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venerdì 27 gennaio 2012

_agricoltura alto artigianato_

Agricoltura, attività di alto artigianato.
foto Stefania Giardina

E’ un periodo, infausto e litigioso, in cui si affronta, nei blog soprattutto, il biologico nel mondo del vino come un fenomeno a la page, figlio di comportamenti alla moda, transitori e vacui e si perde di vista l’elemento fondante che è il progressivo depauperamento dell’humus, della vitalità della terra.
Il ritorno a pratiche delicate, rispettose e che abbiano come tema centrale il suolo e la sua complessità microbiologica sono ormai una necessità per la sopravvivenza dell’agricoltura stessa.
Le pratiche colturali odierne vedono il suolo come un substrato inerte che non merita attenzione.
Non sono io a dirlo ma esperti microbiologi e agronomi che stanno avvertendoci della progressiva perdita ponderale e qualitativa del consorzio microbico.
“Quasi tutte le piante del mondo sono associate a micorrize, con l’eccezione di alcune specie litoranee che crescono su suoli salati in cui questi funghi non vivono.(…) Le altre specie coltivate (in particolare l’aglio ndr) sono fortemente associate a tali funghi simbionti. Ignorando queste associazioni sottili, l’agro-industria incoraggia gli agricoltori a spargere massicciamente i superfosfati sui suoli coltivati. Ora, questi concimi (e i diserbanti ndr) industriali distruggono le micorrize, rendendo così le piante coltivate dipendenti dai concimi, un po’ come un drogato che non può più fare a meno della sua droga. La distruzione del mondo dei funghi da parte dei superfosfati è, con l’aratura e l’irrigazione, uno dei fattori che uccidono la vita dei suoli. I funghi rappresentano come peso, i due terzi dei microbi del suolo. Essi decompongono la lettiera in humus, nutrono le piante di fosfato e servono da alimenti a numerosi micro-artropodi del suolo. La loro scomparsa nei campi soggetti a coltura intensiva comporta la lenta estinzione biologica dei suoli, il loro ingresso in una dinamica di morte.” C.e L. Bourguignon, “Il suolo un patrimonio da salvare”, Bra, 2004.
Le micorrize e il complesso rapporto che instaurano con i vegetali determinano, in qualche misura ancora da verificare con certezza, certe specificità dei prodotti.
Certi sfumature organolettiche territoriali, dai peperoni ai cardi alle uve, non si spiegano solo con la pedologia ma paiono esserci nuovi orizzonti di comprensione nel lavoro dei microbiologi che stanno studiando le interferenze dei microbi sul dna delle piante sia nelle radici sia nella parte aerea.

foto Stefania Giardina


Il territorio agricolo (tralasciando quello naturale oramai assediato e parcellizzato dalle infrastrutture), al di là delle fascinazioni agresti di noi cittadini biofighetti, è fortemente inquinato, lisciviato e prossimo alla morte biologica, alla desertificazione e da questo girone dantesco non sfuggono gli allevamenti di bestiame che generano altissimi costi sociali quali inquinamento, maltrattamento degli animali, consumo di energie non rinnovabili, molto più elevati della ricchezza che generano.
I cui costi sono trasferiti sulla società, sul territorio.
Ogni boccone di cibo che mandiamo giù è un boccone intriso di petrolio e credo sia un dovere nostro parlarne, anche correndo il rischio che una frangia disattenta di lettori abbia derive modaiole e che alcuni ossessionati dal “metodo scientifico” ci spieghino con violenza verbale che le nostre parole non sono figlie del “metodo” ma solo del mondo naif delle sensazioni e della cultura umanistica.
L’altro giorno Lucia Galasso antropologa mi ha fatto notare la centralità dell’uomo nella produzione enologica che è, e bisogna rimarcarlo con forza, una pratica eminentemente umana figlia di un approccio umanistico, agricolo, sociale, magico, religioso.
Per estensione anche l’agricoltura, prima che una presunta scienza agroalimentare, è una attività multi esperienziale, empirica che nel bene e nel male ci ha traghettato fino ad oggi.
Sempre Lucia si chiedeva come mai il periodo prenovecentesco (prescientifico) sia visto oggi come momento buio della evoluzione umana, come terra delle streghe e delle superstizioni, dimenticando che tutto ciò che mangiamo è stato selezionato, allevato in epoche molto precedenti alla nostra la quale, con l’ansia della produzione, della scienza e della “normalizzazione” sta depauperando la grande biodiversità ereditata.
Io non sono orgoglioso della mia contemporaneità e voi?
In ultimo, senza pretesa di universalità dogmatica, mi è capitato fra le mani questo passo di A.Martini su “Microbiologia del vino”  testo curato da M.Vincenzini, P.Romano, G.A.Farris, il quale dice nel capitolo Ecofisiologia dei lieviti vinari: …”Gli stessi lieviti secchi attivi (LSA) commercializzati a livello mondiale oggi sono prodotti da una sola ditta che ha praticamente conquistato il mercato internazionale e derivano in gran parte dai due lieviti originalmente proposti a Davis in California: ceppo “Montrachet” e ceppo “Champagne”.

