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venerdì 26 aprile 2013

Macerazioni e tipicità: riflessioni pseudofilosofiche di Andrea Della Casa


La vinificazione con macerazione è pratica molto comune per i vini rossi. Un pò meno per quelli bianchi anche se ultimamente sono molti i produttori che mantengono per un certo periodo di tempo questi ultimi a contatto con le loro parti solide. In questi casi il vino si presenta organoletticamente molto diverso dai bianchi classici che siamo abituati a bere, tanto da far sostenere a molti che le macerazioni compromettono la tipicità del vitigno.
Affermazione che mi fa riflettere.
Tipico è un qualcosa di caratteristico, proprio di un luogo o di una cosa, quindi per tipicità di un vitigno si intendono i suoi caratteri organolettici espressivi, le sue peculiarità che lo distinguono nettamente dagli altri.
Le macerazioni influiscono sulle caratteristiche del vino (in modo più o meno incisivo anche in base alla durata dei tempi di permanenza sulle bucce) perciò se assaggiamo per esempio un Sauvignon macerato ed uno vinificato in bianco ci sembreranno due vini diversi.
Ma chi ha deciso che le caratteristiche peculiari di questo Sauvignon siano le une o le altre?
Penso sia solo una questione di paradigma. Abbiamo assunto come punto di riferimento le caratteristiche ottenute da mosti subito svinati perchè siamo sempre stati abituati a bere vini prodotti in questo modo, e per lo stesso motivo individuiamo caratteri ben riconoscibili nei vini rossi ottenuti con macerazione.
La buccia e altre parti solide, diverse per caratteristiche biologiche da varietà a varietà, sono componenti integranti della bacca e come tali capaci di donare elementi distintivi al vino, per questo credo che la peculiarità del liquido odoroso (cit.) sia data dall'acino in tutte le sue parti, che interagiscono tra loro e con l'ambiente esterno.
Poi preferire l'una o l'altra tipologia di vino è voce del gusto soggettivo.

30 commenti:

  1. Per la mia esperienza dei bianchi macerati - confesso non vastissima - a parte qualche eccezione molto spesso straniera- mi sono ritrovata nel bicchiere vini molto simili tra loro dove mi è stato molto difficile riconoscere la varietà. Limite mio? Forse, ma sono propensa a credere che nei vini bianchi sia più difficle ottenere un prodotto che sia tipico, cioè riconoscibile. PArlerei quasi di omologazione al contrario. My two cents. Ciao

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    1. Ciao Maria Grazia,
      da un lato sono d'accordo con te, anche a me è capitato in alcuni casi di trovarmi di fronte a vini molto simili tra loro. In altri invece una adeguata macerazione conferiva caratteristiche organolettiche (a mio gusto) molto interessanti. Spesso le macerazioni sono eccessive, troppo spinte, e tolgono eleganza e peculiarità al prodotto. Non so, forse mi vien da pensare che il problema sia nei tempi e nei modi con cui il liquido sta a contatto con le bucce.
      Grazie per essere passata e per il tuo contributo. :)

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  2. Nella mia piccola esperienza di produttore ho provato vinificazioni sia con che senza contatto con le bucce, chiaramente si ottengono prodotti diversi con peculiarità diverse.
    Se si vuole mantenere una tipicità del vitigno, nel caso di vini non da uvaggio, bisogna la vorare bene con i tempi e le temperature altrimenti si rischia di avere un vino, magari buono, ma che non conserva niente delle caratteristiche organolettiche del vitigno.
    IMHO naturalmente.

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  3. Anche per i macerati - bianchi o rossi che siano :-) c'è chi lavora bene e c'è chi fa vini che sembrano "stanchi" dalla macerazione (e quindi yes in un certo senso omologati come dice MGM), e questo sembre dipendere meno dal tempo di macerazione che da altri fattori che si riassumono nell'attenzione che il vigneron porta alla sua materia. Per vini macerati (white or red) ho spesso notato che quelli che mi piacciono di più sono vini con i quali non solo le bucce ma anche il vigneron ha contatto frequente (ci immerge il braccio, assaggia, monitora, morde le bucce, ecc.) in un feedback continuo che governa poi le sue decisioni. Quindi per forza piccole cuvées accessibili.

