomentazione della Feiring tratta dai pensieri di Debord in
cui sostiene che il vino industriale è un vino figlio dell’immagine del mondo
(in un epoca in cui l’immagine si è fatta mondo) mentre il vino vero è il
tentativo di ritornare alla materialità delle cose. C’è molta filosofia in
questo ma è ciò che sostengo da tempo e non solo in campo enologico e spesso l’ho
fatto su queste pagine dannatamente immateriali.
3)
Alice Feiring parla dei vini di Laureano Serres che ho imparato ad amare grazie
a Niccolò.
Vini
così poco moderni e conformisti che meriterebbero un posto al Moma di New York.
Vini
bianchi vinificati in ossidazione controllata, senza solforosa aggiunta, senza
controllo delle temperature, ricchi ed opulenti e decadenti, molto poco
political correct.
Luigi
Ps
Io
avrei preferito il titolo originale “Naked wine” (vino nudo) perché la
traduzione in “vino (al) naturale” sembra un cedimento alla pudicizie piccolo
borghese e conformista e poi anche perché essere nudi con i propri difetti di
fronte a un bicchiere è simbolo di grande onestà intellettuale e coraggio.
Vino [a] nudo non gli piaceva, eh?
RispondiEliminaFarei volentieri quattro chiacchiere col traduttore...
Vino (al) naturale è stato usato in Francia, proprio dai personaggi che cito al mio punto 2 per cui il traduttore ha derivato questo titolo dalla storia del vino naturale, comunque non mi piace lo stesso, avrei preferito vino nudo.
Eliminamolto d'accordo sulla questione titolo, perfetto in americano, avrei osato Vino Nudo
EliminaIn merito al punto 1 sono ancora più integralista: non condivido nemmeno chi acquista vigneti per moda e poi fa lavorare altri (vedi vari attori, politici etc...). Se non stai in prima linea otterrai sempre un prodotto vuoto.
RispondiEliminaIl libro tutto è penalizzato da una traduzione davvero infelice, come si poteva presagire appunto dal titolo
RispondiEliminaNon volevo infierire sulla traduzione e sul traduttore...
EliminaComunque in fatto di traduzioni ho appena finito un libro in cui il sapore di legno (derivato dalle barrique nuove) è stato tradotto con "sapore boscoso"!
Kempè
La traduzione è davvero vergognosa! Ed a mio avviso è figlia della fretta di uscire sui banchetti delle trascorse fiere d'Aprile. Mi domando se Miss Feiring ne sia al corrente. Forse è una domanda scema...
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