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domenica 19 maggio 2013

La vera sorpresa delle Enodissidenze? Il vino perfetto? No! I quasi imperfettibili sottoli di La Baita



Davanti al loro stand ci siamo passati davanti decine di volte ignorando la cornucopia di zucchine, cavolifiore, carote, peperoni turgidi e colorati come appena colti e messi lì crudi con un filo d’olio.
Fino a che l’istinto carnivoro ci ha portato da Valli Unite e i loro ottimi salami e teste in cassetta che erano vicini di postazione (in parte a Valli Unite in camuno, cit.) dei La Baita ed io con la coda dell’occhio li ho notati.
A quel punto col tatto che mi è proprio ho cominciato, senza chiedere se potevo o no, a piluccare dai vassoietti, le verdurine sottolio.
Mi aveva colpito l’aspetto turgido, il colore vivo e croccante, che emanavano freschezza prima ancora di averle mordicchiate.
Poi le ho assaggiate e in bocca è stato una esplosione di sapori nitidi, di scrocchiantezza di verdura appena colta.

E poi il liquido di conservazione!
Era delicatamente sweet and sour, in fondo un po’ di aceto come una lontana reminescenza, un po’ di pigato che fusi col blando zucchero e l’olio evo facevano uscire la testure organolettica di verdure che neanche nel mio orto, con fatica immensa, riesco ad ottenere.
A quel punto un capannello, che Ezio Cerutti ha definito meritevole di essere considerato come “adunata sediziosa”, si è formato di fronte agli ignari e leggermente attoniti espositori.
Al terzo assaggio, ideona di Vittorio Rusinà e chiama a raccolta Lucia Bellini (che era  in parte al ghiaccio al banchetto di Arcari e Danesi, Camossi e Arici cit.) la quale accorre con un Franciacorta Saten Arcari e Danesi.

E si sbicchiera e si assaggiano le trombetta (zucchine liguri, raccolte mignon e deliziosamente croccanti), i carciofini superlativi e poi le varie verdure della Giardiniera “monumentale”: cavolifiore come appena colti, carote che resuscitavano anche i reduci della serata “Lambruschi dissidenti”, peperoni che a Carmagnola se li sognano, sedani da viaggio lisergico, il cipollotto orgasmatico.
E si beve Saten e loro i La Baita preparano delicatessen con i pomodorini (non più di un centimetro di diametro!) su letto di patè di olive e spruzzata di pesto.
Ormai il corridoio era invaso e bloccato da riottosi e anarchici mangiatori/bevitori rumorosi e infervorati e unti di olio.

Nel bailame il Sig Marco Ferrari che manteneva un aplomb molto Britannico mi spiegava che sono in una valle parallela alla costa a circa settecento metri slm, mi raccontava anche, sempre tartinando e concedendosi qualche sorso di vino, dei loro quattromila ulivi di Taggiasca molti dei quali secolari e dei due ettari di terrazzamenti dedicati agli ortaggi.


Della fatica nel mettere a punto i tempi cottura delle verdure.
Del fatto che colgono e trasformano senza mettere le verdure in frigo.
Del fatto che il liquido di conservazione deve avere un PH minimo e lo ottengono, affinchè sia più delicato, sostituendo l’aceto con il vino.
Del fatto che mettono il loro ottimo olio evo di Taggiasche nelle confezioni.
Del fatto che tutto quello che invasettano lo producono loro con metodo biologici.
Del fatto che refrigerano le macchine per produrre il patè di olive per evitare ossidazioni eccessive.

Del fatto che non si percepisce neanche un vago sentore di rancido e non ci sono ossidazioni incontrollate ne imbrunimenti nei colori.




Alla fine abbiamo fatto un secondo giro con Sara Roccutto, questa volta con il Franciacorta rosè di Andrea Arici 0dosaggio con identiche se non accresciute soddisfazioni.
Io ho poi fatto la spesa e ho cenato in famiglia con le trombetta e la giardiniera e lo S’cett 2011 di Crocizia.
Enodissidenze! perché non c’è ogni settimana?
Kempè

Luigi


Ps
Chi dice che è un mestieraccio fare il vigneron non ha mai provato a fare l’ortolano.

























