Pagine

mercoledì 23 marzo 2011

pensiero moscato metodo classico 19962008 tenuta dei fiori calosso

Pensiero 1998 1996, Moscato metodo classico, dégorgement del 2008, 9%vol di Tenuta dei Fiori, Calosso (AT).
Mi è stato fatto notare che la vendemmia del moscato è del 1996 e non 1998 come indicato precedentemente.
Chiedo scusa per l'errore a Valter Bosticardo e ringrazio l'anonimo che me lo ha segnalato.


Come vi avevo annunciato dopo la Barbera di Valter Bosticardo ho assaggiato il suo moscato m.c.
Un lavoro sporco ma qualcuno doveva farlo.
Colore intenso paglierino profondo spuma ricca e scrocchiosa.
Intenso di salvia (sclarea?) quasi masticabile, vegetale sul fondo, fruttato, erbe officinali, fresco con profumi  terziari ed evoluti ma nitidi, mai con derive ossidative.



In bocca entra dolce e fresco quasi mentolato, salvia sugli scudi, spuma pizzicante, il vegetale sgrassa, imponente e intenso ma snello.
Buonissimo.
Ahimè a garder.
Non un infanticidio, però si poteva aspettare.


Prodotto rarissimo.
Questo poi con dieci  dodici anni di sosta sui lieviti è unico.
Un tempo si faceva così il moscato, alla francese ora lo fa Valter Bosticardo e pochissimi altri.
Forse per il prezzo, che eguaglia una cuvèe Franciacortina o una di Alta Langa.
Io, comunque, lo preferisco (concettualmente)  ad uno Spumante M.C. a base sciardonnè e pinò perché è decisamente più territoriale.
Se per terroir si intende l’intimo legame fra pedoclima, vitigno e mano robusta ma gentile del vignaiolo che custodisce e sorveglia i primi due.
Quindi prima di zonare l’Alta Langa (e inventare ex lege un terroir mai esistito) si poteva rilanciare una pratica e un prodotto stupendo che ci guardava in attesa di un cenno per ritornare sulle nostre tavole.
Per il nostro intimo sollazzo.
Acquistato a 30,00 euro all’enoteca Parlapà a Torino.
Bonne degustation.

Luigi



lunedì 21 marzo 2011

ruevielledutempleglouglourestaurantparis03marais

Paris 3°arrondissement Marais.
Rue vielle du Temple e viuzze limitrofe.



Profumi e sguardi di una Parigi preottocentesca rimasta miracolosamente intonsa dagli interventi di “riqualificazione” urbana del Barone Haussmann a metà 1800 d.c.
Un pezzo di resistenza urbana.
Prima era l’orto di parigi.

Poi un’area di espansione seicentesca, Place de Vosges ne è uno splendido esempio.
Poi zona della moda.
Certe volte mi inquieta pensare che stò calpestando ex brani di campagna, quando non ex foreste secolari che ora sono sotto metri di terra, al centro di un’area urbana enorme, cementificata, puzzolente e pesantemente antropizzata.
Ho letto che in una delle prime spedizioni romane verso la gallia le legioni camminarono per 40 giorni senza uscire dalla foresta.

Comunque sia, cammino e le vie mi rimandano l’eco del ghetto ebraico di Parigi.
Comunque sia, cammino e le vie mi rimandano l’eco di una Francia non ancora affetta dalla sindrome della Grandeur.
E dalle architetture fuori scala.
La gente intorno cammina inconscia del fatto che prima fosse stata foresta, poi orti, poi città, poi ghetto, poi metropoli.


Qualche  turista scampato e disperso dalla girandola di Rue de Rivoli e del Beaubuorg, molte boutique, molti antiquari, molti negozi alimentari Kasher, molti locali, belli però, non acchiappa gonzi.
Nelle vie più interne continua il commercio all’ingrosso di gioielli e maroquinerie e la vita di tutti giorni.
Lusso ma moderatamente sottotraccia.
In uno di questi locali siamo entrati per mangiare qualcosa.


Il Glou di fronte al museo Picasso in rue Vielle du Temple 101, Paris 03.
Ragazzi giovani e disponibili e rapidi, in un ambiente grazioso, ben progettato e con una grafica accattivante.
Menù con slanci internazionali e puntate nella tradizione.
Vini al bicchiere decisamente a buon prezzo con vasta scelta e la possibilità di acquistare la bottiglia a emporter con grosso sconto.
A mia figlia il posto è piaciuto subito, molto cool, molto mood e ha cominciato a mangiare patate di Noirmoutier e salmone affumicato.