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    1. Sono d'accordo con te Mike, le cure e le attenzioni del vignaiolo durante la trasformazione dell'uva sono fondamentali per elevare il livello qualitativo del vino. Sia per macerati che non.

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  4. Bella questa categoria dei vini "macerati col produttore"! Certo il buon senso/gusto è quasi sempre riconducibile alla sensibilità/capacità/dedizione/esperienza del creatore.
    Tuttavia come ho già sostenuto altre volte, ho l'impressione che anche la bacca/vitigno sia più o meno predisposta alla macerazione e, ovvio, ogni bacca ha le sue peculiarità e va ricercato l'equilibrio che le è proprio.
    Per esempio le macerazioni estenuanti su bacche aromatiche (penso alla malvasia di candia, all'Ageno o al Vej Bianco) spesso hanno un "benefico effetto" di dearomatizzazione e, assaggiate per credere i vini di Armani, spesso il risultato nel bicchiere è fresco ed espressivo addirittura della geomorfologia della vigna. In altri celebri casi come Radikon, abbiamo assistito a una serie ormai lunga di esperimenti e dalla vinificazione in bianco è arrivato fino a mesi per poi tornare indietro. Io ricordo gli assaggi delle annate 2002 e 2003 come splendidamente equilibrate e la 2005 come molto più inerte. Comunque anche solo confrontando Oslavje e Ribolla si riscontrano effetti della macerazione completamente diversi. Potrei andare avanti con esempi di vini orange tradizionali, come il Trebbiano di Collecapretta o i Pigato di ponente, Pignoletto e Ortrugo... infine da menzionare il lavoro continuo di sperimentazione di Maule sulla garganega e il recupero della Georgia di Gravner... Ogni bacca, territorio, clima, vignaiolo quindi ha una possibile interpretazione della macerazione e secondo me è sacrosanto riconoscere agli orange wine una categoria, come ai bianchi in bianco, ai rossi, ai rosati etc
    Potrei andar avanti, ma poi Luigi mi dice che potevo farci un post ;-)

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    1. Sono d'accordissimo con te Niccolò specie sul riferimento alle annate di Radikon. Al di là della predisposizione di bacca/vitigno, altro punto su cui mi trovi d'accordo, a volte mi chiedo: ma l'andamento climatico delle annate incide per stabilire se sia più o meno il caso di macerare?

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    2. Sono d'accordo con Niccolò, trovo interessante la macerazione sugli aromatici perchè smorza questa caratteristica senza cancellarla. La malvasia è un ottimo esempio ma anche un sauvignon, se la macerazione non è eccessivamente spinta, puo' essere ancora riconoscibile. Se avessi una vigna di Gewurztraminer, che in genere non amo, credo che un esperimento lo farei :-) Dovrei chiedere a Nicoletta Bocca ma secondo me la porzione di Traminer nel Coste di Riavolo (che non bevo da un po') fa la differenza. Poi è questione di gusti, ed è anche vero che territorio, produttore e storia (Gravner e Radikon lavorano ormai da vent'anni in questo modo) dicono la loro contribuendo a rendere vario e ancora stimolante (leggi non-omologante) il mondo dei bianchi macerati sulle bucce. Però chiamarli "orange" mi pare esagerato : ad esempio una malvasia di Donati o un Ortrugo di Croci non subendo macerazioni eccessive, assumono queste caratteristiche solo dopo diversi anni in bottiglia forse per effetto di una lenta evoluzione ossidativa. Ci sono tante variazioni sul tema difficilmente classificabili.

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    3. A mio parere anche l'albana è un vitigno che trae buoni vantaggi da una giusta macerazione.

      @Patrizia se partiamo dal presupposto che la bacca/vitigno ha un buona predisposizione per la macerazione mi viene da dire che l'andamento climatico più che se macerare o no potrebbe suggerire la lunghezza dei tempi di macerazione.