Marco Ferrari e Gianni Camocardi

venerdì 23 dicembre 2011

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AndreaArici e i suoi Franciacorta,



un possibile argomento per affermare, con la forza del bicchiere, che la Franciacorta di Andrea Arici e i suoi vigneti terrazzati sono territorio per il metodo classico.
Fors’anche in procinto di divenire terroir.
Di questo Dosaggio Zero di Colline della Stella ne avevo parlato già una volta.
Poi finita la sbornia erano rimaste due bottiglie in cantina.
E avevo cercato altri luoghi di Franciacorta e di Champagne viaggiando nel bicchiere.
Sono ritornato col bicchiere a Gussago(BS) in questi giorni.
E devo ammettere che a controprova della validità delle primordiali sensazioni.
Le ha mantenute tutte.
Arricchendosi, allargandosi, ammorbidendosi leggermente.
Questo Franciacorta “scritta rossa” con trentuno mesi di presa di spuma sulle spalle e un anno di post-dergorgement.
E’ perfettamente, incredibilmente, goduriosamente pronto.
Meno lievitoso, meno citrino, meno tagliente.
Il pinot nero, solo un dieci per cento ma di classe cristallina, sotto scalpita.
Pinoteggia alla grande, con maturità e tocco alla “franzosa”.
Equilibro, eleganza, freschezza e una leggera cremosità acidulata.
E quei frutti rossi più rammemorati che trovati.
Veramente buono.
Si chiama fuori con eleganza e forza dalla diatriba Franciacorta vs Champagne.
Da bere senza moderazione.
Bonne degustation.



Luigi 

Sempre alla ricerca del ki
Andrea Arici è aiutato con indiscutibile bravura da Giovanni Arcari e Nico Danesi.

lunedì 12 settembre 2011

1703 valcamonica rosso 2007 togni Rebaioli erbanno

1703 valcamonica rosso 2007. Nebbiolo e Barbera (dal millesimo 2008 solo Nebbiolo).
Az. Agr. Togni Rebaioli, Erbanno di Darfo Boario (BS).




Prima di scriverne ci ho pensato su un po’.
Ad Enrico Togni ho già dedicato due post (uno, due questo è il terzo) quantità statisticamente rilevante per un blog così giovane, per lo meno sospetta.
Inoltre Enrico mi aveva appena chiesto se avessi assaggiato e che idea mi fossi fatto del 1703.
Sembrava una marchetta.
Però mi ha incuriosito e ho pescato l’ultima bottiglia superstite dopo un crollo di scaffali.
Stappo, verso, roteo, annuso.
Buono, molto buono direi.
Per cui la mia incontinenza comunicativa mi spinge a scriverne.
Figlio di cloni antichi di Nebbiolo.
Né langhetti né valtellinesi.
Almeno così dice l’acido desossiribonucleico aka DNA.
Cupo e intenso di colore
Il 1703 del 2007 (vi ricordo che era ancora in taglio con la Barbera) nebbioleggia con spavalderia e leggiadria.
Viole e liquirizia dolce, legni, polvere e terra bagnata,
tartufo, frutta matura (sarà la Barbera).
Barbera che è il pezzo forte di Enrico.
Non divaghiamo.


Perfino un po’ di vegetale (sarà la vicinanza con la vigna di Merlot).
Merlot che è l’altro pezzo forte di Enrico.
Non divaghiamo.
Acidità elegante e tannino rotondo, inchiostro di china,
terra, morbidezze.
Come gli altri vini di Enrico l’assaggio del Day after.
E’ quasi meglio.
Il liquido allunga il passo e inserisce profondità, si "sporca", si incupisce, muta e varia.
Ha della vita davanti.
Ma non chiedetemi quanta.