Noi abbiamo mangiato soba con cappesante, merluzzo su letto di patate la ratte, parmentier de boeuf e puree di patate, tartare di carne Aubrac con patate fritte e insalata, selezione di formaggi, torta al cioccolato fondente con panna, cheese cake alla vaniglia bourbon, caffè.
Menù a 15 euro alla carta circa 30/35 senza vini.
Ci siamo trovati bene, cullati dalle conversazioni anglo francesi dei vicini e dalla gentilezza dei camerieri.
Abbiamo bevuto un ottimo Vouvray di Sébastien Brunet metodo classico spumoso e fresco e citrino.
Poi  uno Saumur aoc” l’insolite” 2007, di Thierry Germain del domaine des Roches Neuves.
Con profumi di pompelmo e limone e salvia e zenzero, mineralità un po’ chiusa e una  bocca rotonda ma sgrassante con fruttato e leggero vegetale, buono ma  non un tipicissimo vino della Loira.
Andate al Beaubourg, il relitto colorato e pulsante di Rogers e Piano, al di là, dell’inevitabile tourbillon turistico offre sempre bellissime mostre.
Prendetevi un caffè o un croque monsieur al bar dell’ultimo piano, la vista vale il viaggio.
Bonne degustation

Luigi


venerdì 18 marzo 2011

barberadastiis1997tenutadeifioricalosso#barbera2

Sempre in linea con gli stimoli innescati dall’evento #barbera2 ho comprato una barbera d’asti doc “is” 1997 di Tenuta dei Fiori, Calosso (AT).



L’ho comprata a quindici euro, l’altra sera su consiglio del proprietario dell’enoteca Parlapà di C.so P.Eugenio 17 a Torino.
Io, ammetto la mia ignoranza, della Tenuta dei Fiori non avevo mai assaggiato nulla.
Lui (l’enotecario) con la forza delle sue idee e scelte (verificabili a scaffale, è l’unico a Torino che ha Casa Caterina e altre rarità) mi ha convinto alla prova.
Abbiamo discettato di vino per un’oretta buona.
Io ascoltavo, lui parlava, ogni tanto cercavo di dissentire ma non mi era permesso.
Poi alla fine ho scoperto che è il figlio del macellaio mitico con le cui carni sono stato svezzato.
Commozione e abbracci.
Il padre lo aiuta in cucina.
A breve tornerò a mangiarci.
Sono tornato a casa in confusa eccitazione, sotto un diluvio universale, scarrocciando e derivando come un relitto.
Barbera d’asti doc “is” 1997 13,5%vol., Tenuta dei Fiori di Valter Bosticardo, Calosso (AT).
Colore scarico, leggermente aranciato però vivo.
Profumi evoluti ma intesi e piacevoli.
Leggera scorza di agrumi maturi, erbaceo  e mentolato (balsamico).



Verticale, elegante verrebbe da dire “alla francese”.
Si apre a toni più officinali di rosmarino e timo e grafite e minerale, ferrosa con fondo di chinotto.
Tabacco e cuoio leggeri, sussurati più che esplosivi.
Bocca morbida e setosa e terrosa, tannini morbidi, molto saporita, forse lievemente seduta d’acidità.
Quando posso (Enrico Togni è un fautore dell’assaggio dopo 24 ore) riassaggio il giorno dopo.
Day after.
Frutta molto matura sotto spirito, ciliegia, erbaceo, floreale e minerale, balsamica.
E’ migliorata è più rotonda più delineata, più complessa, è rispuntata un’acidità vivida che sembrava latitare.
Il fruttato è riemerso su una base minerale di grafite, l’erbaceo vira verso toni ammandorlati è quasi sparito l’agrume.
Si è come rinfrescata, ringiovanita.


Evidentemente era meglio scaraffarla.
Buonissima e come dicono i francesi a boire.
Nello stesso pomeriggio ho anche acquistato sempre di Tenuta dei Fiori un moscato metodo classico targato 1998 con degorgément del 2008.
Sono un po’ in ansia per la scelta che potrebbe essere azzardata.
Assaggerò a breve e vi farò sapere.
Due note a margine.
Calosso è in provincia di Asti nell’area della barbera d’asti docg eventualmente sottozona “Tinella” e in zona di elezione anche del moscato.
Calosso è al confine con la provincia di Alba ma le Barbere quì non nebbioleggiano, anzi tendono a sferzare con una rusticità e una acidità puntuta che rende caratteristiche e riconoscibili le barbere del Monferrato.
Bonne degustation.