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    4. @Nic io parlo di considerare i macerati come tipologia, perché mi pare che ci siano sufficenti caratteri per identificarli nella maggior parte dei casi. Poi si sa di eccezioni è pieno: il Pinot Grigio di Bressan è un rosato, il Rosato di Massavecchia un quasi rosso, qualche vermentino barriqato sembra orange... e @paola più che una connessione coll'annata è riscontrabile: mi viene in mente la Malvasia di donati 2009 che pare un orange rifermentato e la versione 2010 molto più in bianco, citrina e sbarazzina. O lo stesso Ortrugo di Massi Croci, che nel 2009 è una miscela per me irresistibile di macerazione, ossidazione, rifermentazione, mai più ritrovata nelle annate successive ;-)

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    5. Accidenti Niccolò quanto condivido i tuoi giudizi sui 2009 di Croci e Donati, forse le mie migliori bevute emiliane. Non sai quanto sono pentito di non averne tenuta nemmeno una bottiglia.

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  5. Piccola parentesi. Sbaglio o esiste spesso una correlazione tra macerazione e maturazione ossidativa? Ho l'impressione che "orange" come colore derivi spesso da quella combinazione. E' possibile che l'effetto di omologazione che notava MGM venga piuttosto dall'élévage? Anfore o barrique non colmate che danno sentori e colori di frutta secca o di arancia amara (di terra o di cera per le anfore) coprendo le caratteristiche varietali e sostituendole col "rancio" dei vini di Perpignano o di Porto? Alcuni macerati bianchi (con élévage riduttivo?) non mi sembrano così marcati, né nel colore che negli aromi. Così, chiedo...

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    1. Mike,
      pensieri, i tuoi sull'elevage a ossidazione (più o meno controllata) che stavano facendosi largo anche nel mio cervello.
      Ultimamente mi chiedevo infatti se le fermentazioni in rosso dei bianchi in tini aperti, con cappello di bucce e le numerose follature non fossero loro la causa di una più o meno marcata ossidazione degli orange e non necessariamente un obiettivo ricercato dal produttore, di sicuro questa tecnica porta spesso a volatili molto alte prossime a 1 g/l (e questo mi è stato confermato da un paio di produttori).
      Alcuni vini bianchi ottenuti usando moderate porzioni di massa macerate e il resto vinificato in bianco (con procedimenti riduttivi) mantengono mediamente più eleganza e io oggi cerco più eleganza che non gli schiaffi olfattivi degli orange estremi, comunque è un mio gusto momentaneo e non vuole diventare dogma.

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    2. Luigi, 10 anni fa quando gli orange non erano moda ero molto tollerante di alti livelli di volatile o acetaldeidi. Facevo slowlab del gusto sui "vins sauvages". Oggi rimango più che tollerante ma preferisco vini più puliti, con eventuali eccezioni quando le devianze sono originali e/o frutto di un incidente in qualche modo controllato (o voluto o come minimo compreso) dal vigneron. Uno abbastanza elegante provato di recente, credo macerato, Barraco.

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    3. Secondo me la riconoscibilità dei macerati in quanto tali si determina principalmente prima della svinatura. Non che questo aiuti a dare una risposta univoca, visto che quello che può avvenire prima della svinatura è molto vario e disparato! Sul fatto che la caratterizzazione degli orange sia da ascrivere più all'ossidazione che al mero contatto con le bucce, non sono molto convinto. Se mai le due cose possono concorrere, ma pensando alla vinificazione tradizionale nei qvevri georgiani, mi pare che avvenga in situazione altamente riduttiva (le anfore se non sbaglio sono accuratamente sigillate e coperte di sabbia), con un risultato orange per antonomasia. Comunque di una cosa io sono convinto: le bacche bianche sono sostanzialmente diverse da quelle rosse e la loro macerazione è un processo chimico di natura diversa (anche a parità di processo di vinificazione).

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    4. Mmm...non so Nic, non sono convintissimo della tua ultima affermazione. Credo che le sostanze nelle uve rosse e bianche siano diverse, ma il processo con cui passano nel liquido e con questo si fondono non lo vedo così differente.