Vedremo in dettaglio che la nicchia ecologica occupata da S. cerevisiae non è naturale ma tecnologica, in quanto rappresentata da tutte le superfici interne della cantina. E vedremo anche che i ceppi isolati nelle cantine mostrano prestazioni di gran lunga analoghe se non superiori a quelle dei migliori ceppi selezionati del commercio.”
Quindi è  lecito chiedersi e chiedere con quale lievito sono state condotte le fermentazioni o no?

foto Stefania Giardina


Infine mi chiedo che fastidio dà un piccolo manipolo di produttori e consumatori, numericamente esiguo che ha deciso di affrontare la produzione agricola con parametri diversi.
Sbagliano?
Sono a-scientifici e reazionari?
Sono dogmatici e irrazionali?
Anche lo fossero, non sono socialmente pericolosi, espongono solo il loro dubbio e il loro legittimo disaccordo verso visioni più commerciali, normalizzate, scientifiche dell’enologia e dell’agricoltura.
Credo ci sia spazio per tutti anche per chi sbaglia o dissente, per chi non vuole conformarsi ed esercita il proprio diritto alla libertà di pensiero.
Non credo sia appropriato né democratico né intelligente tentare, con la forza, di ricondurre i dissenzienti al comune pensare.
Agricoltura alto artigianato.


17 commenti:

  1. Buongiorno Luigi,
    è tutto condivisibile, assolutamente.
    Stringendo il campo all'ultimo paragrafo, bisogna focalizzare il problema: alcune eternazioni di alcuni produttori naturali sembrano demonizzare l'agricoltura tradizionale. In realtà la viticoltura, anche se non strettamente bio qualcosa ma di qualità, non è il nemico da combattere. E' l'agricoltura industriale che non va. Da appassionato di vini naturali non me la sento di demonizzare chi, magari con 15/16° potenziali, usa lieviti selezionati per portare a termine la fermentazione. La viticoltura di qualità è una nicchia nella quale ci vorrebbe più cooperazione, senza spandere merda sul vicino che non la pensa allo stesso modo. Da una parte e dall'altra.
    Buona giornata!

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  2. Luigi sei una delle poche persone a cui ho sentito dire (in questo caso ho letto, ma vabbè) che l'aratura è una delle cause della morte biologica del suolo.
    A mio parere è la causa prima, quella scatenante, dalla quale poi deriva la necessità di concimare e poi lavorare ancora per interrare e così via. Basterebbe non arare e sarebbe una pratica piuttosto semplice e a costo quasi-zero.
    Del resto s'è mai visto sulla Terra un suolo allo stato brado, naturale, arato o non coperto da vegetali (tranne ovviamente casi estremi come deserti e ghiacciai)? La risposta è no. Anzi, la natura s'affretta quanto prima a ricoprirlo di vegetazione per portarlo il più vicino possibile al suo stato originario. Ci sarà un perche, no?!
    Su questo perchè e sulla questione della fauna microbiologica della rizosfera ti consiglio alcune letture in inglese, praticamente introvabili. Sono gli articoli di un microbiologo australiano, Alan Smith, che negli anni '70 scoprì quello che potremmo definire come il segreto della vitalità del suolo e che corrisponde ad un ciclo simbiontico tra funghi/batteri e piante detto "Ciclo Ossigeno-Etilene".

    Ric.

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  3. Ciao Riccardo,
    hai centrato il segno sull'aratura, il semplicissimo testo dei Bourguignon da cui ho estrapolato la citazione affronta molto bene (da un punto di vista divulgativo ovviamente)il tema dell'aratura e parla di tecniche di semina dei cereali in copertura per mentenere sempre il terreno protetto dai dilavamenti.
    L'aratura profonda oltre a distruggere il terreno ha anche una impronta carbonica notevole, i trattori che la fanno hanno consumi orari di gasolio veramente notevoli.
    Tanta fatica per nulla.