Luigi

giovedì 10 marzo 2011

sorgentedelvinoliveduemilaundicicastellodiagazzano

Castello di Agazzano sorgente del vino live duemilaundici
La nouvelle vague che avanza.
Non è un paese per vecchi.



Trascinato ad Agazzano dai consigli di giovinastri che ho conosciuto sul web, accompagnato da un Peter Pan del vino con derive new age (Vittorio Rusinà aka Tirebouchon).
Sono andato.
Lasciamo la capitale Sabauda all’alba.
Arriviamo ad un ora indecente, le nove e mezza (aprivano alle dieci).

Francesco Guccione e Vittorio Rusinà akaTirebouchon


Allora mangiamo focaccia con i ciccioli in compagnia degli anziani del paese che organizzano la partita di bocce del pomeriggio.
Dopo di chè entriamo.
Brivido freddo, è la prima volta nella mia vita che accedo gratis ad una fiera.
Accredito stampa.
E per le menate che scrivo qua, e vai!

Cà de Noci

Una immersione totale nel pulsare della folla che non ha tardato a formarsi nelle stanze del castello.
Vini buonissimi, buoni, medi e cattivi.
Il solito panorama di tutte le fiere (è una questione statistica).
Erano però la tensione, l’allegro sciamare, le chiacchere tra produttori, amici, amici di amici di amici, gente che non si era mai vista prima e mai si rincontrerà più, il leit motiv della giornata.

Storchi

C’era condivisione, aleggiava una sensazione sottotraccia di essere in una comunità allegramente antagonista, integrata ma non omologata.
Sono un sognatore affetto da tendenze utopiche.
Sentire  raccontare Francesco Guccione che il tempo passato a  vergare manualmente le etichette e incollarle è il tempo del ripensamento, quello che gli serve per riprendere contatto con l’intervallo, ciò mi ha commosso.
Quasi piangevo nel vedere le etichette pantone di Alberto e Giovanni di Cà de Noci da loro concepite e realizzate.
Utopia nell’aria.
Alessandro Dettori e Fabrizio Iuli

E se non ricordo male ou-tòpos vuol dire senza luogo.
Il contrario di terroir che è radicamento.
Anche Fabrizio Iuli, forse per effetto dei troppi assaggi di cannonau di Alessandro Dettori, ripeteva come un mantra: “il terroir è il vigneron” (lo sapete che i piemontesi hanno spesso derive francofone).
Forse ha ragione.
I vini di Francesco Guccione e di ‘A Vita sono più francesi che siciliani e calabresi.


Laura e Francesco De Franco di 'A Vita

Quelli di Cà de Noci sono ricerche filologiche di memorie agro-organolettiche.
Quelli di Fabrizio Iuli si sdoppiano fra l’ostinata valorizzazione della barbera, il recupero del nebbiolo ormai scomparso dal suo territorio, il tutto condito da una fascinazione francofila (Pinot Noir).
Quelli di Nino Barraco sono destinati a reinventare un “vino di Marsala” (se mai è esistito).
Quelli di Sara Carbone inseguono il mito dell’Aglianico di Columella.
Quelli di Alessandro Dettori sono i vini pre-fenici.
Quelli di Guido Zampaglione come
Quelli di Marco  Sferlazzo sono una astrazione cerebrale.
Quelli di Casa Caterina una estremizzazione cultural-artigiana del concetto di evoluzione.

Aurelio Delbono Casa Caterina

Lavorano tutti per raggiungere un non-luogo che è, sì giustificato dalla storia e dalla tradizione, ma la storia e la tradizione sono pretesti per ribellarsi al presente.
Sono in viaggio verso l’isola di Utopia perché di questo mondo non si sentono figli.
E utopia è anche eu-topòs ossia regno perfetto della felicità.
Non sono degli sprovveduti, dei sognatori forse sì, la direzione non la conoscono, ma per strada sono in tanti e tanti a sostenerli.
“La verità non è un dato di fatto o un concetto astratto, è un cammino, un compito, un avventura.” Hegel
Bonne degustation

Luigi