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    5. È diverso anche quello. Inoltre sono diverse anche le sostanze che vengono lasciate dalle bucce delle uve Rossella quelle delle uve bianche molto più ricche di precursori aromatici che devono essere salvaguardati, cosa che la lunga macerazione non fa.

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    6. Grazie Davide per l'intervento chiarificatore. :)

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  6. Per la mia piccola esperienza, ho l'impressione che i bianchi macerati abbiano bisogno di molto tempo per assestarsi. Come dice Maria Grazia, non sono riconoscibili da giovani ma, col tempo ritrovano una traccia di tipicità che la lunga macerazione aveva nascosto. Il valore del vigneron sta nel tenere vivo il vino, in modo che possa durare tanto da potersi esprimere al meglio nel tempo giusto. Sono d'accordo con chi dice che sono spesso omologati nel gusto, questo perché vengono immessi sul mercato non ancora pronti.

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  7. Concordo con Niccolò, nel senso che, non tutti i vitigni a bacca bianca sono in egual modo predisposti alle lunghe macerazioni. Infatti anche nei vini da vitigno a bacca rossa, il periodo di macerazione da varietà a varietà, può cambiare anche di parecchio.

    L'altra sera, ad esempio, ho portato ad una cena-degustazione un "macerato" preso recentemente a Gustonudo. Ricordavo solo che era da monovitigno e aprendo la bottiglia ho affermato: "dovrebbe essere Ortrugo in purezza, ma non ne sono certo!" Beh, appena è stato messo al naso, è stato chiaro a tutti che il vitigno era Malvasia (6 mesi di macerazione). Tutti hanno chiesto se era un vino di Giulio Armani, ed effettivamente è una piccola e nuova azienda vicina alla sua. P.s. Il vino della serata! :-)

    Probabilmente la strada dei bianchi macerati è solo all'inizio, i produttori stessi stanno facendo delle prove, di conseguenza a volte ci si trova davanti a delle standardizzazioni. Ma in altri casi, capita di trovare il paradiso.

    In ogni modo, ultimamente se devo scegliere tra un vino bianco o un macerato, scelgo sempre il secondo.

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    1. Non penserai di andartene così facilmente, qual è questa cantina piccola e nuova vicino ad Armani??? :)

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  8. Riflessioni molto interessanti, come i successivi commenti. Probabilmente, per quanto mi riguarda è un argomento molto, troppo complesso, ad oggi. Quindi mi limito ad una domanda:
    Non potrebbe essere semplicemente che sulla tipicità di un vitigno con un determinato metodo di vinificazione abbiamo ancora scarsa cultura?
    Infatti ad istinto concordo con le parole di Andrea quando scrive "Abbiamo assunto come punto di riferimento le caratteristiche ottenute da mosti subito svinati perchè siamo sempre stati abituati a bere vini prodotti in questo modo, e per lo stesso motivo individuiamo caratteri ben riconoscibili nei vini rossi ottenuti con macerazione".

    Quando parliamo di "tipicità" solitamente lo facciamo in primo luogo da un'analisi visiva, andando a valutare il colore, le sfumature e la trasparenza e comunque ci parametriamo alla nostra esperienza passata su un determinato tipo di vitigno. Con una macerazione sui bianchi e quindi in assenza di esperienza, cultura ed informazione, probabilmente persone come me potrebbero andare in crisi dal momento in cui il vino è nel calice.

    Inoltre bisognerebbe valutare anche altre varianti e quindi concordo con "desenzani" quando dice "ho l'impressione che anche la bacca/vitigno sia più o meno predisposta alla macerazione e, ovvio, ogni bacca ha le sue peculiarità e va ricercato l'equilibrio che le è proprio".

    Tuttavia credo che alcune caratteristiche peculiari di ogni bacca dovremmo pur sempre ritrovarle, da quelle che si contraddistinguono per un nerbo acido elevato a quelle che lo fanno su una determinata aromaticità o sapidità.