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  4. Sui lieviti lo sai come la penso ma concordo anche io sul discorso aratura. Il suolo è formato da più strati comunicanti tra loro tramite microorganismi ecc ecc se noi lo rovesciamo in continuo come potrà avere un equilibrio?
    Sulla lavorazione dei suoli dovremmo e dovremo tornare tutti sui banchi di scuola.

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  5. Credo che sarebbe tutto piu' semplice se cercassimo di inquadrare la questione agricola nel contesto storico e sociale.
    L'agricoltura e' l'attivita' economica primaria, tutti gli storici sono concordi sul fatto che l'invenzione dell'agricoltura ha consentito la civilizzazione umana, la creazione di citta', e tutto quanto consegue.
    Non bisogna mai dimenticare che di "invenzione" si tratta. L'agricoltura e' una attivita' umana, non esiste un agricoltura spontanea, esistono le piante, ma non l'attivita' agricola.
    Fino alla fine dell'800, era prechimica e preindustriale, l'attivita' agricola era cambiata poco negli ultime migliaia di anni, e il lavoro era duro e le condizioni di vita nelle campagne terribili. Le carestie provocavano milioni di morti, esodi e migrazioni bibliche, basti pensare alla peronospora della patata in Irlanda che causo una riduzione della popolazione del 30% a meta' del 1800.
    Con la rivoluzione industriale e la scoperta dei fertilizzanti chimici l'agricoltura cambio' radicalmente, rendendo possibili una produzione unitaria maggiore, la possibilita' di nutrire una popolazione mondiale in crescita, rese piu' stabili.
    Non e' un caso che tra gli scienziati che si stima abbiano salvato piu' di un miliardo di vite umane, ai primi due posti vi siano Fritz Haber e Carl Bosch, inventori dei fertilizzanti chimici.
    Oggi noi stiamo discutendo di vini naturali vs vini convenzionali, di carattere e di territorio, tutto bene, ma non dimentichiamo il contesto precedente, e cosa l'agricoltura moderna, la meccanizzazione e la chimica hanno significato per la storia dell'uomo.
    L'agricoltore e' un pragmatico, non e' un poeta, non ha una visione bucolica dell'agricoltura tipica di chi non e' mai vissuto in campagna e della campagna. L'agricoltore e' stato in prima fila ad usare tutte le risorse tecnologiche per migliorare le sue produzioni, anche quelle piu' estreme e contestate in alcuni casi. La visione poetica e pretecnologica che in molti hanno dell'agricoltura e' semplicemente non rispondente al vero, nella maggioranza dei casi: la vita in campagna era durissima, l'aspettativa di vita bassissima, nulla di poetico. Il mito del buon selvaggio, rivisitato.
    Dobbiamo quindi oggi dire che chi si sforza di coltivare con un uso di chimica moderato, o diverso (l'agricoltura biologica, e anche quella biodinamica fanno usa di chimica, anche se non di sintesi) sbaglia o rinnega le conquiste del progresso umano? Certamente no, perche' e' proprio grazie al progresso, scientifico e tecnologico, che potremo superare gli eccessi e gli usi errati della tecnologia e della scienza stessa. Una maggiore comprensione dei fenomeni microbiologici, unita al miglioramento genetico delle specie coltivate e alla scoperta e perfezionamento di una chimica meno aggressiva e piu' sostenibile per l'ambiente, spinte da una sempre maggiore sensibilita' a questi argomenti da parte del pubblico, porteranno ad un agricoltura migliore, per noi e per l'ambiente.
    Ma questo avverra' grazie all'uomo, grazie alla conoscenza e grazie anche alla tecnologia, e non a suo dispetto, perche' non ci si dimentichi mai che l'agricoltura e' un invenzione umana.

