Pagine

venerdì 4 maggio 2012

Celler Laureano Serres Montagut, Blanc del 5 e Blanc del 2006 di Niccolò Desenzani



Credo che tutto abbia avuto inizio leggendo il post di @vinosseur.
La sua descrizione è molto evocativa, e non leggo spesso un giudizio così articolato e positivo. Quindi la curiosità è montata alle stelle.
Comunque ve lo dico subito, non ho avuto la fortuna di bere il  vino descritto da Joseph. Intanto perché si tratta di poche centinaia di bottiglie e poi qui in Italia mica è facile trovare vino ispanico naturale. Per fortuna c’è Velier che qualcosa ha, ma poi vallo a scovare in enoteca. Praticamente missione impossibile.
Però.
Lo stesso giorno in pausa pranzo, vado all’enoteca La bottega dell’arte del vino di Milano, e cosa c’è fra le tre o quattro etichette spagnole?
Laureano Serres Montagut Blanc del 5.
Mio!
E così sia.



E’ un periodo in cui mi manca di scoprire gusti nuovi. Per farla breve la bottiglia finisce nel frigo dell’ufficio, poi a casa via zaino da portatile che uso solo per enoscopi, insieme alla bici (questa la uso in generale per muovermi in città), e aperto. Bicchiere. Naso dentro.
Azzz!
Finalmente qualcosa di diverso, di mai sentito, di esaltante.
C’è anche qualche nota che mi fa esitare, forse un pelo di ossidazione sospetta, ma pare proprio un vino di quelli che danno un senso alla mia esistenza.
Esagera!
No, non esagero.
Ovvio che cerco qualche info in rete, non è che ci sia poi tanto.
Una degustazione sul sito adictosalalujuria.com che con un nome così vorrei esser io il blogger, e poi il sito del produttore e immancabile la scheda di Velier.
Vino artigianale (triple a spagnola), uso di solforosa in cantina, zero. Solo acciaio. Ciascuna varietà vinificata separatamente. Resa delle vigne, macabeu novantenni e bernaxta bianca (nome locale della garnaxta, nome catalano della garnacha), non riesco a scriverla, altrimenti mi metto a piangere.
Quella sera fra un tweet e l’altro cerco di dire qualcosa delle emozioni che mi sta dando quel vino.

-Sto bevendo una delle cose più interessanti di sempre
-Odor-sapore di zucchero bruciacchiato che è un po' mascobado un po' pancetta. In bocca mi ha ricordato note del fiano picariello.
-Sta evolvendo verso lidi di profonda mineralità e dalla sabbia dell'ossidazione spunta ora un frutto fresco come giglio nel deserto comunque sontuosissimo! E un bel po' di ossidazione!
Un po’ retorico, ma come fai a non esserlo quando senti qualcosa di così spiazzante.
Quella sera @vinosseur mi replica su twitter:

-oi yoi yoi! When you drink a good bottle of Serres, you die & go to heaven!

Forse già il giorno dopo vado a prendere le ultime bottiglie. Lo so che son le ultime. Tre. Una la scarto, perché oltre a parecchia feccia visibile nella bottiglia, e ciò è bene, il livello del liquido è praticamente sotto l’inizio del collo, e ciò è male.

Quindi due, di cui una sospetta.
La sospetta va dritta in frigo. Pronta per fare da riassaggio, se sarà buona.
La domenica stessa viene a Milano Vittorio aka @tirebouchon, sono emozionato. La prima volta che ci incontriamo.  E’ venuto per la fiera, ma io non posso lasciar sfuggire l’occasione.
Dopo un aperitivo antimeridiano a base di barbacarlo 1989 alle Cantine Isola azzardo un improbabile invito a pranzo a Vittorio, che con mia somma gioia accetta senza tentennamenti. Non gli andrà molto bene col cibo, risotto saltato della sera prima (il risotto era fatto con tutti i crismi, comunque), ma quello che ho di speciale voglio condividerlo. In vista e prima de “la barbera più buona del mondo”, esco prontamente dal frigo la bozza di “Blanc del 5”.
Apriamo. Ahi ahi, madeira, marsala, voi come lo chiamate? Sì quello. Andata. Bye bye.
La mia stima per Vittorio è definitivamente consolidata quando vedo che comunque lui prova a sentire il vino, a dargli una possibilità. Anch’io sono così, prima di lasciarlo andare, nulla lascio di intentato.
E bisogna dire che nonostante il difetto inequivocabile, il liquido manteneva comunque un fascino. Cioè se non avessi avuto in mente di cambiar la bottiglia, me la sarei bevuta.
Se ho fatto bene i conti me ne manca una.
Più questa da provare a cambiare. Ma con cosa?
Quando torno con il pieno, aperto, all’enoteca, scopro che lo scaffale è stato rifornito. Stesso vino, ma nuovo anno: “Blanc del 2006”. Etichetta un po’ diversa. 1250 bottiglie invece di 1200. Forse anche il blend leggermente diverso.
Mio!



