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lunedì 30 maggio 2011

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Calvarino, Soave Classico doc, 2009, 12,5% vol, az.agr. Pieropan, Soave (VR).


Nella mia personalissima geografia dei vini bianchi italiani, il Soave ha sempre occupato un posto importante.
Quelli di Pieropan poi erano dei miti.
Credo di poter affermare che negli anni novanta, abbiano pungolato e trascinato i produttori di Garganega al di là del guado dei vinellini.
Attenzione ai vigneti, bevibilità, struttura senza eccessi, mineralità, una certa longevità, pochi e oculati legni malgrado le sbronze di rovere, vini di terrritorio nitidi, caldi e perentori.

Per le mie magre finanze di un tempo erano solamente un po’ cari.
L’altra settimana cercando una barbera per #sociaList, mentre ero alla cassa dell’enoteca (lo so che voi pensate che i blogger siano foraggiati dai produttori, ma non è vero!) vedo occhieggiare dallo scaffale l’affilata bottiglia renana del Calvarino, un cru aziendale, non ci penso neanche un po’ e la prendo.
La faccio riposare una settimana in cantina poi la apro.
Colore giallo paglierino intenso con riflessi oro e tutto mi sembra normale (però vado a memoria è parecchio che non ne bevo).
Profumi intensi, frutto maturo, floreale, certe sensazioni di dolcezze, pietra calda, tutto bene ma metto e tolgo il nasone dal bicchiere incredulo.
Tutto troppo perfetto, didascalico, intenso all’eccesso.
Cerco, annusando nel fondo del bicchiere, ma mi pare (ovviamente ciò che dico è parere soggettivo e confutabile) di non trovare più l’anima che un tempo scorgevo e ricercavo con fascinazione in questo vino.
Bocca giusta: alcool, glicerina, acidità, mineralità, frutto, tutto nella norma anzi tutto normato e unificato senza sorprese.
Come incontrare dopo anni la donna della vita e scoprire che si è intensamente ritoccata dal chirurgo plastico.


Sempre bella, sia mai, ma senza il fascino dell’imperfezione, della perfettibilità.
Non vorrei discettare di lieviti selezionati o di messa sul mercato troppo in anticipo (anche perché un produttore mi ha fatto notare con forza che non sono problemi all’altezza della preparazione dei blogger), volevo solo rendervi
partecipi di una piccola grande delusione.
Delusione che aumenta ora che leggo sulle specifiche aziendali che il vino in questione proviene da un vecchio vigneto ed è vinificato e affinato in cemento sulle fecce e poi in bottiglia.
Bonne degustation

Luigi

2 commenti:

  1. Tu ed io, Luigi, dobbiamo assolutamente farci una bevuta! ;)

    Scopro un'altra preferenza comune nel Soave, anche a me così caro tanto da averne "barattato" alcune bottiglie con Maria Grazia Melegari (in cambio di Fiano di Avellino, e di cosa se no!?).

    Peccato per la tua delusione. Il mio ultimo assaggio non mi ha fatto lo stesso effetto ma non so dirti rispetto al passato - sono evidentemente più giovane io... tiè! :)))

    a.

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  2. Alessandro,
    tieni duro che a Genova ci incontreremo di sicuro al tuo #ddb sul fiano ca va sans dire.
    Se il vino bianco non esistesse la vita non varrebbe viverla ;)
    Il Soave è stato un inizio del mio percorso, forse è che io sono ormai approdato in lidi così lontani che non ne so più apprezzare le finezze.

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