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    1. Carissimo Gianpaolo,
      un post non ha spazio infinito e la gente non può dedicare ore per leggere, per cui certi argomenti non possono che essere semplificati e qui nasce l'incomprensione da cui tu sei partito per la tua legittima risposta.
      L'agricoltura come dico nel titolo è "alto Artigianato" quindi sono conscio che sia una invenzione umana degna di rispetto e attenzione e non certo un'evento naturale.
      Io non credo nella superiorità delle epoche pre scientifiche però sono esisitite e in quegli anni bui, di carestie i nostri progenitori hanno avuto tempo e capacità di selezionare il 99% dei vegetali e il 99% degli animali da allevamento che oggi noi abbiamo, anzi noi oggi abbiamo già eroso in maniera significativa queste quantità.
      Quindi guardare indietro tanto male non ci farebbe almeno potremmo imparare dagli sbagli già commessi.
      Haber e Bosch più che dei benefattori, va ricordato che lavorarono sulla produzione dell'azoto per le industrie militari e le loro mirabolanti invenzioni portarono ai milioni di morti della prima guerra mondiale e all'indiscutibile miglioramento dell'efficenza degli esplosivi e delle armi chimiche.
      Ti voglio ricordare anche che per ottenere una tonnellata di concimi azotati bisogna bruciare tre tonnellate di petrolio, senza considerare l'alto inquinamento derivante dal loro uso.
      L'incremento produttivo c'è stato ma i costi non computati sono stati riversati sulla società (inquinamento, consumo di risorse non rinovabili).
      Ovviamente come dici tu il miglioramento dell'agricoltura non potrà che avenire grazie all'uomo che ne è suo inventore.

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    2. Direi argomento chiuso. Ottimo Paglia

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  6. Caro Luigi condivido in toto il tuo scritto, che sarà oggetto di future meditazioni e ricerche.
    Evocative le foto di Stefania Giardina (brava!)

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  7. @Luigi. Come sempre e' questione di prospettive. Nella mia personale prospettiva l'avanzamento dell'agricoltura, esponenziale, che si e' ottenuto con l'avvento dell'epoca industriale ha rappresentato un fatto incontestabilmente importante nella storia umana, con effetti che vengono stimati in vite umane salvate nell'ordine dei miliardi di persone. Questo sicuramente e' anche avvenuto a spese dell'ambiente, ma e' la prospettiva che uno assume che fa mettere sulla bilancia un ambiente preindustriale non inquinato, dove l'aspettativa di vita media era intorno ai 40-45 anni, in condizioni di miseria e arretratezza culturale e materiale, e un ambiente con dei problemi da risolvere, come quello attuale, dove la vita media e' quasi doppia in quantita' e enormemente migliore in qualita'.
    Il fatto che le scoperte scientifiche siano neutre, e che l'uso che se ne fa e' buono o meno puo' essere proprio testimoniato da queste vicende, tenendo per buono l'assunto che non sono gli inventori della fissazione industriale dell'azoto ad avere inventato le guerre, ne la chimica le ha peggiorate piu' di tanto. Ne sia prova che il premio piu' ambito per la pace, spesso dato a scienziati o ricercatori, o persino ad agronomi come Norman Borlaug, padre della rivoluzione verde, e' intitolato all'inventore della polvere esplosiva.
    A differenza tua, probabilmente, io non credo che sia la troppa tecnologia o la troppa scienza, un ostacolo al pezzo di progresso che ci tocca di affrontare oggi, e che prevede la ripulitura di quei problemi che il pezzo di progresso precedente si e' inevitabilmente portato appresso. Anzi, io credo che sia la scienza, unita con il buon senso (questo purtroppo non lo si puo' sempre dare per scontato) che ci offrira la soluzione.
    I nostri nonni o bisnonni o trisavoli, non hanno selezionato il 99% degli animali o dei vegetali che oggi usiamo. Per nostra fortuna oggi usiamo vegetali e animali che sono molto migliori, producono di piu', sono piu' stabili, e a volte anche migliori dal punto di vista nutrizionali o dei sapori. Anche questi non sono perfetti, perche' ad esempio per produrre di piu' hanno bisogno di maggiori imputs (concimi, antiparassitari, macchinari, ecc), e la monocoltura ha ridotto nei campi la variabilita' genetica. Le nuove sfide sono quelle di ridurre o eliminare questi problemi. Ma la selezione e' un processo continuo e infinito, perche' l'ambiente si evolve di pari passo con quello che noi introduciamo dentro di esso, e non si puo' certo pensare che il picco ottimale della perfezione fosse nel 1800, dopodiche' tutto e' peggiore. Il picco ottimale e' oggi, e poi quello di domani sara ancora di piu' di oggi, e cosi via, e' una storia infinita, fa parte della biologia, in sostanza fa parte della vita.
    Se parliamo di vino, parliamo effettivamente di un agricoltura diversa, molto piu' ricca, dove ci sta anche la scelta di perdere una parte della produzione, compensandola con il maggior costo del prodotto venduto. In fin dei conti non si tratta di agricoltura di sussistenza, ma di un agricoltura che produce un prodotto di cui si puo' fare anche a meno e vivere lo stesso, e' un prodotto di lusso, e giustamente, alto artigianato. Ma se parliamo di prodotti che rappresentano la base della dieta quotidiana della maggior parte della popolazione mondiale, come riso, grano, patate, ecc., forse rivestire questa agricoltura con i panni un poco lussuosi dell'artigianato di gran livello mi sembra un estremizzazione, specialmente quando vista dalla parte di chi ha la pancia un meno piena della nostra.

