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lunedì 12 gennaio 2015

Enofeste a tappe (aka neuroni festivi)

di Niccolò Desenzani

Il periodo delle feste di fine anno generalmente regala momenti enoici significativi. Ci prepariamo al meglio per godere i vari fasti colla speranza che siano sempre il meglio del piacere.
Non sempre le bottiglie sono all’altezza, qualche volta invece ci concediamo qualcosa fuori dall’ordinario, e veniamo ripagati.
Nel mio caso sono state svariate le bottiglie stappate, complici i vari ponti che hanno trasformato il periodo in una vera e propria vacanza.

Nei giorni precedenti le feste, ho avuto un bisogno fisiologico di Langhe, che però ha trovato solo limitata soddisfazione:
una discreta
Freisa Toetto 2010 Mascarello Giuseppe
seguita da una ben impostata
Barbera 2009 Cappellano
che però poi rimane immobile e non esplode, come dovrebbe fare una buona barbera dialogando con l’aria.
Va peggio ancora il
Nebiolo 2009 Cappellano
con qualcosa di fisso e irrisolto che ne pregiudica la beva. Cavolo io ricordo la 2006 come un vino emozionante…

La sera del 24 due sicurezze non si sono smentite:
Roncaie “sui lieviti” 2013 Menti
in forma smagliante (ma quando non lo è stato?)
e
Pian del Ciampolo 2011 Montevertine
in un periodo di splendore; ogni bottiglia leggermente diversa dall’altra, ma è sbocciato e la sua imprecisione dona momenti di vero piacere. I vini base per me dovrebbero essere come questo: grande beva, freschezza e tanti piccoli squilibri che rendono il vino sempre in movimento, mai stancante e sempre pronto a dare sorprese papillari.





Il giorno di Natale, in trasferta a Masserano, nel biellese, ho giocato in casa. Immancabili
Lessona 2009 Proprietà Sperino
Uvaggio 2011 Proprietà Sperino
sempre grandi vini che non deludono. Anzi sono un manifesto del “nebbiolo State of mind”!
La sera, la cantinetta della campagna regala un
Bramaterra 2000 Tenute Sella
in perfetta forma. Bello, senza fronzoli, senza sconti. Ferroso, sapido, antiruffiano.

Grande delusione, ma credo sia colpa di una cattiva conservazione, per il
Rosso di Montalcino 2010 Paradiso di Manfredi
con un fortissimo sentore di lana bagnata, estremo e fastidioso. Si intuisce la bella materia, ma così  è una bevuta che poco appaga.


Si parte finalmente! La sera del 27 arriviamo in Liguria, dopo un viaggio in mezzo alla pianura innevata. Fa un gran freddo e il vento ne accentua l’effetto. Così decido di aprire
Tenores 2009 Dettori
che coi suoi oltre 17 gradi mi pare in tema.
La carbonica lo pervade e equilibra una leggera tendenza dolcina. Il gusto è una ventata sferzante di macchia e chinotto. Punto d’incontro fra il buon chinotto e un barolo chinato, va giù come fosse il primo e cosa che io trovo inspiegabile l’alcool non si sente nè al sorso nè per i suoi effetti. Misteri di Badde Nigolosu (anche se mi pare Alessandro Dettori qualcosa avesse spiegato su questo miracolo).
Nei giorni seguenti studio i Nero d’Avola gemelli di Gueli:
Calcareus e Erbatino 2009 Gueli
l’uno su suolo appunto calcareo, l’altro su suoli particolari (trubi, sedimenti calcareo marnosi (gesso)). Non è facile discernere le differenze di questi due vini nel bicchiere; di certo il Calcareus, con 13 gradi alcolici, manifesta un carattere goloso al limite del ruffiano, mentre il fratello, con 13,5, ha un contegno appena più austero. Comunque vini impeccabili, che declinano il nero d’Avola in modo a me inedito. Lontano da certe espressioni ipervarietali del sud est siciliano. Davvero una sorpresa. La vinificazione è precisa e restituisce vini di un’integrità rara. Una materia a rischio di debordare, che secondo me darà il meglio con l’invecchiamento. Questa la mia impressione. Serve tempo per trasformare l’energia di quei vini in forme più sottili.