Erbanno di Darfo Boario (BS) è alla periferia del mondo del vino italiano di qualità.
Il fatto è che Enrico non se ne rassegna e fa di tutto per provare che ha ragione.
E questo vino corrobora le sue tesi.
Bonne degustation


Luigi

venerdì 1 aprile 2011

enrico togni valcamonica andrea arici franciacorta giò arcari brescia

Togni e Arici in salsa Arcari.
Il sogno di una Val Camonica che non esiste più e di una Franciacorta mai esistita.


Bisogna ascoltare e farsi ipnotizzare dal suono della voce di Giovanni Arcari, personaggio istrionico caduto nel mondo (del vino) da non so quale pianeta, perché la forza delle sue idee è come pioggia, ti inzuppa è come fuoco, ti abbrustolisce.
Caustico e penetrante.
Idee chiare ma un po’ demodè per le vinificazioni, di estrema avanguardia per la concezione etica e culturale della agricoltura, vista come sentinella del territorio che non può più resistere ai saccheggi degli anni passati.
Giovanni è controverso, affabulatore, caleidoscopico e politicamente scorretto.
Forse è solamente diretto e sincero, un po’ troppo per questa nostra era.

Giovanni Arcari

Fatico ogni volta a comprendere appieno cosa sia il progetto Terra Uomo Cielo.
Ciò che si capisce chiaramente è l’amore viscerale che nutre per la sua terra (il Bresciano) e per il Vino.
Promuove con forza il ritorno al vino dell’agricoltore che è nella sua visione il custode del territorio e il depositario una cultura materiale che la nostra era stà erodendo e annichilendo a favore di sfruttamenti criminosi del territorio.
Lo anima una vena Luddista per cui odia ogni veicolo a quattro ruote e gira in vespa e bicicletta per Brescia e in treno quando abbandona il lago d’Iseo.

Vigneto ad Erbanno di Enrico Togni

Però quando si parla di vino con Giovanni, cade ogni deriva New Age e si erge a paladino della scienza-tecnica agro-enologica per infliggere il minor danno possibile al territorio e al vino.
Ripensadoci è una sfida nella sfida quella di perseguire una produzione molto tecnologica, perché Enrico Togni e Andrea Arici sono contadini artigiani, lavorano in spazi ristretti con pochi mezzi e dipendenti.


Sarebbe più semplice abbracciare derive bio hippy.
Invece lavorano duro per avere vini puliti, poco ossidati, sorvegliati in tutte le fasi produttive perché è dopo che devono invecchiare e non arrivare morti alla bottiglia.
La ricetta dello stregone Arcari è:
Al primo posto i vigneti che devono essere vocati e dare qualità alle uve.
Quelli di Enrico Togni hanno pendenze del 100%, sono terrazzati e lavorabili solo manualmente.
Alle spalle le balze calcaree delle montagne, di fronte le cime innevate.
Enrico si è inventato una “carriola motorizzata” per alleviare la fatica e contenere le ore ettaro.

Enrico Togni

I nuovi impianti di barbera e nebbiolo saranno a pergola trentina per sfruttare il benefico effetto del vento di lago.
Quelli di Andrea Arici sono collinari e impervi anch’essi terrazzati con muretti a secco che il padre manutiene, terre da Pinot Noir queste: fresche, drenate, povere ma luminose.


Arici vigneto Cudul a Gussago (BS)
Poi selezioni massali e pervicace mantenimento dei biotipi e fenotipi presenti.
Poi biodiversità nei vigneti o almeno nelle loro vicinanze.
Poi filari inerbiti e pirodiserbo interfila per contenere l’uso della chimica.
Poi monitoraggi continui degli andamenti sanitari e fenologici per limitare i trattamenti.
Poi analisi dei mosti. 
Poi analisi dei vini.