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    1. Faccio sempre una dannata fatica a comprendere le dinamiche di opposizione. Regime bio-qualcosa contro chimica a manetta, vini "tradizionali" contro vini naturali, scienza contro natura... e che balle!!!!
      Inoltre credo che, in questo specifico caso, tu Giampaolo sia quello che guarda al passato invece di guardare avanti e cercare di inventare un futuro, magari diverso e magari migliore.
      La ricerca scientifica va sempre avanti e quindi spesso capita che smentisce se stessa. La terra era piatta, poi era tonda col sole che le gira intorno, poi è stata lei a girare intorno al sole a si è addirittura arrivati alla teoria della Relatività. E così è stato in tutti i campi.
      Hai mai pensato che trovare metodi di coltivazione più rispettosi dell'ambiente e del terreno possa avere un approccio scientifico e non naif? Che voler superare l'utilizzo dei concimi chimici e trovare alternative sostenibili sia un passo avanti e non indietro?
      Nessuno penso voglia tornare ai buoi che tirano l'aratro e schiere di contadini che zappettano la terra. Ma da questo scenario a quello "devastante" dei concimi chimici e della meccanizzazione ad ogni costo ci siano migliaia di strade alternative.

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    2. Mi allaccio ai ragionamenti di Roberto che affronta il problema entrando dalla porta giusta.
      Non esiste contrapposizione fra bio e convenzionale ma solo un ripensamento della tecnica e della scienza che forse così neutre come tu, Gianpaolo, sostieni essere non sono per nulla. Bosch e Haber non sono senza colpe e sapevano benissimo di lavorare a dei super esplosivi, la scienza deve sempre verificare i suoi obiettivi non può avere l'alibi insostenibile di essere sempre super partes, la storia ha confutato questa tesi.
      Applicare la scienza alla ricerca e alla comprensione dei fenomeni sottili per poterli entro certi limiti dominare è un dovere; quando gli scienziati sono schiavi dei soldi delle multinazionali che hanno come unico scopo (legittimo ma che non contempla il bene della società) l'accumulo di risorse faccio molta fatica a vedere la ricerca finalizzata al bene comune.
      su un post di dicembre http://www.gliamicidelbar.blogspot.com/2011/12/biobiochepensierisparsi.html avevo trattato questo problema del controllo degli obiettivi della scienza.
      Io non voglio tornare ad un mondo preindustriale ma vorrei che le scienze studiassero per limitare in maniera decisa e definitiva il consumo di risorse non rinnovabili, compreso il territorio e si uscisse finalmente dal semplicistico pensiero della espansione infinita (siamo in un mondo finito, qualcuno se ne è accorto? tutti i milioni di persone salvate dalla rivoluzione verde e dalla medicina, ora rischiano di far collassare il sistema, quante altri persone può sopportare il pianeta?)
      Sono discorsi duri ma che bisognerà affrontare prima o poi se non vogliamo nasconderci dietro ad un dito.
      Una ultima precisazione: tutte le varietà di vegetali e animali sono stati addomesticati almeno 500 anni fà se non di più, non parlo di evoluzioni di cloni, incroci, di cultivar, di razze. Prova a darmi una varietà di vegetale e una animale addomesticata dopo il 1900 se riesci!

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    3. @Robji Forse nella foga di rispondere a quello che tu pensavi avessi detto, non hai letto quello che ho detto e non ti sei accorto che quello che concludi tu, lo avevo gia' detto anche io, il progresso di oggi deve essere il superamento delle conquiste di ieri, tra le quali la chimica e un certo modo di fare agricoltura.