Con gioia sono tornato da Noberasco in quel di Cisano sul Neva. L’ultima volta ero stato due anni fa e il produttore usciva da una brutta malattia. L’ho trovato meglio, per fortuna. All’assaggio dalle vasche mi si conferma sempre qualcosa di vocato. E stupisce l’incredibile finezza ed equilibrio del suo
Rossese 2014 Noberasco
In poco più di tre mesi una trasformazione da uva a bevanda incredibilmente elegante.
Gentilmente mi riempie qualche bottiglia al momento. Questo rossese, che dice essere della varietà di Campochiesa, che matura solo in quel della piana di Albenga grazie alle caratteristiche pedoclimatiche particolarissime, con un saldo di petit syrah, verrà tracannato qualche giorno dopo durante un barbeque di carni bianche. Un colpo al cuore.




La sera dell’ultimo dell’anno siamo nell'Alta Langa, a Niella Belbo, da amici.
Io porto una magnum di
Prosecco 2013 Casa Coste Piane
Sempre buonissimo; universale della piacevolezza, alla faccia degli Ziliani che col Prosecco devono sempre essere astiosi.
La cena prevede pesce (e io che avevo previsto una magnum di Sangiovese Massavecchia!), così riparo con due annate di
Barbarossa 2011 e 2012 Punta Crena.
Rosato dal vitigno  omonimo autoctono della zona di Finale Ligure; dimostra un carattere molto particolare, coniugando una certa quasi dolcezza con una acidità infiltrante.
Lo
Spumante “Varigotti” Punta Crena
è abbastanza anonimo, ma rifugge da sentori bananosi e preserva in parte la freschezza della lumassina, vitigno dal quale proviene, sebbene penalizzata da un dosaggio appena troppo dolce per i miei gusti. Per 10 euro comunque una promozione meritatissima.
Buono, ma infine forse un po’ poco incisivo il
Piedirosso 2012 I Cacciagalli
Vinificazione in anfora e tutte le cure per questi vini che hanno una bellissima impostazione. La mente corre verso qualche cab franc della Loira, in zona vin de soif.





Infine l’ultimo giorno di Liguria, in astinenza da visite in cantine, chiamo Cascina delle Terre Rosse, che mi riceve con cortesia immensa e finalmente vedo dove nascono questi vini. Il posto è incantevole e la cura in vigneto è impressionante. Si lavora in regime non chimico, con inerbimenti scelti fra favino e senape e quel che serve di anno in anno. Lo sfalciato poi diverrà parte integrante del terreno. I tre vini più noti della cantina, Vermentino, Pigato e Pigato Apogeo, sono il risultato di una cura maniacale anche in cantina, ma sono prodotti che cercano consenso sul territorio, e non necessariamente fra gli enostrippati. Quindi l’obiettivo è stabilità, pulizia, limpidezza a tutti i costi; per di più con la scelta di non fare malolattica. Quindi filtrazioni spinte e solfiti intorno ai 100 mg/l. In bottiglia la qualità dell’uva è percepibile, ma siamo molto lontani dal mio gusto. Viceversa un assaggio da barrique del bianco selezione “Le Banche”, da uve vermentino e pigato, opalescente dei suoi lieviti (ancorché selezionati), fa capire quanto potenziale ci sia da queste parti. Purtroppo il Solitario, da uve granaccia e rossese, non l’ho potuto assaggiare e la bottiglia esce sui 40 €.
La sera stappo
L’Acerbina 2013 Cascina delle Terre Rosse
da uve lumassina. Conferma di qualità impeccabile, ma siamo in zona bibita. Ah, la prossima volta che sento la storia della solforosa che fa venire il mal di testa, sbrocco. È un bufala che continua a circolare.


Al mio ritorno a Milano ho convertito un bonus con l’enoteca di fiducia in una bottiglia di
Rosato 2007 Massa Vecchia
Cercavo la 2010, ma mi è capitata questa annata mitica. Peccato perché il vino, forse per la conservazione non ottimale, era ben poco integro. All’aspetto verso il marrone, manteneva ancora un po’ della sua forza in bocca, ma non era nemmeno parente del vino che ricordo nettamente dagli assaggi precedenti e piuttosto recenti. L’enotecario non è stato d’accordo con la mia valutazione e mi ha concesso un cambio con la 2010, dovendo però aggiungere metà del prezzo. Speriamo che sia buona, perché a sto punto è la bottiglia più cara che io abbia comprato da un bel pezzo!

3 commenti:

  1. La solforosa non da mal di testa, ma sopra una certa soglia (ognuno ha la sua) a me stordisce.

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  2. Anche Niccolò conferma il buon lavoro svolto dai Liguri e speriamo che duri in futuro. Sulla solforosa ci saranno sempre pareri discordanti , entrando in gioco molti particolari, nel caso specifico i 100 mg/l, per produzione non da grande distribuzione potrebbe essere al limite.

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