“Questa
collina orientata nord sud si chiama Serramasio dallo spagnolo sierra”
Poche
parole di Gianluigi Bera, innamorato della storia dei suoi luoghi, dipingono un
mondo incredibilmente lontano da noi, fatto di mercenari spagnoli al soldo del
Marchesato del Monferrato o dei Savoia o dei Visconti o della Contea Astesana e
delle continue guerre e annessioni e alleanze.
Un’epoca
in cui Asti e l’Astesana, Casale, Alessandria e il Marchesato del Monferrato erano
potenze economico militari che contavano molto nello scacchiere politico
militare dell’Italia del nord.
Bera
continua dicendo: “io sono Astesano non Monferrino, il Monferrato, è stata un’entità
per lo più politica che si estendeva su un territorio molto vasto e variegato
da Casale Monferrato a Volpiano vicino a Torino, Alba sino a Vercelli” (anche
fino Varese, Milano, Genova ndr).
Pochi
minuti e Vittorio Rusinà ed io eravamo travolti dalla cultura storica di
Gianluigi, segno di un radicamento profondo e tormentato con i suoi luoghi e le
sue tradizioni che lo hanno portato sin dall’inizio al rispetto della terra e
della vita in essa contenuta.
Perché
il voler essere bio non è solamente la volontà di avere prodotti sani e digeribili
(il vino in fondo in fondo sano non è, l’alcool è pur sempre tossico) ma è il
segno tangibile del rispetto verso la vita. Un attitudine etica e la volontà di
non chiamarsi fuori dalla natura ma di farne parte perché:
“Questo noi sappiamo: la terra non appartiene
all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra.”*
Gianluigi Bera |
Ebbene
eccoci ospiti della famiglia Bera in un giorno di metà gennaio, la neve copriva
i le colline, dopo goffi e scivolosi tentativi di passeggiare nei vigneti di
fronte a casa, abbiamo visitato la cantina, attrezzata con le autoclavi (in
acciaio smaltato) e i circuiti isobarici per la produzione di moscato e le
vasche in cemento per il resto dei vini fermi.
Un
piccolo filtro olandese faceva mostra di sé, simbolo di epoche passate e di
sistemi di lavoro ormai inconcepibili. Il vino filtrato con questo metodo tutto
in ossidazione, all’aria a contatto con decine di attrezzi, mani, filtri in cotone,
per mantenere una qualche bevibilità doveva aver una “materia resistente” fuori
dal comune e infatti Gianluigi ci diceva che gli areali di produzione del
Moscato erano molto più ristretti rispetto a quelli odierni, ossia erano solo
quelli dove l’uva dava grande qualità e ricchezza nei mosti, gli unici che
avrebbero resistito allo stress di questa filtrazione e Canelli ricade in
questi luoghi in cui terreni, radici, foglie, sole, uomini tutti uniti simbioticamente
danno il loro meglio.
Mangiando
e chiacchierando con il sole, che finalmente perforava le nuvole, abbiamo poi
assaggiato:
l’Arcese
2010 un bianco a base cortese, sauvignon, favorita col frizzo della malolattica
terminata in bottiglia, io amo l’Arcese, quando la carbonica è un po’ alta è
fenomenale.
Poi
la Barbera Verrane 2010 lievemente frizzante, dico solo che era glu glu!
Poi
il Dolcetto d’Asti Bricco della Serra 2009 una rarità nel vigneto astesano (mi
veniva da scrivere monferrino) molto buono, molto atipico, forse l’anello di
congiunzione tra il Dolcetto di Langa e quello di Ovada, il tannino si
arrotonda e il sorso si fa più terroso.
Poi
la Ronco Malo, una Barbera d’Asti sia la 2009 sia la 2010 so2 free
imbottigliata per una fiera Spagnola “H2O vegetal”, introverse e “ctoniche”
quasi in contrappunto alla “cosmicità espansiva” del moscato, sanguigne e
anch’esse terrose, per poi aprirsi verso toni più aromatici, insomma una
barbera atipica ma vibrante, la sensazione è che le Barbera di questi posti da
“Moscato” siano il “sangue dolce” della Barbera.
Poi
il Moscato 2010 grasso ed opulento.
Poi
un Moscato del 1986 il Bulles Endormies (dimenticato in cantina per lungo
tempo) che era lì preciso e dritto nel bicchiere e incarnava la potenza e la
longevità di questo vino sublime, intriso di cedri canditi e fiori confit e la
sferzata sapido salina tipica di Serra Masio.
Poi
il Moscato Leonardo un “vin moeullex” (sarebbe “amabile” il termine italiano ma
mi ripugna) a 13,5% vol di alcool e 30 gr/l di zuccheri riduttori, da ostriche
de Belon, ottenuto da un “super mosto” così per sfizio.
Il
Moscato di Gianluigi e Alessandra non teme lo scorrere del tempo e soprattutto
per come lo vinificano, con delicatezza e scarso intervento tecnico esterno,
segna molto le annate per cui il 2010 che amo molto è ricco quasi opulento,
grasso il 2011 è più tagliente e quasi citrino con acidità e sapidità
accentuata, il 2012 sembra ricordare il 2011 per freschezza e verticalità
agrumata e salviosa.
Che
non manchi mai una bottiglia in cantina.
Kampai
Luigi
Nella mia ancor scarsa conoscenza enologica il Moscato di Bera è stato presente in un Giorno molto gioioso della mia vita..
RispondiEliminaLeggendo le tue parole apprezzo ancora di più questa scoperta,è bellissima la foto della vigna infreddolita ma poetica.
Seguo quindi molto volentieri il prezioso suggerimento: "che non manchi mai una Bottiglia di Moscato in cantina": infatti ce n'è giusto una che mi aspetta..
Grazie per un altro pezzetto di Monferrato:grande puzzle di terra e di cuore
Il Ronco Malo lo ricordo come uno tra i migliori assaggi di #barbera3 e il suo Moscato di cui ho tanto sentito parlare è ancora una bevuta che sto inseguendo.
RispondiEliminaP.S. il Leonardo lo comprerei anche solo per l'etichetta! ;)
un sacco di cose nuove. Mai lasciare passare gli anni tra visite in cantina... rimedierò
RispondiEliminaLa visita dai fratelli Bera è sempre molto piacevole e si scoprono cose molto interessanti.
EliminaTi/vi segnalo che alle #ddb di terroir vino a Genova il 17 giugno ci sarà in degustazione, insieme ad altre Barbera, la Ronco Malo 2010.
Con Vittorio, inoltre, stavamo ragionando su un possibile #moscato1 in quel di Canelli.
a #moscato1 voglio i francesi si sappia :) @MikeTommasi
EliminaMa che bel post!
RispondiEliminaNegli appunti fatti a #barbera3 della "Ronco Malo" ho scritto: qualcosa mi riporta ad alcuni assaggi di PaneVino. Così, per dire!
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