L’ultimo “Blanc del 5” è in fresco e decido di condividerlo con i miei genitori, a un aperitivo. E’ perfetto, un filo più fresco del primo assaggio, leggermente meno ossidato, ma comunque già su quella via. Tanto che mia madre mi sorprende dicendo che le ricorda qualcosa di bevuto in Portogallo anni prima, forse un porto secco. Io godo con quella punta di dispiacere che insinuano le ultime volte. Già aver avuto fra le mani quattro bottiglie di 1200 a distanza di 5 anni dall’imbottigliamento mi rende un outlier statistico. Quindi non credo che riberrò mai questo vino.
Infine il 2006.
Lo apro un venerdì sera e lo finirò il lunedì successivo. Una perfetta degustazione in stile @vinosseur.
Non divido in giorni la descrizione, perché se è vero che il vino evolve nel tempo, rimane comunque con la sua ben definita personalità. Noto, a conferma del primo assaggio del 2005, che la dinamica del vino si gioca principalmente su tre aspetti della zuccherosità (non sto parlando di dolcezza, ché il vino è secco): la zuccherosità di zucchero integrale, l’ossidazione che nel 2005 era evidentissima e spingeva verso sentori di bruciaticcio e affumicato (lo metto nella zuccherosità, perché ricorda in fondo la caramellizzazione e credo si possa argomentare anche a livello molecolare), la mineralità fresca, che è un po’ la sorpresa e forse la cosa più esaltante. Non una mineralità a cui siamo abituati, acida, di pietra, ma piuttosto una freschezza sontuosa , quella che si realizza all’incrocio con l’ossidazione e dove c’è tanta ciccia.
Se non esistesse già la categoria dei vini gialli (vins jaunes), l’avrei volentieri inaugurata per questi bianchi. Credo che oltre il vitigno, il risultato provenga dalla scelta di lasciare il vino a lungo sulle feccie senza preoccuparsi di ripulirlo, nemmeno in fase di imbottigliamento, dove questa sostanza rimane ben presente. Questo, insieme alla concentrazione da basse rese secondo me rende conto di una materia di consistenza imponente. Infine ho il sospetto  che alla cieca verrebbe tranquillamente preso per rosso. Nonostante non ci sia stata macerazione sulle bucce.
Dunque dicevo: zuccherosità complessa.
Il profumo mi ha ricordato frutta, come mango e papaja, non tanto per gli aromi, ma per il collegamento diretto alla carnosità. La mineralità si percepisce già col naso in un quadro balsamico, dove fa capolino un refolino sulfureo di zolfanello.
Che si ritrova in bocca in una tessitura di acidità media, consistenza masticabile, spalla alcolica robusta. I richiami sono al rosso d’uovo, allo zafferano, al mascobado; ma anche all’anice, e forse all’eucalipto. Fresco e alcolico insieme.
A più riprese rimaneva un ricordo di amaretto.
Un vino che nonostante lo spessore spaventoso, va giù con soddisfazione e facilità.
Glu glu glu come dice Luigi, o glug glug glug come dice  Joseph.
Bonne dégustation!
Niccolò


PS Sono convinto che bere questi vini giovani sarebbe un’esperienza diversa. Già la diversità da bottiglia a bottiglia fa intuire una sana instabilità e la zona dove si gioca la peculiarità di questi vini è mutevole, sente il passare del tempo e delle condizioni.






4 commenti:

  1. Il Macabeu o Viura con la Garnacha Blanca e i nostri Cattaratto e il Grillo sono grandi vitigni con una naturale propensione alle mollezze ossidative tipiche dei vini mediterranei e alla ridondanza alcolico e materica.
    Questa la premessa per dire che mi piacciono da pazzi e non vedo l'ora di assaggiare il Mendall.

    RispondiElimina
  2. Bellissimo post Niccolò. Complimenti anche a Luigi per averlo ospitato. Andiamo avanti con la scoperta del terroir catalano e ne scoveremo delle belle... #seekerwine in action

    RispondiElimina
  3. Bravo (e grazie) Niccolò!

    Il modo in cui descrivi un vino è come se fosse lì con te a degustarlo! Fantastic! E 'solo un peccato che i vini di Serres sono così difficili da trovare! Viva la nueva España!

    RispondiElimina
  4. @Luigi Hai colto il punto parlando di "mollezze ossidative" e "ridondanza alcolico e materica". In questi vini a base maccabeu c'è però tutto il lato di "zuccherosità", che invece nei catarratto e grillo è per mia esperienza molto poco sviluppato a favore degli aspetti più sapidi. Credo poi che la lavorazione, per dire anche la quantità e la qualità della feccia sulla quale lasciare il vino sia un tema da approfondire. A livello di materia e stile mi ha ricordato il pignoletto di Alberto Tedeschi di quegli anni.
    @gastrofanatico per me davvero una sorpresa e dal sito adictosalaujuria si può partire per un viaggio nel vino naturale spagnolo, con prima tappa la Catalunia.
    @vinosseur Grazie, inevitabilmente quando la produzione è così ridotta si farà sempre fatica a trovare il vino! Ma non ci arrendiamo. Sarei davvero curioso di assaggiare il macerato di cui racconti nel tuo post. Comunque sono morto e il paradiso l'ho visto ;-)

    RispondiElimina