      @Luigi. Mi piacerebbe proprio che tu vedessi il paradosso della tua affermazione sulla scienza, e in particolare sul caso Haber e Bosch: partendo dal voler lavorare ai super esplosivi, come li chiami tu, finiscono per dare vita ad una rivoluzione che salva la vita a 3 miliardi di persone (qualcuno l'ha stimato). Ed e' proprio cosi' che funziona la scienza, e siccome e' diffusa, e' impossibile che la scienza sia una sola, quella delle multinazionali brutte e cattive. C'e' anche la scienza pubblica, da noi vilipesa e vituperata, certo non con dispiacere delle odiate multinazionali che inaspettatamente trovano nei luddisti di oggi (ben pasciuti dalla societa' moderna che avversano) dei preziosi alleati per avere campo libero nello sviluppo di alcune tecnologie fondamentali.
      Le varieta' che sono state selezionate dal 900 ad oggi? Sarebbe un elenco infinito, ma ci puoi mettere quasi tutto il riso coltivati nel mondo, il mais, il grano, praticamente tutte le coltivazioni piu' importanti per l'economia e l'agricoltura dal 900 ad oggi. Proprio quelle, alcune di quelle, per le quali nel 1970 fu dato a Norman Borlaug il premio Nobel per la Pace (non dell'agricoltura, che non c'e', ma per la Pace) per aver salvato centinaia di milioni di vite, cosi dice la motivazione, con lo sviluppo di varieta' di grano e di riso migliorate, con produzioni due o tre volte maggiori di quelle presistenti. Proprio lui fu uno dei principali confutatori della teoria malthusiana, che gia diceva quello che dici tu oggi (il mondo e' destinato al collasso, troppa gente) ai primi dell'800.

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    4. @Gianpaolo,
      ti sei dato la risposta tu, riso e cereali (già addomesticati in precedenza, solamente migliorati) dal 1700 in poi non abbiamo addomesticato alcun vegetale e alcun animale li abbiamo solamente migliorati! E abbiamo perso centinaia di antiche varietà.
      Il mondo è finito, la crescita infinita è inmpossibile.
      Quella che c'è stata fino ad oggi non ha messo in conto i danni provocati e le risorse non più rinnovabili utilizzate.
      Se tu pensi che per una ton di concimi sia lecito e anzi doveroso bruciare tre ton di petrolio, quando l'azoto per le piante si potrebbe ottenere con il naturale ciclo di fissazione senza inquinare e senza sprechi ecco, forse, parliamo lingue diverse.
      La scienza non è buona in sè, leggi pensatori come Virilio a riguardo, va indirizzata e controllata con ampie visioni olistiche.
      Le multinazionali non sono satana ma non sono neanche lo Spirito Santo, hanno loro logiche di guadagno che nulla ha a che fare con la società e le sue aspirazioni, per loro la gente è un fattore di guadagno non un'entità da tutelare.
      La scienza pubblica? Rido al pensiero, non ha soldi, mezzi non può che tracheggiare nel mare magnum dell'indifferenza. Ricorda che da anni ormai la facoltà di agraria di torino ha chiuso il corso di laurea in agricoltura biologica, bel risultato vero della ricerca pubblica?

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  8. Sulla aratura mi viene in mente uno dei 4 pilastri dell'agricoltura "del non fare" di Masanobu Fukuoka (non aratura, nessuna lavorazione della terra)

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    1. Il principio è proprio quello. Ma non tanto per "non fare", quanto per "non fare troppi danni".

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  9. @Luigi. Varieta' e specie sono due cose diverse, da che mondo e' mondo il miglioramento genetico opera nel migliorare le varieta' esistenti, fin dall'inizio dell'agricoltura, con risultati spesso sorprendenti negli ultimi sessanta anni, dove nei paesi in via di sviluppo le rese di grano, ad es., sono aumentate di 6 volte, permettendo di far uscire dal pericolo di morte per fame centinaia di milioni di persone. Si puo' guardare il fatto che gli imput produttivi (fertilizzanti, trattori, ecc.) hanno un costo economico e ambientale, ma l'equazione non e' completa se non si bliancia col fatto che per produrre lo stesso quantitativo di grano si sarebbero dovute coltivare il sestuplo delle superfici, seguendo i metodi ai quali fai riferimento, a spese di foreste, ecc. Ovviamente, se ci fosse meno gente che ha bisogno di mangiare questo sarebbe solo accademia, ma cosi' non e' nella realta'.
    La scienza pubblica ti fa ridere? A me fa piangere, perche' il fatto che la ricerca italiana sopratutto sia tenuta cosi poco in considerazione, mentre ciarlatani sono riveriti e ascoltati, non e' un segno del estino cinico e baro, ma una precisa scelta politica. E certamente il sentimento diffuso da certi settori della societa' che la scienza sia dannosa e pericolosa non aiuta.

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