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    1. chiamami Niccolò ;-) desenzani tra virgolette mi ha fatto dubitare di esistere veramente!

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  9. Sono contento che in tutto questo scambio di idee la parola tipicità venga usata strettamente per il vitigno. Perchè la tipicità del territorio è un concetto pericoloso, omologatore, cioè non esiste, o connota il peggio della zona, cioè quello che fanno tutti, o quasi. Mentre conta quello che fa l'altro... ;-) (non sparate).

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    1. Mike, tranquillo non sparo :-) ma dissento con forza. E ti propongo questa lettura solo come esempio chiaro e bellissimo sebbene non abbia nulla a che fare coi bianchi macerati http://gustodivino.it/home-gusto-vino/zia-peppa-e-i-profumi-di-sardegna-il-cannonau-a-territori-unificati/mario-crosta/3618/

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    2. Bellissimo articolo Nic. Non ho scritto che non esistono terroir o suoli... lungi da me... volevo dire che è pericoloso quel concetto di tipicità che viene abusato dai comitati di agrément (o l'equivalente vostro in Italia) delle denominazioni controllate per definire "democraticamente", cioè con le pressioni dei produttori industriali, quello che è tipico della zona e soprattutto quello che non lo è.

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    3. Grazie Nic per il suggerimento: una vera chicca!

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  10. Intanto +1000 per Mike, che ha detto un paio di cose su cui rifletterò per qualche giorno.

    I miei due cents che anticipavo ad Andrea ieri in realtà sono solo uno, semplice semplice.
    Qualunque tecnica usata dal produttore dovrebbe essere considerata (da questo e dall’altro lato del tavolo di degustazione) solo un mezzo, non un fine in sé. Voglio dire: che tu usi anfore o tini in acciaio, che tu faccia macerazioni lunghe o pressi appena raccolto, che tu lasci il cappello compatto oppure programmi la pompa di rimontaggio ogni quattro ore, l’obiettivo è – o dovrebbe essere – il vino.
    Il vino di volta in volta, annata per annata, a seconda del vitigno (meno importante il vitigno secondo me, ma ci sta), dell’età delle piante, della vita che hanno avuto, se hanno avuto malattie importanti o no, e se riescono a conviverci e come, a seconda della potatura e di come prendono il vento e tutte quelle cose che a noi sembrano minuzie ma che in realtà fanno la differenza tra un vino e l’altro.

    Il vino per sé, secondo la sua espressione in relazione al pezzo di terra dove vive quella vigna e a te che lo fai e che cerchi di capire l’uva per portarla dove lei vuole andare. La tecnica che usi dovrebbe avere solo questa finalità: portare l’uva a diventare il vino che è nata per essere.
    Certo, non ci arrivi mica in un giorno, o in una vendemmia. E ogni vendemmia, che devi lavorare cinque, sei, dieci tipi di uve da vigne diverse, ogni volta devi prenderti la responsabilità di capire che cosa devi fare per avere il minor impatto possibile su quell’uva, per snaturarla il meno possibile, perché sia lei a parlare in quel vino, non tu.

    E’ così che scegli la tecnica da usare. O almeno, è così che faccio io. A volte va bene la macerazione, altre volte no. Se riesci a farlo, al di là della tecnica che hai usato, è un piccolo miracolo.

    Baci,
    M.

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    1. Un cent di gran valore Marilena!
      Penso che tu sia andata ben oltre le righe del post portandomi a ragionare su un concetto a cui non ero arrivato.
      Forse la vera tipicità è proprio l'essere dell'uva, insita, quell'io che cerca di esprimere di anno in anno, di vendemmia in vendemmia.
      Da rifletterci.

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    2. E' per questo che il vitigno mi interessa solo fino a un certo punto... E'importante il corredo genetico, ma non più delle condizioni di vita delle piante e della loro relazione con l'ambiente. Quell'uva, in quella terra, secondo le condizioni ambientali di quell'annata. E secondo le emozioni che ti trasmette nel momento in cui è pronta per essere raccolta e lavorata. Una ricerca che non basta una vita...

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