Maturazioni ottimali, fermentazioni controllate in inox con rimontaggi manuali, macerazioni brevi, legno di medie dimensioni per estrarre il vento e il sole e la montagna dai vini di Enrico Togni.
Per Andrea Arici, cambia la forma ma non la sostanza e il rigore produttivo.
Fermentazioni controllate in inox, affinamenti in rigorosa riduzione, malolattica quando serve, microssigenazione controllata con candele in ceramica per non ossidare le basi, lunga permanenza sui lieviti, solo vino  identico e niente zuccheri nel Liquer d’expedition.


Andrea Arici e Giò Arcari
Nota di colore il remuage è eseguito tutto a mano, la tacca di vernice sul fondo delle bottiglie di Andrea Arici è memoria fisica di un lavoro di rotazione manuale, continuo, ipnotico e ancestrale.
I Franciacorta che fa Andrea sono potenzialmente tutti dei millesimati.
Giovanni sostiene con forza che non c’è tradizione nell’assemblaggio dei vin de reserve per permettersi di giocare alla Francese.

Degorgement a la volée

Il pensiero di Giò è che la Champagne è un’invenzione tale e quale alla Franciacorta solo che risale a trecento anni prima e quindi dominano molto meglio la tecnica e il territorio.
I terroir non sono dati da Dio ma sono piegati e plagiati dall’uomo, dal suo fare, dalla sua economia, dalle sue necessità e opportunità.
Giovanni gestisce un lavoro di squadra con la forza dell’intelligenza e con la voglia di far bene senza il peso angustiante della serietà becera e oppressiva.
Una bella squadra, giovane ( e un po’ che assisto con piacere ad un ricambio generazionale che propone nuove persone di grande umanità, sincerità con vene pulsanti di follia creativa) e motivata che lotta contro la dilagante logorrea di Giovanni e il suo massimalismo manicheo.

Vittorio Rusinà aka Tirebouchon, Lucia Bellini, Francesco e Mariateresa Piantoni ed io abbiamo assaggiato con nostro sollazzo e profondo godimento, da Enrico Togni:



Opol 2009 un vino progetto, ottenuto dalle uve conferite da anziani viticoltori altrimenti costretti all’espianto.
Lambrù 2009 un vino base già godibilissimo ottenuto dal blend di barbera, marzemino, nebbiolo, schiava.
Un Rosè 2010 da vasca, ancora senza nome a base schiava molto interessante.
Un Erbanno da vasca, ottenuto da viti autoctone recuperate da Enrico, che ricorda certi Avanà della Val Susa, speziati erbacei, crepitanti ma con più struttura e minore acidità.
Merlot 2007 che mi ha folgorato sulla via di Damasco, profumi fruttati e speziati, piccolo cenno erbaceo, affumicato, acidità stimolante e bocca succosa, ho pregato Enrico di non espiantarlo.
Vidur 2007 ho già scritto un post a riguardo e riassaggiandola in cima ai vigneti mi è piaciuta ancora di più.

Vittorio Rusinà aka Tirebouchon, Lucia Bellini, Francesco e Mariateresa Piantoni ed io abbiamo assaggiato con nostro sollazzo e profondo godimento, da Andrea Arici:

Franciacorta non dosato, B de B con due date differenti di sboccatura.
Franciacorta non dosato, data di sboccatura rossa 08/11/2010, 90% chardonnay 10% pinot nero. Il mio preferito, riflessi verdi, spuma e perlage finissimi affilato ma carezzevole, citrino con morbidezze di sottobosco e legno di liquerizia.
Anteprima con sboccatura a la volée del Rosè 100% pinot nero.
Anteprima di un bianco fermo a base Invernenga, altro vitigno recuperato dall’oblio, giovanissimo con profumi idrocarburici in sottofondo e ricordi di caramello, grassezza da vendere e una possibile evoluzione spettacolare.



La delegazione torinese è rientrata a tarda ora sopraffatta dall’umanità e dall’ospitalità dei produttori e rintronata dalle parole rutilanti del buon Giò Arcari.
Con in bocca il sapore del terroir e della carne alla camuna di casa Togni.
Bonne degustation

Luigi